CONTRO LA LEGGE-BAVAGLIO IN UNGHERIA SCESE IN PIAZZA ALMENO 60MILA PERSONE

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Nella giornata di ieri, passata sotto silenzio dai media elettronici dell’estrema destra, a Budapest si è protestato contro la svolta autoritaria del premier ungherese Victor Orban.
“No al bavaglio”, “libertà d’informazione”, “questo regime non mi piace”, erano gli slogan dei dimostranti gridati in piazza e scritti su striscioni. I promotori hanno distribuito simbolicamente tessere-stampa a ogni partecipante per invitare chiunque a sfidare la censura. E in piazza c’era anche il nuovo sindacato-movimento per la democrazia chiamato ‘Szolidàritas’. La manifestazione non è stata indetta dai partiti d’opposizione, cioè i socialisti (Mszp) e i Verdi, ma è stata organizzata online e con passaparola dal movimento “Un milione per la libertà di di stampa”, con lo slogan “il regime non mi piace”.
Eppure la protesta ha dovuto combattere anche contro il tentativo di boicottaggio operato dalle Autorità giunte persino a spegnere le telecamere di controllo del traffico nel centro cittadino pur di non lasciare testimonianze degli accadimenti. Come se non bastasse nelle stesse ore pannes elettronici hanno bloccato l’accesso ai principali siti di informazione online indipendenti.
I dimostranti, quasi 60mila, sono riusciti comunque a far sentire la propria voce contro l’iniziativa del governo che ha introdotto un’autorità di controllo dei media (Nmhh) senza equivalenti nei paesi Ue e Nato e nel mondo libero, e punisce con misure di censura e multe pesantissime i media critici. Nei mesi successivi il governo Orban ha riscritto la Costituzione in senso autoritario e nazionalista, e ha attuato una vastissima purga nei media pubblici poi nell’amministrazione pubblica e in scuole e università. Gli ultimi provvedimenti governativi, come hanno riferito tutte le maggiori agenzie di stampa internazionali, hanno gravemente ridotto o quasi annullato l’autorità del potere giudiziario abolendo l’equivalente magiaro del consiglio superiore della magistratura e instaurando la nomina dei giudici (come di rettori e presidi in università e scuole) da parte del governo.
(Repubblica.it)

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