CONTRIBUTI E CRISI DELL’EDITORIA: 2 OPINIONI A CONFRONTO

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Agevolazioni, contributi pubblici, Iva agevolata e prepensionamenti, crisi “improvvise” e forse strumentali dei grandi quotidiani. Giovanni Cocconi (giornalista di Europa, ex Il Popolo, quotidiano ufficiale del Pd) vuole fare chiarezza e prende spunto da un’analisi del collega de Il Corriere della sera: il più blasonato Sergio Rizzo.
Quest’ultimo, il 13 aprile, ha scritto un articolo per dimostrare che contributi pubblici indiretti all’editoria non esistono più. Il giornalista di via Solferino ha argomentato la sua tesi affermando che nel 2011 il suo giornale ha beneficiato «solo di agevolazioni sulle tariffe telefoniche e di un credito d’imposta a valere sugli acquisti di carta. Totale: 2.839.000 euro […] Niente a che vedere con i soldi destinati a giornali di partito e cooperative, che, oltre ai contributi di cui sopra, hanno incassato i cospicui fondi della legge 250/90, senza i quali avrebbero dovuto chiudere». Rizzo ha affermato, con parole diplomatiche e qualche numero, che molte testate suggono fondi pubblici, magari senza meritarli del tutto.
Ecco che risponde Giovanni Cocconi, giornalista di Europa. Tale quotidiano rientrerebbe nel calderone dei giornali “parassiti” di cui prima, essendo l’organo ufficiale di stampa del Pd.
«Per un virtuoso della precisione come Rizzo anche l’omissione è un errore. Premesso che molti piccoli giornali hanno già chiuso (Liberazione, Il Riformista) e altri li seguiranno presto, Rizzo dimentica completamente due voci molto importanti del finanziamento pubblico all’editoria: l’Iva agevolata e i prepensionamenti. Tutti i quotidiani sono tassati con un’Iva al 4 per cento invece che al 10 o al 21. Ma l’Iva effettiva è in realtà molto più bassa perché si paga solo sul 20 per cento di quello che l’editore dichiara di stampare: una stima del venduto. E questo vale anche per i giornali in abbonamento, dove è difficile parlare di invenduto. Anche i prodotti collaterali venduti in edicola come dvd, cd e giocattoli, pagano un’Iva solo del 4 per cento». Cocconi afferma che tale politica di “aiuti e aiutini” favorisce le grandi testate.
Non finisce qui. Il giornalista di Europa mette in dubbio le “tanto declamate” crisi dei maggiori giornali. «Dal 2009 al 2012, dopo aver macinato utili per dieci anni, tutti i grandi gruppi editoriali hanno dichiarato lo stato di crisi. Perché? Spesso per liberarsi dei dipendenti più anziani (con gli stipendi più alti), prepensionandoli in buona parte a spese dei contribuenti (per il 70 per cento). Per carità, oggi la crisi dell’editoria non è una favola, ma è anche molto facile aggirare una legge che parla solo di «andamento tendenziale dei conti», non di profondo rosso. Per dire, il Messaggero (che fa parte di uno dei gruppi editoriali più ricchi e liquidi) sta negoziando il secondo stato di crisi in pochi anni, così come Rcs, il gruppo del Corriere».
Ai lettori la facoltà di giudicare.
Egidio Negri

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