I contributi all’editoria in Italia
di Vincenzo Ghionni
Sommario: 1 Introduzione – 2 I contributi diretti all’editoria – 2.1 I requisiti soggettivi – 2.1.1 Imprese editrici di testate organo di partiti politici – 2.1.2 Imprese editrici di quotidiani editi in lingue di minoranze linguistiche o espressione delle stesse – 2.1.3 Imprese editrici di quotidiani con maggioranza detenuta da cooperative, fondazioni ed enti morali – 2.1.4 Cooperative giornalistiche – 2.1.5 Imprese editrici di testate organi di movimenti politici – 2.1.6 Imprese editrici di quotidiani editi e diffusi all’estero – 2.2 I requisiti oggettivi – 2.2.1 Il limite ai ricavi pubblicitari – 2.2.2 Il divieto di distribuzione degli utili – 2.2.3 La periodicità – 2.2.4 La diffusione – 2.2.5 La certificazione del bilancio – 2.2.6 Disposizioni in tema di controllo e collegamento – 2.2.7 L’iscrizione al Registro degli operatori della comunicazione – 2.2.8 Altri vincoli – 2.3 Le modalità di determinazione dei contributi – 2.3.1. Premesse – 2.3.2 Contributi a favore delle imprese editrici di quotidiani – 2.3.3 Contributi a favore delle imprese editrici di periodici – 2.3.4 I costi ammissibili – 2.4 La procedura – 3 Le altre categorie di imprese beneficiarie dei contributi diretti – 3.1 Le imprese radiofoniche e le emittenti satellitari editrici di testate organi di movimenti politici – 3.2 I contributi alle agenzie di stampa – 3.3 Le emittenti televisive di confine – 3.4 Le cooperative, le fondazioni e gli enti morali editrici di periodici – 3.5 Imprese editrici di quotidiani editi in Italia e teletrasmessi all’estero – 3.6 Contributi a favore dei periodici editi e diffusi all’estero – 3.7 Contributi a favore delle imprese editrici di periodici destinati ai non vedenti – 3.8 I contributi a favore delle associazioni che editano periodici rivolti ai consumatori – 3.9 I contributi a favore delle imprese editrici di periodici di elevato interesse culturale – 4 Le agevolazioni tariffarie – 4.1 Le agevolazioni telefoniche – 4.2 Le agevolazioni postali – 5 I contributi indiretti – 6 Le agevolazioni fiscali – 7 Conclusioni.
Il rapporto tra Stato ed informazione in Italia è molto delicato; e spesso, l’intervento pubblico, sia sotto il profilo qualitativo che sotto quello quantitativo, ha determinato la percezione di un sistema di stampa assistito.
I contributi all’editoria in Italia sono divisi su due grandi assi di intervento: i contributi diretti, riservati ad alcuni tipi di imprese che si caratterizzano per peculiari profitti soggettivi ed oggettivi; ed i contributi indiretti che, invece, hanno una ben più ampia platea di beneficiari, in quanto collegati alla tipologia di tipo di costo e non alla natura dell’ impresa beneficiaria.
L’assenza di una legge organica ha reso il sistema estremamente disarticolato e complesso, con una serie di norme che si sono sovrapposte nel corso degli anni, facendo perdere ogni carattere di sistematicità all’intervento. Ciò rende quanto mai necessaria una riforma dell’intero sistema. Ma per riformare è necessario avere piena conoscenza del settore nel quale si interviene. E ciò è tanto più necessario nel settore dell’editoria, attese le peculiarità del prodotto in gioco, anche sotto il profilo costituzionale.
I propositi di riforma che si sono succeduti nel corso degli ultimi dieci anni hanno manifestato in pieno l’incapacità di affrontare in maniera significativa un argomento così delicato. In questa direzione va sia la legge n. 62 del 7 marzo 2001[1] che la proposta di riforma predisposta dal precedente sottosegretario con delega all’editoria, On. Levi, approvata dal Consiglio dei Ministri in data 12 ottobre 2007 e, misteriosamente, mai approdato alle Camere[2]. Sono interventi legislativi roboanti nelle rubriche e nelle premesse, ma deboli sotto il profilo sostanziale. La legge n. 416 del 5 agosto 1981, così come la n. 250 del 7 agosto 1990, non vengono mai abrogate, ma di queste vengono modificati solo alcuni articoli, testimoniando il carattere di sporadicità degli interventi legislativi. Al contempo, va segnalata la preoccupante assenza di studi e di ricerche sul mercato editoriale che avrebbero consentito al legislatore di intervenire avendo piena consapevolezza del settore di riferimento. In questa prospettiva va rimarcata l’assoluta inazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che in tutte le occasioni degli ultimi dieci anni si è evidenziata per una sola caratteristica: l’assenza. Di contro, recentemente, del tema si è occupata l’Autorità per la concorrenza ed il mercato, che il 12 luglio 2007 ha pubblicato i risultati della prima parte dell’indagine conoscitiva riguardante il settore dell’editoria quotidiana, periodica e multimediale.
Rimandiamo le nostre valutazioni sull’attuale sistema di contributi in Italia all’ultimo capitolo. Ciò per consentire di condividere le premesse e l’oggetto di cui discutiamo, con lo stesso lettore e con il quale ci scusiamo, non a nome nostro, del ginepraio di norme in cui saremo costretti a muoverci. E trattandosi di pluralismo, in tema di par condicio, evidenziamo che dal 1996 ad oggi tutti i Governi e tutte le legislature hanno dato il loro prezioso apporto alla costruzione di questo labirinto.
Il sistema di contributi diretti all’editoria venne profondamente riformato con la legge n. 416 del 5 agosto 1981 che introdusse, oltre ad una serie di interventi di natura indiretta, contributi indifferenziati a favore di tutte le imprese editrici di quotidiani.
Questo tipo di intervento fu introdotto dall’art. 22 della legge[3] e, praticamente, consisteva in una integrazione sul prezzo della carta. Ricordiamo che fino a metà degli anni ‘80 le importazioni della carta erano gestite dall’Ente Nazionale Cellulosa e Carta, abrogato nel 1994 con il D.L. n. 513.
La successiva legge n. 67 del 25 febbraio 1987 prorogò all’art. 9 il regime di contributi indifferenziati fino al 31 dicembre del 1987 ed introdusse per particolari tipi di imprese, ritenute di particolare valore, dei contributi di tipo selettivo sui costi.
La legge n. 250 del 7 agosto 1990 ha riformato profondamente il sistema dei contributi diretti all’editoria, in linea, comunque, con le indicazioni già presenti nella legge n. 67/87.
Le norme che si sono succedute nel corso degli ultimi anni hanno fatto perdere la coerenza che sottendeva le scelte del legislatore del 1981 prima e quello del 1990 dopo.
I contributi diretti sono sostanzialmente erogati a favore di alcuni particolari tipi di imprese cui viene riconosciuto un valore sociale e siano in possesso di una serie di requisiti sia soggettivi che oggettivi.
Al fine di fornire al lettore una chiave di lettura agevole, partiamo dai requisiti, sulla base di una distinzione tra i vari tipi di soggetti che hanno il diritto ai contributi.
I contributi a favore delle imprese editrici di testate organo di partiti politici sono disciplinati dal comma 10 dell’art. 3 della legge n. 250 del 7 luglio 1990. Dopo una serie di norme alterne sono intervenuti i commi 2 e 3 dell’art. 153 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 che hanno puntualmente regolamentato questa categoria, prevedendo che la normativa in oggetto si applichi esclusivamente alle imprese editrici di quotidiani e periodici che risultino essere organi di forze politiche in possesso di un proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o rappresentanza nel Parlamento europeo.
In fase interpretativa è intervenuto il D.P.R. n. 460 del 7 novembre 2001 che, all’articolo 1, ha previsto che il possesso del requisito del gruppo parlamentare debba essere attestato con una certificazione rilasciata dal Presidente di uno dei due rami del Parlamento, mentre la rappresentanza nel Parlamento Europeo si sostanzia in almeno due deputati eletti nelle liste del partito stesso, comprovata da un’attestazione rilasciata dai competenti organi del medesimo Parlamento Europeo.
Come si vede esiste una sostanziale differenza nel sistema di accesso tra i partiti politici in possesso di un gruppo parlamentare e quelli in possesso del requisito della rappresentanza europea. Infatti, mentre per i primi la costituzione di un gruppo parlamentare è condizione sufficiente per acquisire il requisito del diritto ad avere un organo di stampa finanziato, per i secondi è necessario un collegamento funzionale con le liste nelle quali i deputati sono stati eletti.
Il riconoscimento del giornale quale proprio organo va attestato con una dichiarazione rilasciata dal partito. Nella prassi si è evidenziato il problema della verifica dell’organo del partito legittimato a rilasciare la dichiarazione in oggetto. A nostro avviso, attesa la peculiarità dei partiti politici, la dichiarazione deve essere rilasciata dal rappresentante legale o da persona da questi designata. Infatti, premessa la necessità di verificare gli statuti dei singoli partiti, l’attestazione, pur rappresentando un atto di natura politica, produce effetti giuridici.
A parziale deroga di quanto disposto dall’art. 153 della legge n. 388/2000 è intervenuto il comma 3 ter della legge n. 248 del 4 agosto 2006, di conversione del decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006, che ha escluso dal requisito della rappresentanza parlamentare le imprese editrici di quotidiani o periodici che abbiano maturato il diritto ai contributi alla data del 31 dicembre 2005, ai sensi del citato comma 10 dell’art. 3 della legge n. 250 del 7 luglio 1990.
In altri termini, le imprese editrici di testate organi di partiti politici mantengono il diritto ai contributi, anche se i partiti di riferimento perdono il requisito della rappresentanza parlamentare, a condizione di aver maturato il diritto alla data del 31 dicembre 2005. Prescindendo da ogni valutazione sulla qualità della norma, per la quale rimandiamo al buon senso, riteniamo opportuno segnalare che rimane, evidentemente, fermo il requisito del rapporto con il partito politico. Infatti, la norma fa salve quelle situazioni in cui il partito perda la rappresentanza parlamentare per, a titolo meramente esemplificativo, lo scioglimento del gruppo parlamentare o la mancata presentazione delle liste alle elezioni europee. Ma la norma ha escluso il requisito della rappresentanza parlamentare dei partiti e non quella, sostanzialmente diversa, del rapporto tra testata e partito politico. In altri termini, l’impresa continua a mantenere il diritto ai contributi a condizione che rimanga organo dello stesso partito per il quale lo era nel 2005, a prescindere dal requisito della rappresentanza parlamentare di quest’ultimo. E’ evidente, quindi, che lo scioglimento del partito o l’eventuale perdita della qualità di organo di informazione dello stesso determinerebbe la perdita del diritto ai contributi per l’impresa editrice.
Un punto di interesse è, a questo punto, la verifica del soggetto beneficiario dei contributi. Come vedremo, anche per altri casi, spesso il legislatore fa riferimento alle testate, altre volte ai partiti o ai movimenti ed altre volte ancora alle imprese. A nostro avviso l’unico possibile beneficiario dei contributi è l’impresa: sempre. Tra i requisiti a carico dell’impresa vi può essere l’edizione di una particolare testata che, a sua volta, deve, in alcuni casi, essere organo di un determinato partito politico.
Un ulteriore requisito per questa categoria di imprese è rappresentato dall’obbligo, introdotto dal comma 460 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005,di costituirsi sotto forma di cooperativa. Sono esonerate da detto onere le imprese che abbiano maturato il diritto ai contributi alla data del 31 dicembre 2005.
Come si vede per le imprese editrici di testate organi di partiti politici si sono praticamente formati due regimi distinti. Per le imprese che abbiano maturato il diritto ai contributi prima del 31 dicembre 2005, il requisito del possesso della rappresentanza parlamentare non è più richiesto; mentre rimane l’obbligo di editare testate organo dello stesso partito politico per il quale si è maturato il diritto a percepire i contributi per l’esercizio 2005. Per quelle che maturano tale diritto dopo questa data vi è, oltre all’obbligo stabile del partito di assicurare il requisito della rappresentanza parlamentare, anche l’obbligo di essere costituite sotto la forma giuridica di cooperative.
Un profilo che merita di essere analizzato con attenzione è quello del momento della maturazione dei contributi e, in particolare, se per tale termine si debba intendere che tale circostanza si realizzi in presenza di un atto amministrativo, ossia il provvedimento di ammissione ai benefici di legge, o, vada ricollegato al possesso di tutti i requisiti previsti dalla normativa alla data di riferimento. A nostro avviso, in assenza di una specifica norma di legge, la seconda ipotesi è da ritenersi preferibile. Ciò in quanto la legge si riferisce al diritto a percepire i contributi e non all’effettivo incasso degli stessi. Se il legislatore avesse voluto condizionare il diritto al contributo per gli anni successivi all’incasso in un determinato esercizio lo avrebbe dovuto indicare in maniera puntuale. Ma è evidente che attesa la delicatezza di questo punto sarebbe necessaria una norma interpretativa.
Per le sole imprese editrici di testate organo di partiti politici è prevista la possibilità di accedere ai contributi diretti anche nell’ipotesi in cui la testata venga editata telematicamente. Infatti, il comma 4 dell’art. 153 della legge n. 388/00 prevede che anche le imprese editrici[4] di testate telematiche, organi di partiti politici in possesso del requisito della rappresentanza possono accedere ai contributi diretti. La norma parla di registrazione autonoma della testata presso il competente Tribunale. Particolarmente infelice appare, sotto questo profilo, l’art. 3 del D.P.R. n. 460 del 7 novembre 2001 che specifica che la registrazione debba, comunque, essere effettuata anche presso i Tribunali. Sembra una conseguenza diretta, ma non lo è. Infatti, pochi mesi prima, è entrata in vigore la legge n. 62 del 7 marzo 2001 che all’art. 16 prevede che l’obbligo della registrazione in Tribunale viene assorbito dalla registrazione della testata presso il Registro degli Operatori della Comunicazione, tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Una corretta norma di semplificazione resa inefficace da una norma successiva. Ma così è.
Infine, il medesimo comma prevede che nell’ipotesi in cui siano presentate due domande di contributi in riferimento ad un giornale diffuso anche per via telematica, è ammesso al contributo solo quello telematico. La scrittura della norma è di qualità tale da non consentire, praticamente, alcuna applicazione. O tutte. Infatti, non viene detto quale è il soggetto che presenta due domande (due imprese per ratei d’anno o una sola impresa che edita due giornali; o un’impresa che edita un solo giornale che viene diffuso anche per via telematica; ma è evidente che praticamente tutte le imprese editrici di un giornale propongono i contenuti anche su portali internet; o una sola impresa che presenta due domande per uno stesso giornale; ma questo significherebbe chiedere due volte il contributo a fronte degli stessi costi; e questa ipotesi non necessita di una norma ma di buon senso, da parte dell’impresa e di chi è delegato al controllo).
Il disegno di legge Levi disciplina, sotto il profilo soggettivo, le imprese editrici di testate organi di forze politiche alla lettera b del primo comma dell’art. 17, prevedendo che il requisito della rappresentanza parlamentare si intenda soddisfatto nell’ipotesi in cui nell’anno di riferimento dei contributi, questa è l’unica novità, le forze politiche abbiano un proprio gruppo parlamentare costituito in almeno una delle due Camere o almeno due rappresentanti eletti nelle proprie liste al Parlamento europeo.
Attesa la sostanziale tenuta del requisito della rappresentanza parlamentare, un importante novità è introdotta dal comma 4 dell’art. 18 che prevede che le imprese editrici di quotidiani o periodici che perdano la qualifica di organo di forze politiche continuano a mantenere il diritto alle agevolazioni nell’ipotesi in cui si trasformino in cooperative giornalistiche[5] entro un anno dall’entrata in vigore della legge. La norma procede, a nostro avviso, nel solco della creazione di regimi eterogenei e differenziati, oggetto di censura nella citata indagine conoscitiva dell’Autorità per la concorrenza e per il mercato. Da un punto di vista prettamente giuridico, rileviamo che la condizione per mantenere il diritto all’accesso ai contributi è la trasformazione in cooperativa giornalistica. Ma entro un anno dall’approvazione della legge. E ciò determinerebbe una differenziazione, a nostro avviso non giustificabile, tra le imprese, dovuto, semplicemente, alla collocazione temporale della perdita del requisito della rappresentanza parlamentare da parte della forza politica di cui la testata edita è organo. Inoltre, andrebbe chiarito il trattamento che riceverebbero le imprese cooperative editrici di testate organi di movimenti nell’ipotesi in cui non abbiano ancora maturato il requisito temporale dell’anzianità richiesto dalla legge; infatti, le stesse non potrebbero trasformarsi in cooperativa, essendolo già. E’ evidente che il buon senso consentirebbe di dare una risposta. Ma un chiarimento sarebbe, anche in questo caso, necessario.
In attuazione del principio dettato dall’art. 6 della Costituzione esiste un sistema di sostegno diretto a favore di due categorie di imprese editrici di quotidiani delle minoranze linguistiche.
La prima categoria è costituita dalle imprese che editano testate organo di movimenti politici, espressione di minoranze linguistiche riconosciute, a condizione che abbiano almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento nell’anno di riferimento dei contributi. Tale categoria è stata introdotta dal già citato comma 2 dell’art. 153 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000.
Ai sensi del primo comma del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997, sostituito dall’art. 1 del D.P.R. 460 del 7 novembre 2001, il riconoscimento delle minoranze linguistiche va riferito all’articolo 2 della legge n. 482 del 15 dicembre 1999[6]. Il requisito della rappresentanza parlamentare viene soddisfatto attraverso una certificazione rilasciata dai Presidenti di Camera e Senato avente ad oggetto l’appartenenza del parlamentare alla forza politica espressione di una minoranza linguistica. Inoltre, è richiesta una attestazione da parte della forza politica del collegamento funzionale con il giornale richiedente i contributi.
E’ evidente l’analogia tra questa categoria di imprese e le aziende editrici di testate organi di movimenti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare. E tale circostanza è supportata dalla collocazione delle norme. Ma abbiamo ritenuto preferibile trattare questo tipo di imprese tra quelle editrici di testate edite nelle lingue delle minoranze linguistiche, in quanto l’oggetto della tutela ed il principio costituzionale di riferimento sono i medesimi.
L’altra categoria è costituita dalle imprese editrici e dalle emittenti radiotelevisive, comunque, costituite, che editino giornali quotidiani o trasmettano programmi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Le differenze tra le due categorie sono evidenti.
Anzitutto per questa seconda fattispecie la condizione per l’accesso ai contributi è l’attività di edizione di un quotidiano[7]. Inoltre, il giornale deve essere editato in una delle lingue indicate nella legge, mentre nella prima ipotesi, è possibile anche l’edizione in italiano. Infine, mentre per la prima categoria il riferimento è a tutte le minoranze linguistiche storiche, per la seconda il riferimento è solo a quelle minoranze linguistiche concentrate lungo i confini settentrionali del Paese.
Le modifiche introdotte dal disegno di legge Levi assumono per il settore una certa rilevanza. Anzitutto la prima categoria scompare dal novero dei possibili soggetti beneficiari del contributo. Per la seconda viene, di contro, introdotta una norma di salvaguardia che consente anche la parziale realizzazione nelle lingue francese, tedesca, ladina e slovena. A nostro avviso, questa norma apre spazi di discriminazione a favore delle testate edite e diffuse nelle regioni autonome del nord del Paese, in assenza di una precisa definizione del termine parziale.
La terza categoria è rappresentata dalle imprese editrici di quotidiani la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni ed enti morali ed è disciplinata dal comma 2-bis dell’art. 3 della legge n. 250/90, così come modificato dall’art. 18 della legge n. 62/01. Si tratta di una categoria residuale, in quanto il comma 459 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 ha limitato l’accesso ai contributi alle sole imprese che abbiano maturato il diritto entro il 31 dicembre 2005, ai sensi del medesimo comma 2-bis. L’ultimo inciso ha rilevanza, in quanto presuppone che il diritto in oggetto è subordinato non solo all’accesso agli stessi con riferimento all’esercizio 2005, ma che tale circostanza sia avvenuta sulla base di quanto disposto dall’art. 2-bis.
La condizione temporale soggettiva prevista dall’art. 2-bis era che la società editasse la medesima testata da almeno tre anni, senza assoggettare il requisito dell’assetto al medesimo limite temporale.
Sotto il profilo soggettivo, l’unica condizione che deve essere mantenuta è quella dell’assetto e, quindi, della partecipazione di maggioranza del capitale sociale da parte di una cooperativa, di una fondazione o di un ente morale. Un problema applicativo può essere connesso all’ipotesi di cessione della partecipazione di maggioranza da parte di un soggetto conforme alla previsione di legge a favore di un altro soggetto, sempre conforme. A nostro avviso, in assenza di una norma esplicita, detta ipotesi garantisce il mantenimento al diritto dei contributi. In tale prospettiva, va anche segnalato l’art. 5 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 che prevede che il requisito della maggioranza della partecipazione nell’ambito della società editrice è soddisfatto anche nell’ipotesi in cui detta maggioranza sia detenuta da più fondazioni, cooperative ed enti morali.
Per quanto riguarda i tipi di imprese che possono rientrare nella categoria indicata dalla legge riteniamo che vadano ricomprese tutte le società di persone, le società di capitali e le cooperative; mentre è pacifica l’esclusione delle ditte individuali.
Il disegno di legge Levi lascia sostanzialmente invariata la disciplina per questa categoria di impresa, mantenendo, incomprensibilmente, il requisito della maturazione del diritto alla data del 31 dicembre 2005.
Le cooperative giornalistiche sono state introdotte nel nostro ordinamento dall’art. 6 della legge n. 416 del 5 agosto 1981.
Le cooperative giornalistiche appaiono, a nostro avviso, le naturali destinatarie di un sistema differenziato di sostegno pubblico. Infatti, le stesse sono, per definizione, caratterizzate dall’autonomia dei giornalisti che, oltre a lavorare nella società ne rappresentano la proprietà. In altri termini, nelle cooperative giornalistiche si realizza quella figura dell’editore puro, ossia del socio di riferimento che non ha interessi diversi da quelli connessi all’attività editoriale e che rappresenta uno degli obiettivi non raggiunti della legge n. 416/81.
Il sostegno alle cooperative giornalistiche era nato come strumento di possibile soluzione delle crisi editoriali. Infatti, l’art. 5 della legge n. 416/81 prevede un diritto di prelazione della testata a favore delle cooperative costituite dai giornalisti e dai poligrafici dipendenti dell’impresa editrice, nell’ipotesi di interruzione delle pubblicazioni. La formulazione originaria della norma che regola il sostegno alle imprese editrici prevedeva che le stesse avessero il diritto ai contributi nell’ipotesi in cui fossero costituite da almeno cinque anni o editassero una testata diffusa da almeno tre anni. In altri termini, nell’ipotesi di interruzione delle pubblicazioni da parte di un’impresa editrice di una testata da oltre tre anni la cooperativa costituita dai giornalisti e dai dipendenti dell’impresa aveva da subito il diritto all’accesso ai contributi. In maniera sconcertante il comma 39 dell’art. 1 del decreto legge n. 545 del 23 ottobre 2006, convertito dalla legge n. 650 del 23 dicembre 1996, ha previsto che l’accesso ai contributi a favore delle cooperative giornalistiche fosse condizionato al possesso simultaneo del requisito di anzianità di costituzione e di edizione di testata di tre anni. In altri termini, la ratio della norma, rivolta a creare uno strumento di salvaguardia dei giornalisti e dei poligrafici dipendenti di imprese editoriali in crisi, veniva stravolta. Con un decreto legge. Purtroppo, non è un caso isolato di sciatteria legislativa degli ultimi anni.
Le cooperative giornalistiche rappresentano, a nostro avviso, una categoria speciale all’interno del sistema cooperativistico e, pertanto, è utile approfondirne la natura giuridica e le specificità.
Le cooperative giornalistiche sono le cooperative composte da giornalisti[8], costituite ai sensi degli artt. 2511 e seguenti del codice civile ed iscritte all’albo delle società cooperative tenuto a cura del Ministero delle Attività Produttive, come previsto dall’art. 223-sexiesdecies, comma 1, disp. att. trans. del cod. civ[9]. L’iscrizione all’albo, a nostro avviso, non ha natura costitutiva, ma la mancata osservanza di detto obbligo determina una responsabilità soggettiva degli organi sociali e la decadenza da ogni beneficio di legge previsto dalla normativa in materia di cooperative.
In questa prospettiva, è evidente che la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge per l’acquisizione dello status giuridico di cooperativa giornalistica è soggetta ad una verifica esterna[10] che si conclude con un procedimento amministrativo di accertamento della sussistenza dei requisiti di legge[11].
Il comma 2 dell’articolo 6 della legge n. 416/81 equipara alle cooperative giornalistiche i consorzi costituiti tra una cooperativa composta da giornalisti[12] ed una società cooperativa composta da lavoratori del settore non giornalisti che intendono partecipare alla gestione dell’impresa.
Lo status di cooperativa giornalistica è subordinato alla presenza di norme speciali all’interno dello statuto. Così facendo, il legislatore, introducendo un trattamento di favore per questo tipo di società, subordinava l’acquisizione dei benefici all’effettiva esistenza di norme che garantissero la gestione collegiale dell’impresa. Il mancato adeguamento dell’art. 6 alle numerose modifiche della disciplina generale in tema di cooperative[13], intervenute negli ultimi anni, crea situazioni di oggettiva incertezza interpretativa.
Il comma 3 della legge n. 416/81 prevedeva che gli statuti contenessero le clausole indicate nell’articolo 26 del decreto legislativo n. 1577 del 14 dicembre 1947[14]. L’art. 2514 del cod. civ. ha modificato quanto previsto dal decreto legislativo n. 1577 del 14 dicembre 1947[15]. Ora, in assenza di un aggiornamento della legge n. 416/1981 occorre procedere ad una ricostruzione logica della disciplina applicabile. Sembra pacifico che alle cooperative giornalistiche si debba, oggi, applicare la previsione disposta dall’art. 2514 del cod. civ. e che, pertanto, gli statuti debbano contenere queste clausole. Problema diverso è analizzare l’essenzialità o meno del possesso dei requisiti previsti dalle norme in materia di mutualità prevalente[16] per il riconoscimento dello status giuridico di cooperativa giornalistica. Il testo originale dell’art. 6 faceva riferimento ad un decreto legislativo che dettava norme che assumevano efficacia solo in campo tributario. In altri termini, mutuava un regime giuridico rilevante ad altri scopi per definire una serie di limiti sulla sorte degli utili sia durante la vita della società che in fase di liquidazione. Tale circostanza ci fa propendere, volendo salvaguardare le intenzioni del legislatore del 1981, per l’interpretazione restrittiva[17], nel senso che le cooperative giornalistiche devono possedere la mutualità prevalente.
Diverse sono le ragioni che sostanziano tale opzione. In primis, tutte le norme previste dall’art. 6 della legge n. 416/1981 tendono, come detto, ad assicurare il massimo livello di gestione cooperativa dell’impresa editoriale. Le cooperative sono distinte, a seconda della diversa natura ed attività, in macrogruppi[18]: è pacifico che le cooperative giornalistiche sono, per natura, cooperative di produzione e lavoro, in quanto l’elemento caratterizzante è l’apporto intellettuale e professionale garantito dai soci. Il possesso della condizione di mutualità prevalente si sostanzia, in questo caso, nella circostanza che almeno il cinquanta per cento del costo del lavoro dipendente sia per lavoro prestato dai soci. E questa pare essere proprio la volontà del legislatore del 1981.
Il possesso del requisito della mutualità prevalente garantisce sicuramente l’accesso ai benefici fiscali, mentre non vi è alcuna norma che condizioni gli altri benefici a questo requisito. Ma, ben vero, anche l’art. 26 del d.Lgs. n. 1577 aveva valenza solo tributaria. Il riferimento della norma in tema di cooperative giornalistiche a questo articolo sostanzia, quindi, l’intento del legislatore di collegare i benefici previsti a favore delle cooperative giornalistiche al possesso dei requisiti per l’accesso ai benefici fiscali.
Inoltre, il riferimento introdotto dal primo comma dell’art. 6 della legge n. 416/81 in materia di obbligo di iscrizione ai registri prefettizi determinava l’assoggettamento delle cooperative giornalistiche alle ispezioni del Ministero del Lavoro. Il citato art. 6 infatti, non individuava un organo specifico delegato al controllo ed alla verifica dell’effettiva sussistenza di tutti i requisiti previsti sia dalla norma speciale che, più generalmente, dalla disciplina in tema di cooperazione. Ciò in quanto vi era una delega, seppure implicita, conferita al Ministero del Lavoro. Infatti, la sanzione per il mancato rispetto delle norme in tema di cooperazione, sia di carattere generale che speciale, determinano, a seguito di accertamento da parte dell’Autorità competente[19], la cancellazione dall’Albo[20]. In questa prospettiva, è evidente che il rinvio al controllo effettuato da altra istituzione garantisce una gestione efficiente, evitando duplicazioni di competenze e sovrapposizioni tra istituzioni[21].
Comunque, l’essenzialità o meno del possesso del requisito della mutualità prevalente, attesa l’opinabilità delle argomentazione prospettate, richiederebbe un chiarimento legislativo.
Secondo quanto disposto dall’art. 6 della legge n. 416/81, gli statuti societari possono prevedere la partecipazione di altri lavoratori del settore. Il comma 458 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 ha previsto che, per accedere ai benefici previsti a favore delle cooperative giornalistiche, le stesse devono essere composte esclusivamente da giornalisti professionisti, pubblicisti e poligrafici. Ciò significa che i soci non giornalisti devono essere, a pena di decadenza dal diritto ai contributi, dipendenti della cooperativa, in guisa da acquisire la qualifica di poligrafici. In assenza di un regolamento di attuazione della legge n 266/2005 ci sono diversi problemi di natura applicativa. Infatti, la mancata enunciazione delle categorie dei giornalisti praticanti e dei dirigenti delle imprese editoriali[22] crea una discriminazione non giustificabile, a nostro avviso, nei confronti di soggetti che, rispettivamente, stanno accedendo alla professione[23] e dei dirigenti delle stesse cooperative. Analogo problema sussisteva per i grafici editoriali[24], ossia i dipendenti di imprese editrici di periodici, cui non si applica il contratto nazionale dei poligrafici. La Presidenza del Consiglio dei Ministri è intervenuta su tale fattispecie con la circolare del 7 marzo 2007[25], assimilando i grafici editoriali ai poligrafici.
Gli statuti delle cooperative devono, inoltre, prevedere che tutti i giornalisti dipendenti della cooperativa, con contratto in esclusiva, debbono poter acquisire la qualifica di soci dietro semplice richiesta. Pertanto, in quest’ipotesi, in presenza della richiesta di ammissione da parte di un giornalista in possesso dei requisiti prima indicati, l’organo amministrativo non può che richiedere il versamento della quota sociale e l’accettazione delle clausole statutarie e di eventuali regolamenti adottati dalla cooperativa alla data di richiesta di accesso. Si tratta, evidentemente, di un’applicazione tipica del principio generale della “porta aperta” che costituisce uno degli elementi strutturali della società cooperativa, in quanto ne giustifica il riconoscimento costituzionale[26]. Riteniamo che la qualifica di socio si acquisisca solo con il perfezionamento della domanda, ossia con l’accettazione da parte dell’organo amministrativo o dell’assemblea, il versamento della quota sociale e la conseguente iscrizione a libro soci. Ne consegue che l’aspirante socio, prima della delibera di ammissione da parte degli amministratori, non goda di alcun diritto soggettivo come socio, trattandosi, di contro, di un obbligo degli amministratori di dare esecuzione ad una norma dello statuto avente natura esterna rispetto all’autonomia decisionale dei soci[27].
Natura diversa ha l’obbligo per le cooperative giornalistiche di associare almeno il cinquanta per cento dei giornalisti dipendenti, aventi clausola di esclusiva[28]. Infatti, in questo caso si è in presenza di un criterio funzionale che, a nostro avviso, deve sussistere in ogni momento della vita della cooperativa[29]. La ratio è la medesima che ha ispirato il legislatore delegato della riforma societaria nel 2003 nella definizione della mutualità prevalente, anche se con criteri di calcolo differenti.
Infine, il sesto comma dell’art. 6 della legge n. 416/81 prevede che tutte le designazioni di organi collegiali debbano avvenire per voto uguale e segreto e limitato ad una parte degli eligendi. Anche in questo caso siamo in presenza di una norma rivolta a garantire il massimo livello di partecipazione alla gestione della cooperativa. Il voto pro-capite rappresenta uno dei principi base delle cooperative in cui l’apporto di lavoro dei soci prevale sul capitale investito[30]. Natura, invece, diversa assume il vincolo a nominare gli organi sociali attraverso il voto segreto. Riteniamo che tale norma non vada assorbita negli statuti sociali, mentre rappresenti un dovere che ricade a carico del Presidente dell’assemblea, in osservanza di una norma di legge e non di una clausola statutaria.
Una volta delineato il profilo meramente soggettivo delle cooperative giornalistiche occorre esaminare il requisito di anzianità di edizione della testata.
Come detto, il comma 457 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 ha elevato l’anzianità da tre a cinque anni. Pertanto, il requisito è che la cooperativa maturi il diritto alla percezione dei contributi dopo cinque anni dall’inizio delle pubblicazioni della testata, a condizione che abbia mantenuto durante tutto il periodo di riferimento la medesima periodicità. Nell’ipotesi in cui abbia modificato la periodicità in data successiva al 31 dicembre 2004 perde l’anzianità maturata. Fanno eccezione le imprese costituite prima della suddetta data, per le quali la norma prevede una deroga. Occorre rilevare l’ambiguità della norma che non chiarisce se queste imprese siano esentate dal divieto di cambio di periodicità o, semplicemente, dal nuovo periodo quinquennale di maturazione del diritto. A nostro avviso, per dette imprese il requisito temporale è di tre anni; ma si applica il limite in tema di cambio di periodicità.
Anche in relazione al limite di cambio di periodicità occorre rilevare che le norme in tema di editoria operano una generica distinzione tra quotidiani e periodici. In tale prospettiva, potrebbe essere ravvisata l’ipotesi di mantenimento del diritto ai contributi nell’ipotesi in cui una testata muti la periodicità nell’ambito della macrocategoria dei periodici (ad esempio da settimanale a mensile o viceversa). E’ pacifico che durante tutti gli esercizi la testata dovrà rispettare la periodicità minima prevista per le diverse ipotesi di categorie di testate[31].
Occorre rilevare, inoltre, che la legge nulla dice circa le vicende della testata nel periodo di maturazione dei contributi. Oltre ad essere supportata dalla prassi degli uffici, appare pacifico che è possibile cambiare il nome della testata durante il periodo di riferimento, laddove rimanga il medesimo numero di registrazione al Tribunale o al Registro degli Operatori della Comunicazione. Invece, andrebbe approfondito o chiarito con un Regolamento di attuazione la situazione di quelle imprese che durante il periodo di maturazione dei contributi non abbiano i requisiti previsti dalla legge in relazione alla testata (ad esempio perché posta in vendita gratuitamente) ma che li realizzino nell’esercizio per il quale richiedano i contributi.
In tale prospettiva, nonostante non risultino precedenti, si pensi all’ipotesi di una cooperativa giornalistica che editi per cinque esercizi un quotidiano in via telematica e che passi all’edizione cartacea all’inizio del sesto anno di edizione.
La lettera a del comma 460 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 ha introdotto l’ulteriore vincolo, per le società che non abbiano maturato il diritto ai contributi alla data del 31 dicembre 2005, di essere proprietarie della testata per la quale richiedono i contributi. Anche in questo caso si è in presenza di un ulteriore sistema di differenziazione, che crea ulteriore disomogeneità nel sistema complessivo.
Il disegno di legge Levi regolamenta, o meglio deregolamenta, le cooperative giornalistiche al primo comma dell’art. 17. Infatti, si perde ogni riferimento all’art. 6 della legge n. 416 del 1981 che, tra l’altro, non viene abrogata e viene definita come cooperativa giornalistica quella costituita esclusivamente da giornalisti professionisti, pubblicisti, poligrafici e grafici editoriali[32], che associa almeno il cinquanta per cento dei giornalisti dipendenti ed i cui statuti consentano l’ammissione di tutti i giornalisti dipendenti. Inoltre, per l’accesso ai contributi è richiesta la costituzione da almeno cinque anni e, dal medesimo periodo, l’attività di edizione, con la stessa periodicità, del giornale per il quale si richiedono i contributi. In altri termini, nulla cambia. Ma è doveroso segnalare che l’art. 6 della legge n. 416 del 1981, per quanto necessitasse di un aggiornamento, aveva un impianto di sistema e si andava a ricollegare con la disciplina generale in tema di cooperazione e di impresa cooperativa. Mentre questa norma crea un tipo ibrido di cooperativa, totalmente avulso dal sistema giuridico generale. Inoltre, i cinque anni di anzianità sembrano nettamente in contrapposizione con le più volte dichiarate intenzioni di sostenere le nuove iniziative.
Raccontare la vicenda di questa categoria di beneficiari è, oggettivamente, impresa ardua. Ma per dare un senso l’unica strada da percorrere è quella della ricostruzione storica.
I commi 35 e 36 dell’art. 1 del D.L. n. 545 del 23 dicembre 1996, convertito dalla legge n. 650 del 23 dicembre 1996[33], prevedevano una nuova categoria di beneficiari del contributo, costituito dalle imprese editrici di quotidiani o periodici che risultassero essere organi di movimenti politici con almeno due rappresentanti in Parlamento o nel Parlamento europeo, anche in assenza di uno specifico collegamento elettorale.
In altri termini, il requisito era che la testata fosse organo di un’associazione cui dichiarassero di aderire due parlamentari, senza alcun collegamento di natura elettorale. Molte imprese hanno usufruito di questa norma, incrementando significativamente il livello di spesa pubblica. In questa direzione, intervenne il secondo comma dell’art. 2 della legge n. 224 dell’11 luglio 1998 che inibì l’accesso a questa categoria di imprese, fatta eccezione per quelle che già avessero maturato il diritto ai contributi e per quelle che fossero organi di movimenti politici ammessi al finanziamento pubblico alla data del 30 giugno 1998. Evidentemente era stata creata l’ennesima categoria residuale. Ma per rendere il sistema ancora più paradossale, l’art. 153 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 previde, per questa categoria di imprese, l’obbligo di trasformarsi[34] in cooperative; costituite solo da giornalisti e poligrafici, come poi previsto dalla citata legge n. 266 del 23 dicembre 2005.
Le imprese che appartengono a questa categoria mantengono il diritto ai contributi a condizione che la testata edita rimanga organo del medesimo movimento politico rappresentato alla data di entrata in vigore della legge n. 224/98. Tale circostanza va supportata con una dichiarazione rilasciata dal rappresentante legale del movimento politico di cui la testata è organo, mentre non serve alcun requisito di rappresentanza parlamentare.
Il disegno di legge Levi tratta queste imprese in maniera residuale, al punto da non collocarle tra le categorie di soggetti beneficiari, all’articolo 17, ma tra le condizioni per l’accesso, all’ultimo comma dell’art. 18. Detta circostanza palesa, a nostro avviso, l’imbarazzo generale della proposta di legge che non è stata in grado di affrontare il problema del sostegno all’editoria in maniera organica. Comunque, questa categoria di imprese manterrebbe il diritto ai contributi a condizione che entro un anno dall’approvazione della legge, venga deliberata la trasformazione in cooperative giornalistiche ai sensi del precedente art. 17.
I contributi alle imprese editrici di giornali editi e diffusi all’estero rientra nel novero degli interventi rivolti a sostenere le comunità italiane all’estero.
I contributi a questa categoria di imprese sono previsti dal comma 2-ter della legge n. 250 del 7 agosto 1990, come modificata dall’art. 18 della legge n. 62 del 7 marzo 2001. La condizione soggettiva è che l’impresa editi da almeno cinque anni[35] il quotidiano per il quale richiede i benefici.
La norma prevede esplicitamente che la testata debba essere editata e diffusa all’estero. Ciò significa, a nostro avviso, che l’impresa debba avere la propria organizzazione di mezzi e risorse fuori dall’Italia e che la testata debba essere distribuita fuori dal territorio nazionale. Tale valutazione deriva sia da un’interpretazione letterale della norma che da una ricostruzione della ratio della norma che ha, come detto, l’obiettivo di fornire uno strumento di informazione alle comunità di italiani all’estero. In tale prospettiva, riteniamo che un altro valore tutelato sia la salvaguardia dell’identità della lingua italiana. Ed allora appare evidente che, attesa la specificità di tali interventi, questi quotidiani hanno diritto all’accesso ai benefici di legge in quanto pubblicati in lingua italiana. Ed appare necessario che il legislatore intervenga in tale direzione con una definizione chiara ed inequivocabile.
Le imprese editrici di quotidiani editi e diffusi all’estero devono fare attestare la documentazione relativa alla carta ed alla stampa dall’autorità diplomatica o consolare competente. Infatti, l’art. 6 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 prevede che gli ambasciatori o i consoli competenti attestino sia la diffusione del giornale che l’impatto prodotto dallo stesso sulle comunità italiane. Inoltre, la lettera h del comma 4 dell’art. 2 della legge n. 286 del 23 ottobre 2003, istitutiva dei Comitati per gli italiani all’estero, prevede che gli stessi esprimano parere obbligatorio, ma non vincolante, sui contributi a favore delle imprese editrici di giornali all’estero[36]. E’ evidente che la funzione di queste norme è quella di garantire che i contributi vadano a sostenere iniziative editoriali che garantiscano l’effettiva circolazione dell’informazione nell’area geografica di diffusione del giornale. Mentre il parere dell’autorità diplomatica ha carattere vincolante per l’amministrazione, attesa la specifica funzione dei consolati e delle ambasciate, il parere dei Comites, come detto obbligatorio, non ha carattere vincolante. Per quanto concerne la competenza territoriale riteniamo che il riferimento vada effettuato in relazione all’area di diffusione del giornale e non al luogo in cui ha la sede legale l’impresa editrice. E nell’ipotesi di diffusione in più aree geografiche, a nostro avviso, i pareri vanno rilasciati dai diversi consolati e Comites. Ciò per garantire l’effettiva presenza del giornale nelle varie aree di diffusione.
L’eterogeneità delle categorie di imprese aventi diritto ai contributi diretti previsti dal comma 2 dell’art. 3 della legge n. 250 del 7 agosto 1990 rappresenta la principale caratteristica di questo strumento di intervento. In realtà esistono altre misure di sostegno diretto alla stampa; ma le analizzeremo nel seguito, in quanto si rischierebbe di creare confusione, attesa la differenza dei requisiti oggettivi richiesti e la differente natura.
Il primo vincolo è rappresentato dal limite dei ricavi pubblicitari rispetto ai costi. Infatti, condizione comune a tutte le imprese prima descritte[37] per accedere ai benefici è il possesso di un rapporto, nell’anno di riferimento, di ricavi pubblicitari inferiori al trenta per cento dei costi complessivi dell’impresa risultanti dal bilancio[38]. Infatti, la norma fa riferimento a tutti i ricavi da pubblicità e non solo a quelli attinenti alla testata per la quale si richiedono i contributi; e, chiaramente, gli stessi vanno rapportati ai costi d’impresa.
La ratio di questa norma è chiara e, in buona parte, condivisibile. Infatti, con questa disposizione si qualifica l’intervento esclusivamente verso imprese caratterizzate da ricavi da pubblicità insufficienti a garantire la sopravvivenza dell’azienda. In tale prospettiva, riteniamo che questa disposizione rappresenti la principale chiave di lettura dell’intero impianto del sistema di sostegno diretto alla stampa. Il contributo è rivolto a sostenere iniziative che si caratterizzano per la debolezza nella raccolta pubblicitaria.
E’ noto che le dinamiche della pianificazione della pubblicità a livello nazionale risentono in maniera significativa di un sistema fortemente concentrato sia dei centri media che delle principali concessionarie di pubblicità che determinano una barriera all’ingresso per le nuove iniziative di editori autonomi, creando una sorta di cartello. Tra l’altro occorre tener conto che spesso i grandi inserzionisti pubblicitari coincidono con i grandi gruppi editoriali. Ciò è dovuto all’ingerenza del sistema bancario e della grande industria nel sistema editoriale italiano; da ciò ne discende la posizione del tutto secondaria dei c.d. editori puri sul mercato e la conseguente tendenza a marginalizzarli. Molte imprese, in particolare editrici di quotidiani, sopravvivono perché ci sono i contributi diretti. Ciò in quanto le risorse pubblicitarie sono dirette verso altri mezzi di comunicazione e, in particolare, verso l’emittenza radio televisiva e, nell’ambito della carta stampata, verso i grandi gruppi editoriali.
In realtà il riferimento ai ricavi di pubblicità andrebbe, a nostro avviso, integrato con una norma che eviti possibili elusioni della finalità del sostegno. In tale prospettiva, al fine di creare un sistema omogeneo e trasparente, sarebbe opportuno regolamentare, con efficacia solo sul diritto ai contributi, lungi da noi l’idea di proporre ulteriori regole che limitino l’autonomia imprenditoriale, il rapporto con le concessionarie pubblicitarie, al fine di ridurre il rischio che, attraverso operazioni sui margini, parte dei ricavi vengano spostati verso queste ultime, spesso facenti capo alla medesima proprietà, ed eludendo così lo spirito della norma.
L’occasione di intervenire su questo delicatissimo punto ci sarebbe stato in occasione della discussione parlamentare sul disegno di Levi che, su questo punto, contrariamente all’impianto generale, propone una norma interessante ed innovativa. Infatti, il disegno di legge prevede alla lettera f del comma 1 dell’art. 18 l’elevazione del limite della raccolta pubblicitaria al quaranta per cento. E fin qui niente di nuovo. Ma la novità è che nell’ipotesi in cui i ricavi pubblicitari siano compresi in una forbice compresa tra il venti ed il quaranta per cento il contributo venga ridotto di una aliquota pari alla differenza tra la percentuale dei ricavi pubblicitari ed il predetto limite del 20 per cento.
Il principio della norma appare condivisibile. Quanto maggiore è il rapporto tra ricavi di pubblicità e costi d’impresa tanto minore sarà l’incidenza del contributo. A nostro avviso, si tratta di un importante strumento in quanto stimola le imprese a lavorare sulla raccolta pubblicitaria, sapendo che, fino al quaranta per cento, limite che a nostro avviso, in questa prospettiva, potrebbe essere ulteriormente elevato, non si perde il diritto ai contributi in assoluto, ma una semplice percentuale degli stessi. In altri termini, si proiettano le imprese sul mercato.
Un’altra norma comune a tutte le imprese che beneficiano dei contributi diretti è il divieto di distribuzione degli utili nell’esercizio di riscossione dei contributi e nei dieci esercizi successivi. Il divieto in oggetto deve essere stabilito dallo statuto sociale.
La ratio della norma è evidente, in quanto è rivolta ad evitare che i contributi dello Stato, in tutto o in parte, vengano attribuiti ai soci sotto forma di utile da distribuire. Per quanto condivisibile tale norma, riteniamo che la stessa andrebbe integrata con strumenti più raffinati per evitare eventuali elusioni della stessa, sotto il profilo sostanziale[39]. In particolare, riteniamo che per le cooperative giornalistiche vada esclusa anche la ripartizione dei ristorni che pur non essendo, tecnicamente, utili rappresentano un beneficio a favore del socio collegato ai risultati d’impresa. Inoltre, sarebbe necessario che le società di revisione chiamate a certificare i bilanci di esercizio relazionino in merito ai rapporti con società collegate, al fine di verificare eventuali destinazioni di risorse non a soci, ma a soggetti, in qualche modo, collegati.
Il limite della distribuzione degli utili sussiste anche nell’ipotesi in cui la società proceda ad operazioni di riduzione del capitale per esuberanza, ovvero nell’ipotesi in cui la società deliberi la fusione o il conferimento di azienda in una società nella quale non sia previsto il divieto statutario di distribuzione degli utili o in quella in cui violi sostanzialmente il medesimo divieto. In tale ipotesi, la società sarà tenuta a restituire una somma pari ai contributi incassati negli ultimi dieci anni aumentati del doppio degli interessi legali. Disposizione analoga vale nell’ipotesi in cui durante la liquidazione di una società residui un attivo di liquidazione, e, ovviamente, nei limiti di questo.
Tornando agli strumenti civilistici, il legislatore potrebbe imporre la costituzione di una riserva indivisibile e vincolata, da appostare nel patrimonio netto tra le altre riserve, limitandone anche l’utilizzo nell’ipotesi di copertura delle perdite. Così, oltre ad evitare la distrazione di risorse a favore dei soci si favorisce un percorso virtuoso attraverso il quale le risorse pubbliche vengono destinate non solo alla sopravvivenza ma anche allo sviluppo delle imprese assistite. Tale ultima disposizione andrebbe, a nostro avviso, prevista, nei limiti del contributo pubblico, anche a favore delle imprese che fruiscono dei contributi cosiddetti indiretti che, di contro, non hanno alcun vincolo e, pertanto, possono distribuire gli utili ai soci, nonostante questi si possano essere formati, in tutto o in parte, attraverso contributi pubblici. Ed in questa prospettiva, non comprendiamo la differenza con cui vengono trattati contributi che, pur avendo diverse finalità, hanno la medesima natura.
Il disegno di legge non interviene con alcuna norma di modifica sostanziale, in quanto si limita, e, quindi, ha una portata estensiva, a ridurre il periodo in cui vige il divieto di distribuzione degli utili da dieci a cinque anni.
L’erogazione dei contributi è condizionata al raggiungimento di una periodicità minima nel corso dell’esercizio di riferimento dei contributi. In particolare, i quotidiani devono editare almeno 240 numeri, i settimanali 45, i quindicinali 18 ed i mensili 9[40]. Un problema interpretativo vi è nell’ipotesi di sospensione, in corso di anno, delle pubblicazioni. A nostro avviso, la periodicità minima deve essere mantenuta durante il normale periodo di svolgimento dell’attività, mentre l’ipotesi di inizio e fine pubblicazione, come quella della sospensione, rappresentano un momento straordinario della vita del giornale. Pertanto, in questa ipotesi andrebbe verificato il possesso del requisito della periodicità minima nel rateo temporale di riferimento, e sulla base di questo determinare i contributi, con i criteri che esporremo nel seguito.
Il requisito della diffusione rappresenta una delle novità di maggior rilievo apportate negli ultimi anni. Il concetto di diffusione minima fu introdotto dalla lettera b del comma 5 dell’art. 153 della legge n. 388 del 2000 in relazione alle cooperative che editavano giornali organo di movimenti politici non in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare; per essere poi esteso a tutte le categorie, con la sola eccezione degli organi di partito, dei quotidiani organi di minoranze linguistiche e dei quotidiani editi all’estero, dall’articolo 18 della legge n. 62 del 2001.
La norma prevede come requisito per l’accesso ai contributi una diffusione pari ad almeno il venticinque per cento della tiratura complessiva per le testate nazionali e ad almeno il quaranta per cento per quelle locali. Per diffusione si deve intendere l’insieme delle copie cedute a terzi a titolo oneroso. Per quanto concerne la definizione di tiratura è evidente che occorre riferirsi a quella netta, ossia a quella al netto degli scarti di lavorazione.
La legge prevede che debbano essere considerate locali le testate la cui diffusione sia concentrata per almeno l’80 per cento in una sola regione. Quindi, a prescindere dalla ripartizione geografica delle copie distribuite, il riferimento va fatto considerando esclusivamente quelle vendute.
La consistenza della diffusione va attestata attraverso una certificazione, rilasciata da una società di revisione iscritta all’apposito albo tenuto dalla Consob[41].
La ratio della norma appare evidente: evitare che testate che non abbiano un riscontro da parte dei lettori usufruiscano di contributi pubblici. Ma, in tale prospettiva, abbiamo da fare alcuni rilievi. Anzitutto il sistema distributivo italiano, caratterizzato da una rete molto capillare, richiede una dotazione di copie molto elevata per coprire il fabbisogno complessivo delle edicole. In altri termini per fare arrivare il giornale in tutte le edicole occorre preventivare una tiratura molto elevata. E’ evidente che le testate che richiedono i contributi sono caratterizzate da una debolezza strutturale, per cui questa norma, a nostro avviso, introdotta come vincolo, ma carente di una seria visione di carattere generale, crea problemi maggiori di quelli che vuole risolvere.
In tale prospettiva, va ulteriormente evidenziata l’assenza di un regolamento che fissi in maniera puntuale i criteri cui attenersi sia per definire il concetto di diffusione che le procedure di revisione. In assenza di ciò, le società di revisione si sono orientate sulla base dei criteri fissati dall’associazione che cura l’accertamento della diffusione della stampa. Ma è evidente che le finalità delle due revisioni sono completamente diverse, in quanto quella richiesta dalla legge ha natura pubblica, mentre quella richiesta dall’ADS ha natura privatistica e rientra nell’ambito di un obbligo associativo, con la finalità di attestare le copie effettivamente vendute, a tutela degli inserzionisti pubblicitari. A titolo esemplificativo non è chiarito quale è il prezzo minimo di cessione delle copie (nella prassi le società di revisione si attengono al requisito dell’ADS che fissa il prezzo minimo delle copie vendute in un valore non inferiore al 10 per cento di quello di copertina).
Il disegno di legge Levi interviene in maniera significativa su questo requisito, in senso fortemente restrittivo. Infatti, lo stesso prevede che la diffusione minima passi dal venticinque per cento al trenta per cento per le testate nazionale e dal quaranta al sessanta per cento per quelle locali. L’innalzamento di questi limiti, a nostro avviso, denota, perdonate il gioco di parole, i limiti del disegno di legge che manifesta la mancata conoscenza del sistema distributivo italiano e le sue ampie sacche d’inefficienza. Ribaltare queste ultime sui soggetti più deboli di tutta le filiera è dimostrazione di incapacità di riformare. Ma il problema è, come già detto, che per riformare bisogna conoscere ciò di cui si parla.
Molto forte è anche l’impianto del successivo comma 3 del medesimo art. 18 del disegno di legge che prevede due significativi limiti rispetto alla cessione diretta da parte dell’editore di copie a terzi (definite vendite in blocco, con buona pace del lessico giuridico). Infatti, la riforma prevede due nuovi requisiti: il primo è rappresentato da un limite dello sconto massimo praticabile da parte dell’editore che non può essere superiore al cinquanta per cento del valore facciale; il secondo è che tale tipologia di cessione del prodotto editoriale non può superare un quinto della diffusione minima prevista, ai fini dell’assolvimento di quest’obbligo di legge. In altri termini, ai fini del requisito della diffusione minima, le cosiddette (dal legislatore proponente, non da noi) vendite in blocco non possono superare il sei per cento per le testate nazionali ed il dodici per cento per quelle locali. Se il secondo limite può avere una ratio, ossia quello di sostenere la diffusione in edicola e tramite abbonamento, privilegiando il rapporto diretto tra editore e lettore, il primo è un’ulteriore testimonianza dell’assenza di conoscenza del settore. Uno sconto massimo pari al cinquanta per cento del prezzo di copertina significa impedire ogni possibilità di serio sviluppo per i prodotti editoriali editi da imprese assistite dal contributo. Ora, riteniamo che il sistema di sostegno diretto vada riformato, spingendo il più possibile le imprese verso l’autonomia dall’assistenza pubblica e, quindi, verso il mercato. Ma con queste norme si ingessano e si emarginano, relegandole sempre più ad uno stato di imprese assistite.
Ai fini della definizione di testate locali, il disegno di legge Levi le qualifica in base alla diffusione e precisamente rientrano in questa categoria quelle la cui diffusione sia concentrata per almeno il settanta per cento in non più di quattro regioni. Questa norma appare condivisibile, in quanto meglio correlata con la ripartizione geografica delle regioni italiane.
Infine, il disegno di legge prevede l’esclusione dal diritto ai contributi per le imprese editrici di testate poste in vendita in abbinamento con altri prodotti editoriali. Anche in questo caso si privano le imprese beneficiarie dei contributi diretti di autonomia imprenditoriale, con il discutibile risultato di subordinare la sopravvivenza di queste al sistema assistito.
Un ulteriore adempimento riguarda l’obbligo di sottoporre il bilancio di esercizio ad una procedura di revisione da parte di una società di revisione iscritta all’apposito albo tenuto dalla Consob.
Da tale obbligo sono esonerate unicamente le imprese editrici di quotidiani organi di movimenti politici e di minoranze linguistiche in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare. Infatti, per dette imprese l’obbligo è limitato a sottoporre a revisione, nelle medesime modalità, solo il conto economico di testata.
Il conto economico di testata rappresenta il modello con il quale le imprese sono tenute a rappresentare agli Uffici i costi sostenuti per l’attività di edizione del giornale.
Fino al 2005 il modello, introdotto dal D.P.R. n 525 del 2 dicembre 1997, era ancora predisposto sulla base del conto profitti e perdite. Con la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 7 marzo 2007 è stato introdotto un nuovo modello, in linea con lo schema di conto economico previsto dall’art 2425 del codice civile, e l’obbligo di sottoporre a revisione anche il conto economico di testata. Tale adempimento è stato recepito, in sede di legislazione primaria, dal comma 293 dell’art. 2 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007.
La revisione del conto economico di testata appare in linea con l’esigenza di garantire l’inerenza della spesa pubblica con i costi direttamente inerenti l’attività di edizione della testata.
Il disegno di legge Levi regolamenta la revisione dei bilanci alla lettera g del comma 1 dell’articolo 18 lasciando sostanzialmente invariata la disciplina previgente.
In linea di principio la ratio che presiede questa previsione normativa è estremamente semplice. Nessun soggetto può, in qualsiasi maniera, beneficiare dei contributi diretti all’editoria per più di una testata.
Detto obbligo è più volte ripreso in diversi articoli ed in diverse leggi.
Anzitutto il comma 13 dell’art. 3 della legge n. 250/90 prevede che i contributi a favore delle imprese editrici di testate organi di movimenti politici e di minoranze linguistiche in possesso dei requisiti della rappresentanza parlamentare possano beneficiare dei contributi a condizione che le imprese non fruiscano, né direttamente né indirettamente, dei benefici diretti ad altro titolo erogati ai sensi della medesima legge[42]. Tale limite è, evidentemente, esteso anche ai soggetti che controllano l’impresa beneficiaria o che siano da questa controllati.
Il precedente comma 11-ter del medesimo articolo si applica a tutte le altre categorie beneficiarie dei contributi e prevede gli stessi limiti. La circostanza che una previsione così semplice sia articolata su due commi, che creano un ulteriore condizione di eterogeneità, oltre ad un sostanziale appesantimento della struttura complessiva normativa, sono un’ulteriore testimonianza della casualità della produzione legislativa degli ultimi anni.
A ciò si aggiungano la lettera b del comma 460 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 che prevede che nell’ipotesi in cui un soggetto partecipi a più cooperative tutte decadono dal diritto al contributo ed il successivo comma 574 che prevede un’uguale sanzione nell’ipotesi in cui si realizzi la fattispecie di cui al citato comma 11-ter dell’articolo 3 della legge n. 250 del 7 agosto 1990.
Come al solito l’iperproduzione legislativa crea una perdita di efficacia della previsione normativa. Che appare, di contro e nella sostanza, condivisibile. Ma in questa prospettiva, riteniamo che sarebbe necessario avere una sola norma che presieda l’argomento, prevedendo che nell’ipotesi di controllo o di collegamento di più imprese editoriali solo una possa percepire i contributi. Una volta fissata, in maniera semplice, la regola occorre garantire gli strumenti regolamentari ed amministrativi in grado di assicurare l’effettività della stessa. Non serve altro.
L’art. 4 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 prevede che l’assenza di collegamenti di tipo societario debba essere comprovata da dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. Ma, aggiunge, la norma, nell’ipotesi di collegamenti con altre società, queste ultime devono presentare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante che la stessa non ha presentato domanda di contributi; anche se non è un impresa editrice. La formulazione della norma è, a dir poco, infelice. Infatti, l’assenza di collegamenti con altre imprese editrici beneficiarie dei contributi già viene dichiarata da tutte le imprese richiedenti; con la relativa assunzione delle relative responsabilità. Non ha alcun senso giuridico chiedere alle società collegate di presentare una dichiarazione negativa; infatti, se l’impresa, o meglio il legale rappresentante, avesse presentato la domanda di contributi con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante l’assenza di collegamenti e di controllo con altre imprese richiedenti già avrebbe consumato un reato.
Ma il disegno di legge Levi non cambia direzione rispetto alla normativa previgente; infatti, il comma 5 dell’art. 19 prevede che nell’ipotesi di accertamento di situazioni di collegamento o controllo, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, anche attraverso società direttamente o indirettamente controllate, tra imprese che richiedono il contributo, tutte decadono dal diritto. A nostro avviso, sarebbe stato opportuno anche un esplicito richiamo all’ottavo comma dell’art. 1 della legge n. 416 del 1981 che delinea delle fattispecie di controllo tipiche delle imprese editoriali. Anzi, sarebbe stata opportuna, una revisione del medesimo comma 8, in modo da delineare in maniera chiara le fattispecie, utilizzando un’esperienza quasi trentennale di applicazione della legge sull’editoria. Occasione, evidentemente, sprecata.
Un ulteriore requisito è rappresentato dall’obbligo di iscrizione dell’impresa presso il Registro degli operatori della comunicazione, tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[43].
Il requisito dell’iscrizione è, evidentemente, collegato al controllo che l’Autorità effettua sulle imprese editrici, sulle materie di sua competenza e, in particolare, per le verifiche sui collegamenti societari, di cui al precedente paragrafo.
Tutte le imprese che operano nel settore dell’informazione sono soggette all’iscrizione al Registro degli operatori della comunicazione. E devono, presso detto registro, mantenere una posizione di regolarità. In tale prospettiva, riteniamo che la mancata concessione dei benefici rappresenti una sanzione accessoria rispetto ad un obbligo di legge.
Segnaliamo, infine che l’art.4 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 prevede che il requisito dell’iscrizione, ed aggiungiamo della regolarità, presso il Registro degli operatori della comunicazione, debba essere posseduto con decorrenza anteriore rispetto al periodo di riferimento dei contributi richiesti.
Ad ulteriore testimonianza della mancanza di sistematicità della normativa in tema di sostegno diretto all’editoria, negli ultimi anni, sono stati introdotti ulteriori vincoli. Se l’obiettivo era quello del contenimento della spesa, lo stesso non è stato raggiunto.
Il primo vincolo è rappresentato dall’obbligo posto a carico delle imprese di essere proprietarie della testata per la quale richiedono i contributi[44]. Da detto obbligo sono esonerate le imprese che avevano maturato il diritto ai benefici di legge alla data del 31 dicembre 2005. Trovare una ratio a tale norma è impresa ardua; trovarla al doppio regime è impossibile. La titolarità della testata non sempre coincide con l’impresa editrice. Ciò rientra nel regime di scelte imprenditoriali che è tutelato dall’art. 41 della Costituzione. Ed invero, il sostegno all’editoria è rivolto ad aiutare le imprese editrici e non i soggetti proprietari delle testate. Ma ipotizzare che la mancata proprietà della testata sia motivo per escludere l’impresa beneficiaria dal diritto ai contributi significa ignorare completamente la realtà editoriale italiana. Realtà nella quale la mancata coincidenza dei due soggetti rappresenta una situazione di debolezza strutturale della società editrice. Che, pertanto, andrebbe sostenuta e non penalizzata. Discorso completamente diverso sarebbe quello di porre vincoli alle capacità di ingerenze sulle scelte imprenditoriali ed editoriali delle società editrici da parte delle società proprietarie delle testate. Non c’è bisogno di nuove norme per definire le ipotesi di controllo e di collegamento; è sufficiente quanto previsto dal codice civile e dalla normativa speciale in materia[45]; ma è necessario che l’attività di verifica su dette fattispecie venga effettivamente svolta. Laddove si debba ulteriormente dimostrare l’assenza di ratio di questa norma, la stessa prevede che il canone di locazione della testata è escluso dai costi ammissibili al contributo per le imprese che alla data del 31 dicembre 2005 avessero maturato il diritto. Ed allora una deroga sui requisiti si trasforma in una norma di contenimento dei contributi; che avrebbe, o meglio potrebbe avere un senso solo se inserita in un impianto logico di definizione dei costi ammissibili.
Uscendo dalla teoria ed entrando nel merito riteniamo che l’obbligo di titolarità della testata debba essere rispettato nell’esercizio per il quale si richiedono i contributi e non nel periodo di maturazione degli stessi. Ciò in quanto la legge fa esplicitamente riferimento al diritto a percepire i contributi e non al periodo di maturazione degli stessi.
Altra natura ha l’obbligo, introdotto dall’art. 25 del decreto legge n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito dalla legge n. 286 del 24 novembre 2006, alle imprese che percepiscono i contributi di indicare tale circostanza tra i riferimenti obbligatori previste dall’articolo 2, secondo comma, della legge n. 47 del 8 febbraio 1947[46]. Si tratta di una norma rivolta a rendere trasparente al lettore la circostanza che la testata benefici di un sostegno diretto. In parte si può anche individuare una relazione con l’ultimo comma dell’art. 21 della Costituzione che prevede che la legge renda noti i finanziamenti alla stampa. Ma sarebbe, a nostro avviso, auspicabile che detto obbligo venga esteso a tutte le imprese editrici che beneficiano di contributi pubblici e non solo a quelle che ne usufruiscono ai sensi dell’art. 3 della legge n. 250/90.
Il disegno di legge Levi pone un ulteriore vincolo alla lettera b del comma 1 dell’articolo 18. Infatti, lo stesso prevede che l’accesso ai contributi è condizionato all’assunzione di almeno cinque giornalisti assunti a tempo pieno per i quotidiani e tre per i periodici. Scontato sembra il riferimento al contratto nazionale di lavoro, in quanto a nostro avviso occorre sottintendere che le imprese editrici debbano avere rapporti lavorativi in linea con quanto previsto dalla legge. E’ inutile ripeterlo.
A nostro avviso la norma ha un senso, in quanto orienta il sostegno verso iniziative editoriali che garantiscano una struttura redazionale minima. Ma può dimostrarsi inefficace, in quanto non collega sotto il profilo funzionale il contributo al numero dei giornalisti. In tale prospettiva, riteniamo che un importante innovazione, rivolta anche ad ottimizzare la spesa pubblica sarebbe rappresentata da un parametro che definisca i contributi sulla base dei dipendenti. Come detto, la premessa di un sistema di sostegno pubblico all’editoria è la garanzia di un sistema articolato e diversificato di informazione. Ma per produrre informazione occorre la materia prima: che non è la carta, ma le notizie. E per diventare fruibili e vendibili necessitano del lavoro dei giornalisti. Su questo, pensiamo, si potrà trovare la massima convergenza.
Se si sono riscontrate alcune difficoltà nell’esporre i criteri per l’accesso ai contributi, le modalità di determinazione degli stessi assumono connotati grotteschi. Anche in questo caso, la sovrapposizione di norme nel tempo, l’assenza di una linea guida ed il bilanciamento tra l’esigenza di tutelare il pluralismo e di contenere la spesa pubblica hanno creato una situazione che potremmo definire imbarazzante. Imbarazzo che, come vedremo, il disegno di legge di riforma attenua ma non elimina.
Prima di entrare nel merito delle modalità di determinazione e calcolo dei contributi è necessario evidenziare la natura degli stessi. I contributi previsti dai comma 2 e 10 dell’art. 3 della legge n.250/90 vengono erogati sulla base di due parametri: i costi sostenuti per l’attività di edizione della testata e la tiratura media di quest’ultima. E vengono erogati con una sostanziale limitazione determinata in base ai costi.
E’ pacifico, a nostro avviso, che si tratta di contributi in conto esercizio e, quindi, sono correlati ai costi sostenuti nel periodo di riferimento[47].
Una serie di norme che si sono succedute nel corso degli ultimi anni e che in seguito riporteremo nel dettaglio hanno delineato una strategia di indirizzo sulla natura dei costi ammissibili a contributo che riteniamo condivisibile. Al fine di fornire un quadro chiaro sul sistema riteniamo utile rappresentare prima le modalità di calcolo e, successivamente, entrare nel merito della tipologia di costi ammissibili a contributo.
In via preliminare, va evidenziato che le modalità di calcolo dei contributi previsti a sostegno delle imprese editrici di testate organi di movimenti politici e di minoranze linguistiche in possesso della rappresentanza parlamentare sono differenti da quelle previste a favore delle altre categorie. La differenza è rappresentata dall’intensità dell’aiuto che è maggiore nel primo caso, mentre il criterio è il medesimo.
Il sistema di calcolo è estremamente complesso.
Per la seconda categoria il comma 8 dell’art.3 della legge n. 250/90 prevede che gli stessi siano pari al 30% dei costi di testata sostenuti nell’esercizio di riferimento, con un limite massimo di 1.032.914 euro.
Inoltre, nell’ipotesi di tiratura annuale media superiore alle 10.000 ma inferiore alle 40.000 copie è previsto un ulteriore contributo pari a 258.228 euro. Per ogni scaglione di tiratura media di 10.000 copie superiore alle 40.000 copie e fino alle 150.000 copie è previsto un ulteriore contributo di 154.937 euro. Per ogni scaglione di tiratura media di 10.000 copie superiore alle 150.000 copie e fino alle 250.000 copie è previsto un ulteriore contributo di 103.291 euro. Infine, a partire dalle 250.000 copie per ogni scaglione di tiratura annuale media di 10.000 copie è previsto un contributo di 51.645,69 euro.
Per quanto riguarda le imprese editrici di testate organi di movimenti politici e di minoranze linguistiche in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare, i parametri del contributo variabile, ossia quelli sulle tirature sono i medesimi adottati per le altre categorie.
Mentre, in relazione al contributo sui costi, il comma 10 del medesimo art. 3 della legge n. 250/90 prevede che il contributo sia pari al 40 per cento dei medesimi costi, nei limiti di un importo massimo di 1.291.142 euro.
Ma la situazione è più complessa.
Infatti, il comma 11 dell’art. 3 della legge n. 250/90 prevede che alle imprese vada riconosciuto un ulteriore contributo, pari al cinquanta per cento di quello determinato con i criteri di cui sopra, nell’ipotesi in cui le entrate pubblicitarie siano inferiori al 30% dei costi[48]. Tale norma, inizialmente, prevista solo a favore delle imprese editrici di quotidiani organi di movimenti politici con rappresentanza parlamentare è stata gradualmente estesa a tutte le categorie[49].
Ma ancora, l’art. 2 della legge n. 278 del 14 agosto 1991 ha previsto un ulteriore integrazione del cinquanta per cento dei contributi previsti dai commi 11 dell’art. 3 e dal comma 2 dell’art. 4 della legge n. 250 del 7 luglio 1990 vadano raddoppiati[50].
Sarebbe stato molto più semplice e lineare raddoppiare direttamente i contributi previsti all’interno della norma primaria, senza ricorrere allo schema di sovrapposizione di norme che ha creato un sistema difficilmente spiegabile, in quanto incomprensibile, sia sotto il profilo della ratio che della logica.
I contributi calcolati sulla base dei parametri precedentemente descritti non possono superare il settanta per cento dei costi ammissibili[51] per le imprese editrici di quotidiani non telematici, organi di movimenti politici o di minoranze linguistiche in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare e del sessanta per cento[52] per le altre categorie di imprese.
I contributi così determinati sono ridotti del 2 per cento in applicazione del comma 1 dell’art. 10 del decreto legge n. 159 del 1 ottobre 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007.
Inoltre, per il medesimo comma il contributo non può superare il costo complessivo sostenuto nell’anno precedente per la produzione, la distribuzione ed i lavoratori dipendenti, compresi i collaboratori. Queste due ultime previsioni si applicano anche per le imprese editrici di periodici di cui parleremo nel prossimo paragrafo.
Il disegno di legge Levi ha provveduto, in parte, a razionalizzare il sistema.
La determinazione dei contributi è prevista all’art. 19 del disegno di legge che prevede che il contributo è pari al 40 per cento dei costi connessi all’attività di edizione di testata con un limite massimo di 2,2 milioni di euro per impresa, incrementato di euro 200.000 nell’ipotesi di tiratura annuale media compresa tra le 10.001 e le 50.000 copie e di ulteriori 400.000 euro per ogni scaglione di 10.000 copie di tiratura netta media compresa tra le 50.001 e le 150.000 copie. Il contributo complessivo non può, comunque, superare il sessanta per cento dei costi relativi all’attività di edizione della testata per le imprese editrici di giornali organi di movimenti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare e del cinquanta per cento per gli altri. Nell’ipotesi di edizione telematica di un prodotto editoriale organo di forza politica in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare il contributo a favore dell’impresa non può superare il valore del 40 per cento dei costi di testata. Inoltre, il limite complessivo del contributo a favore delle imprese editrici di quotidiani editi nelle lingue delle minoranze linguistiche non può superare il valore complessivo di euro 1,5 milioni di euro nell’ipotesi in cui siano interamente pubblicate nelle lingue elencate nella norma o di 750.000 euro nell’ipotesi siano, parzialmente, pubblicati anche in italiano.
Il sistema di calcolo è, come detto, sicuramente più semplice, soprattutto per l’eliminazione dei c.d raddoppi ma mantiene con tutta evidenza il medesimo impianto della normativa previgente. Inoltre, è evidente una redistribuzione delle risorse che sembra, purtroppo, mantenere indenni le imprese editrici dei quotidiani a maggiore tiratura, penalizzando in maniera significativa le realtà di dimensioni minori.
Il sistema di determinazione dei contributi a favore dei periodici è più semplice di quello previsto per i quotidiani.
Per tutte le imprese, i contributi sono calcolati in ragione del 30 per cento dei costi connessi all’attività di edizione della testata, con un limite massimo di 310.000 euro, cui si aggiunge un contributo variabile nell’ipotesi di tiratura media annuale superiore alle 10.000 copie, pari ad euro 207.000[53].
Questo è il sistema principale di determinazione del contributo che subisce, a questo punto, una differenziazione a favore delle imprese editrici di periodici organi di movimenti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare. Infatti, solo a questa categoria di impresa si applicano i contributi integrativi previsti a favore dei quotidiani. Inoltre, in questa ipotesi il limite massimo del contributo è fissato in ragione del 70 per cento dei costi di testata, mentre per le altre due categorie questo limite è fissato in ragione del 50 per cento dei medesimi costi.
Il disegno di legge Levi, fermi rimanendo i nuovi parametri in termine di percentuale sui costi, mantiene sostanzialmente invariato il sistema per le cooperative editrici di periodici, per le quali il limite massimo, nell’ipotesi di tirature annuali medie superiori alle 10.000 copie viene portato ad euro 500.000, con una riduzione di euro 20.000. Mentre, sotto questo profilo, equipara le imprese editrici di periodici organi di movimenti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare a quelle editrici di giornali quotidiani. Con i relativi e positivi effetti in termine di spesa pubblica.
Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto delle limitazione sui costi ammissibili, al fine di contenere la spesa complessiva.
Come detto, i costi di testata sono sottoposti alla revisione che deve essere effettuata da una società iscritta all’apposito Albo tenuto dalla Consob.
In relazione ai contributi, la legge fa sempre riferimento ai costi risultanti dal bilancio, compresi gli ammortamenti, ma, con le eccezioni che diremo nel seguito, mancano indicazioni sulla tipologia dei costi ammissibili[54]. Da tale angolo visuale è necessario ricondursi ai principi contabili ed alla prassi dell’Amministrazione.
E’ evidente che i costi ammissibili sono unicamente quelli connessi all’attività di edizione della testata. In tale prospettiva, riteniamo che la verifica dell’inerenza tra costi e testata debba essere effettuata da parte della società di revisione sulla base del modello dei costi adottato con il regolamento di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo 2.2.5.
Riteniamo che non sia questa la sede per analizzare la prassi seguita dall’Amministrazione nella determinazione dei costi da ritenere ammissibili o meno. Infatti, dette scelte rientrano, a nostro avviso, nell’ambito dell’attività ordinaria della pubblica amministrazione ed eventuali contestazioni circa i criteri adottati devono essere mosse in sede giudiziaria. In relazione a detto argomento, comunque, va dato atto all’Amministrazione che il nuovo modello adottato rende uniforme e conforme al codice civile le modalità di rappresentazione dei costi sostenuti per l’attività di edizione delle testate ammesse ai benefici.
Per quanto concerne i costi non ammissibili sulla base di disposizioni di legge, occorre anzitutto fare riferimento al comma 455 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005 che prevede che i costi sostenuti per collaborazioni, comprese quelle di natura giornalistica, sono ammessi nel limite del 10 per cento degli altri costi ritenuti ammissibili. La norma apre una serie di problemi di natura interpretativa, in quanto il generico riferimento alle collaborazioni non consente un collegamento funzionale alle varie fattispecie ipotizzabili. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi, quanto mai ricorrente nelle imprese editoriali, di cessione di diritto di autore o a quelle di prestazioni effettuate da lavoratori autonomi. In tale prospettiva sarebbe auspicabile un regolamento che, nell’ambito delle previsioni del legislatore, chiarisca le fattispecie cui la norma fa riferimento.
Inoltre, la successiva lettera c del comma 460 della medesima legge, in relazione all’ipotesi di affitto della testata, fattispecie ricordiamo residuale, esclude dai costi ammissibili il canone pagato per la locazione alla società titolare della medesima testata.
Infine, la seconda parte del comma 574 sempre della suindicata legge prevede che i costi ammissibili non possano superare, su base annua, quelli dell’esercizio precedente per una percentuale superiore a quella del tasso programmato di inflazione. Il riferimento è, esplicitamente, ai costi ammissibili e non a quelli ammessi. Pertanto, a nostro avviso, detto limite va calcolato anno su anno non sui costi ammessi nell’esercizio precedente ma su quelli, per l’appunto, ritenuti dall’Amministrazione ammissibili, prima dell’applicazione del limite in oggetto.
Infine, nonostante sotto il profilo metodologico detto limite non riguardi i costi ammissibili ,ma la determinazione del contributo, per semplicità espositiva segnaliamo che il comma 1 dell’art. 10 del decreto legge n. 159 del 1 ottobre 2007, convertito dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007 ha previsto che per gli esercizi 2007 e 2008 i contributi siano ridotti di una percentuale pari al 2 per cento.
E’ evidente che il riferimento di questa norma agli esercizi 2007 e 2008 è dovuta dall’aspettativa che il disegno di legge Levi potesse essere approvato entro l’esercizio 2008. Su questo punto rileviamo che, a prescindere dal termine della precedente legislatura, il disegno di legge Levi, innumerevoli volte annunciato e ben due volte approvato dal Consiglio dei Ministri, non è mai approdato in Parlamento e ci pare quanto mai improbabile l’ipotesi in cui lo stesso avesse potuto essere discusso ed approvato dalle Camere entro il 31 dicembre 2008.
Le domande di accesso ai contributi devono essere presentate ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 entro il termine perentorio del 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento dei contributi, esclusivamente attraverso raccomandata postale.
Ai sensi del secondo comma dell’articolo 10 del decreto legge n. 159 del 1 ottobre 2007, convertito dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007, la trasmissione dell’intera documentazione deve avvenire, a pena di decadenza entro il termine perentorio del 30 settembre dell’anno successivo a quello di riferimento dei contributi.
Una delle condizioni per l’erogazione degli stessi è la regolarità della posizione e dei pagamenti degli oneri contributivi e previdenziali. Detto obbligo è esplicitamente previsto dal comma 36 dell’art. 2 della legge n. 549 del 28 dicembre 1995.
Il comma 4 dell’art. 10 del decreto legge n. 159 del 1 ottobre 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007, ha precisato che la regolarità contributiva previdenziale va conseguita, per l’anno di riferimento dei contributi, entro il termine perentorio del 30 settembre dell’esercizio successivo a quello di riferimento degli stessi. Inoltre, la presenza di piani di rateizzazione dei pagamenti e ricorsi giurisdizionali realizzano, per esplicito riferimento normativo, la condizione della regolarità contributiva.
La verifica dell’esistenza della regolarità contributiva da parte dell’impresa che richiede i benefici di legge è a carico dell’Amministrazione. Infatti, il secondo comma dell’art. 18 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 prevede che l’acquisizione dei documenti che attestino stati soggettivi in possesso di altri enti pubblici è onere delle pubbliche amministrazioni. L’impresa, invece, è tenuta a fornire all’amministrazione gli estremi dell’iscrizione agli enti previdenziali.
Ai sensi del comma 4 dell’art. 3 della legge n. 250 del 7 agosto 1990, l’intera documentazione deve essere sottoposta al parere, obbligatorio ma non vincolante, della Commissione tecnico consultiva, regolamentata dal D.P.R. n. 268 del 27 aprile 1982[55].
Un ulteriore profilo da affrontare è quello della natura di questo tipo di contributi e, in particolare, il la natura obbligatoria degli stessi, nell’ambito del rapporto tra fabbisogno e fondi stanziati.
In questo caso, la situazione sembra peggiore per le imprese editrici di testate organi di movimenti politici o di minoranze linguistiche in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare.
Infatti, il comma 10 dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, che si riferisce esclusivamente a queste due categorie condiziona, esplicitamente, la corresponsione dei contributi e, quindi, il diritto sovrastante, ai fondi, con la seguente locuzione: “A favore delle imprese…. omissis…… nei limiti delle disponibilità dello stanziamento di bilancio, è corrisposto… omissis”.
Nulla dice, invece, la legge per le altre categorie di imprese. Il che determina che queste ultime dovrebbero essere pagate sulla base delle norme indicate per la determinazione dei contributi, ed a prescindere dalla disponibilità dei fondi. Anche in questo caso è evidente che si è in presenza di norme disarticolate e, diremmo, quasi improvvisate. Infatti, se così fosse, bisognerebbe prima pagare tutte le imprese appartenenti alla seconda categorie e poi, utilizzare la parte residua per pagare la prima categoria di impresa, che dovrebbero augurarsi che le residuino le risorse. Ma non solo. L’amministrazione è costretta a muoversi nel sottile confine delineato tra un diritto soggettivo delle imprese e le disponibilità di bilancio. Tra l’altro l’assenza di una norma di principio crea una serie di problemi applicativi a carico dell’amministrazione che si trova in una situazione derimente rispetto all’ipotesi di ledere un diritto soggettivo di un’impresa o di creare un danno erariale. E sotto questo profilo, per fortuna, per pagare c’è bisogno del denaro ed il soccorso è prestato dalle norme in tema di bilancio dello Stato e di contabilità pubblica.
Su quest’argomento segnaliamo le modifiche apportate negli ultimi anni. Infatti, prima il comma 1246 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 ha precisato che i pagamenti di questa tipologia di contributi si effettuano, nell’ipotesi di insufficienza dei fondi, mediante il riparto percentuale tra gli aventi diritto, mentre le quote residue verranno erogate negli esercizi successivi. E più recentemente, il comma 294 dell’articolo 2 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 ha previsto, in applicazione del precedente comma 1246, che la somma disponibile è attribuita ai soggetti legittimati in proporzione all’ammontare del contributo spettante a ciascuna impresa. Ma, come è chiaro, il problema di fondo non è stato risolto; in quanto, non è stato affrontato.
La normativa in materia di sostegno all’editoria non si esaurisce nelle misure che abbiamo sino ad ora descritto. Infatti, oltre alle leggi n. 250 del 7 luglio 1990 e n. 416 del 1981, che, comunque, prevedono ulteriori fattispecie, diverse norme comprese nella normativa generale sono intervenute su questo delicatissimo tema.
Il sistema di contributi a favore dei soggetti editori di testate organi di movimenti politici non si esaurisce con le agevolazioni a favore della stampa.
Infatti, l’articolo 4 della legge n. 250/90 prevede che le imprese radiofoniche editrici di testate organi di movimenti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare abbiano diritto ai medesimi contributi previsti per la stampa.
A questa categoria sono state assimilate dal comma 13 dell’art. 7 della legge n. 112 del 3 maggio 2004 le imprese emittenti di canali tematici satellitari.
Anche in questo caso è stato creato un doppio canale. Infatti, l’attuale requisito della rappresentanza parlamentare è stato introdotto dal comma 1247 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006. La medesima norma ha, invece, salvaguardato le imprese che già avessero maturato il diritto al 31 dicembre 2005, garantendogli l’accesso ai benefici di legge a condizione che editino una testata organo di un movimento politico rappresentato in almeno un ramo del Parlamento.
Pertanto, in relazione al requisito della rappresentanza esiste un doppio binario. Infatti, per le imprese che avessero maturato il diritto al contributo alla data del 31 dicembre 2005 il requisito della rappresentanza viene soddisfatto attraverso l’indicazione in testata della fattispecie ed attraverso un’attestazione rilasciata dal segretario generale di una delle Camere riguardo l’appartenenza di almeno un deputato al movimento politico di cui la testata è organo; mentre per le restanti imprese è necessario che il partito di cui la testata è organo abbia un proprio gruppo parlamentare costituito in uno dei due rami del Parlamento. Differenza non da poco. Inoltre, a nostro avviso, si applica alla seconda categoria di imprese il comma 460 dell’art 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005, per cui le stesse devono essere costituite sotto forma di cooperativa.
La testata giornalistica deve essere registrata presso il Tribunale competente e la principale condizione posta è l’autoproduzione per almeno il cinquanta per cento delle ore di trasmissione nella fascia oraria compresa tra le ore 7,00 e le ore 20,00.
Il contributo è commisurato ai costi sostenuti nell’esercizio di riferimento ed è pari al settanta per cento degli stessi. Nell’ipotesi in cui le entrate pubblicitarie siano inferiori al venticinque per cento dei costi viene corrisposto un ulteriore contributo integrativo, pari al cinquanta per cento di quello base. Comunque, la somma dei due contributi non può superare l’ottanta per cento dei medesimi costi.
Un caso particolare è rappresentato dalle cooperative giornalistiche che editano agenzie di stampa quotidiane. Infatti, il comma 30 dell’art. 2 della legge n. 549 del 28 dicembre 1995 equiparò questa categoria di imprese a quelle editrici di quotidiani, a condizione che trasmettessero i notiziari attraverso canali in concessione esclusiva dell’Ente Poste italiane. L’art. 7 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 chiarì che il contributo andava erogato solo in relazione ai costi connessi alla trasmissione effettuata con detta modalità, prevedendo la riparametrazione nell’ipotesi di diverse modalità di trasmissione.
Il successivo comma 15 dell’art. 153 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997 provvide ad equiparare, ai fini di questa tipologia di contributi, i canali satellitari in uso esclusivo alle agenzie di informazione radiofonica ai canali in concessione esclusiva dall’Ente Poste italiane. La norma derivava dalla necessità di prevedere il termine della concessione in esclusiva all’Ente Poste dei sistemi di trasmissione, dovuto all’imminente processo di liberalizzazione del settore della trasmissione dati.
Anche in questo caso è stato creato un sistema chiuso che, di fatto, favorisce pochissime imprese. Ma a differenza del sistema di contributi a favore della stampa, dove, comunque, rimane una piccola porta aperta per le nuove iniziative, in questo caso esiste una inibizione totale a carico di queste ultime.
Inoltre, la matrice del sostegno alle agenzie di stampa è profondamente diverso da quello alla stampa quotidiana e periodica.
Comunque, le agenzie di stampa hanno diritto ai contributi previsti dalla lettera a del comma 8 dell’art. 2 della legge n. 250/1990 e, pertanto, ad un contributo pari al 30 per cento dei costi sostenuti per l’attività di edizione dell’agenzia.
Come anticipato, in relazione alle imprese editrici di quotidiani editi nelle lingue delle minoranze linguistiche, esiste anche un sistema di contributi a favore delle emittenti radiotelevisive che trasmettono programmi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. I contributi all’emittenza radiotelevisiva esulano dalle finalità del presente lavoro, nonostante siano, di fatto, ben più consistenti di quelli previsti a favore della stampa. Ma la collocazione del sistema di sostegno alle emittenti di confine tra i contributi alla stampa e l’assimilazione che il legislatore opera rispetto alla stessa ci hanno indotto a trattare dell’argomento.
Questa tipologia di intervento è previsto dal comma 2-ter dell’art. 3 della legge n. 250/90, come modificato dalla legge n. 62/01 e, successivamente, dal comma 717 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006.
Le emittenti radiotelevisive, oltre chiaramente alle condizioni indicate in precedenza, devono rispondere ai seguenti requisiti: a) editare il notiziario radiotelevisivo da almeno cinque anni; b) prevedere con norma statutaria il divieto di distribuzione degli utili nell’esercizio di riscossione dei contributi e nei dieci esercizi successivi; c) avere avuto nell’esercizio di riferimento dei contributi ricavi pubblicitari inferiori al trenta per cento dei costi; d) sottoporre il bilancio alla procedura di revisione da parte di una società iscritta alla Consob; e) trasmettere ogni giorno tra le ore 6,00 e le ore 22,00 e per oltre la metà del tempo di trasmissione programmi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, prodotti almeno in parte dalle stesse emittenti radiotelevisive o da terzi per loro conto[56]; f) possedere i requisiti previsti dai commi 2-bis e seguenti dell’art. 1 del D.L. n. 5 del 23 gennaio 2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 66 del 20 marzo 2001[57]
Per questa categoria di imprese il contributo non può superare il valore complessivo di due milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2007, 2008 e 2009. Ciò significa che in presenza di un fabbisogno superiore rispetto alle disponibilità dei fondi, il pagamento verrà effettuato sulla base di una riparametrazione. La ripartizione viene prima effettuata tra le emittenti radiofoniche e poi tra quelle televisive, sulla base del numero delle domande inoltrate. Per la ripartizione interna, invece, si tiene conto di due parametri diversi. Infatti, per le emittenti radiofoniche si tiene conto del regolamento introdotto dal Decreto del Ministero delle Comunicazioni n. 225 del 1 ottobre 2002, in attuazione dell’articolo 52, comma 18, della legge n. 448 del 28 dicembre 2001[58], mentre per le emittenti televisive la ripartizione viene effettuata in base al semplice rapporto tra fabbisogno e quota di finanziamento disponibile.
Un’ulteriore categoria di soggetti beneficiari dei contributi diretti è costituita dalle imprese editrici di periodici costituite sotto forma di cooperative, fondazioni o enti morali, ovvero da società la cui maggioranza del capitale sia detenuta dai soggetti dianzi indicati[60]. Nell’ipotesi in cui i soci abbiano quote o azioni individuali inferiori al 3 per cento del capitale sociale, la seconda condizione si intende soddisfatta anche nell’ipotesi in cui uno dei soggetti qualificanti detenga la maggioranza relativa del capitale sociale.
La prima condizione per accedere a questa categoria di contributi è quella dell’anzianità. E questa condizione testimonia, da sola, l’anacronismo dell’intero sistema. Infatti, per accedere ai contributi le imprese devono avere editato negli anni 1988 e 1989 il periodico con la periodicità minima prevista. Il riferimento temporale, evidentemente, non ha alcun senso, se non quello di aver individuato, per l’ennesima volta, una categoria residuale. Le ulteriori condizioni previste dalla legge sono: a) le imprese devono aver acquisito nell’anno precedente a quello di riferimento, ricavi da pubblicità inferiori al quaranta per cento dei costi risultanti dal bilancio; b) i periodici editati devono avere contenuto prevalentemente informativo; c) devono rispettare la periodicità minima[61]; d) devono prevedere negli statuti il divieto di distribuzione degli utili.
I contributi vengono erogati sulla base delle copie stampate e sono pari ad euro 0,20 per copia stampata fino a 30.000 copie di tiratura media. E’ importante sottolineare che per questa categoria di società non è previsto il limite di una sola testata ammissibile a rimborso, per cui un’impresa può richiedere il contributo per tutte le testate edite per le quali abbia maturato il relativo diritto.
Il disegno di legge Levi interverrebbe all’articolo 20 in maniera decisiva su questo tipo di contributi, apportando delle modifiche importanti e, in larga parte, condivisibili.
La modifica principale riguarderebbe il periodo di maturazione del diritto ai benefici di legge; infatti, il nuovo testo avrebbe come condizione temporale per l’accesso l’attività ininterrotta di edizione del periodico da almeno cinque anni da parte dello stesso soggetto. In altri termini si perde il riferimento, come detto privo di senso, al biennio 1988 e 1989. L’altra modifica riguarderebbe il rapporto tra ricavi di pubblicità d’impresa e relativi costi che viene portato dal quaranta per cento al venti per cento. Tutti gli altri requisiti rimarrebbero immutati.
Non viene modificato il sistema di determinazione del contributo. Ma al contempo, viene istituito un fondo di dieci milioni di euro, per cui laddove il fabbisogno fosse superiore rispetto ai fondi disponibili si procederebbe alla ripartizione percentuale tra gli aventi diritto.
3.5 Imprese editrici di quotidiani editi in Italia e teletrasmessi all’estero
Il comma 2 dell’art. 3 della legge n. 62 del 7 marzo 2001 ha introdotto un sistema di contributi a favore delle imprese editrici di quotidiani in Italia che teletrasmettano in Paesi extra Ue.
La finalità di questo intervento è quello di favorire, evidentemente, la diffusione all’estero dei quotidiani editi in Italia. L’esclusione delle copie cedute all’interno dell’Unione Europea è rivolta ad evitare una eventuale procedura di infrazione comunitaria. Infatti, in questa ultima ipotesi l’intervento favorirebbe prodotti editoriali italiani nell’ambito del mercato comune, con un rischio di distorsione dei meccanismi concorrenziali[62].
Il contributo è pari al cinquanta per cento dei costi annui sostenuti per la carta, la stampa e la distribuzione relativi alla diffusione nei Paesi extra Ue del quotidiano. Condizione per l’ammissibilità dei costi è il possesso di una tiratura superiore alle 10.000 copie medie annue, o per rateo, nel singolo Paese di destinazione.
Inoltre, l’erogazione del contributo è condizionata ad un contenuto redazionale non inferiore al cinquanta per cento di quello dell’edizione diffusa nella città italiana presso il cui Tribunale la testata è registrata.
Il fondo complessivo destinato a tale tipologia di contributi è pari a 2.065.827 euro. Nell’ipotesi in cui il fabbisogno annuale si riveli superiore rispetto ai fondi disponibili si procede alla ripartizione dei fondi tra gli aventi diritto sulla base del numero delle copie stampate e diffuse nei Paesi di riferimento.
I contributi a favore dei periodici editi e diffusi all’estero rappresentano una delle più datate forme di contribuzione. Infatti, l’impianto di queste agevolazioni si trova all’art. 26 della legge n. 416 del 5 agosto 1981.
L’obiettivo di questo intervento è lo sviluppo della diffusione dell’informazione italiana e la salvaguardia dell’identità linguistica delle comunità italiane all’estero. In particolare, la norma fa riferimento alla conoscenza dei fatti e dei problemi dei lavoratori italiani all’estero.
I contributi vengono erogati a favore dei periodici, con periodicità almeno trimestrale, editi e diffusi prevalentemente all’estero e di quelli editi in Italia ma diffusi prevalentemente all’estero.
Il fondo è pari a 2.065.827 euro[63] ed è ripartito tra gli aventi diritto in ragione dei seguenti parametri: a) diffusione del periodico tra i cittadini italiani all’estero; b) natura e consistenza dell’informazione prodotta; c) apporto alla conoscenza dei fatti italiani e dei problemi delle comunità italiane all’estero.
Come si vede, si tratta dell’unica misura fin qui individuata che prevede una valutazione di natura qualitativa sul prodotto e sull’informazione proposta. Riteniamo che questo tipo di valutazioni comportino sempre il rischio intrinseco dell’arbitrio dei soggetti cui è rimessa una valutazione quantomai complessa, in quanto riferita ad un prodotto per definizione immateriale.
La disciplina di dettaglio è contenuta nel D.P.R. n. 48 del 15 febbraio 1983. La valutazione dei requisiti è rimessa ad una Commissione il cui parere, a differenza di quella tecnico consultiva di cui abbiamo trattato nei precedenti paragrafi, ha natura vincolante[64].
L’art. 2 del D.P.R. opera una suddivisione tra due categorie di impresa e, in particolare, quelle che editano e diffondono all’estero e quelle che editano in Italia e diffondono le proprie testate prevalentemente all’estero. Le prime hanno l’obbligo di pubblicare il periodico prevalentemente in lingua italiana, mentre le seconde, oltre a detto obbligo, devono anche essere iscritte al Registro degli operatori della comunicazione, tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La Commissione determina la ripartizione dei fondi tra le imprese richiedenti, sulla base dei parametri previsti dalla legge, che opera una distinzione tra le imprese appartenenti alle due categorie, prima individuate.
Per le imprese che editano e diffondono all’estero il fondo complessivo è pari a 1.446.079 euro e la ripartizione avviene sulla base dei seguenti criteri: a) 206.582 euro in parti eguali tra tutti gli aventi diritto; b) 309.874 euro in proporzione al numero di uscite effettive nel corso dell’anno; c) 309.874 euro in proporzione al numero delle pagine pubblicate nel corso dell’anno, con esclusione degli spazi riservati alla pubblicità e riparametrate ad un formato standard; d) 309.874 euro in proporzione alla natura informativa ed all’apporto in termini di informazione a favore delle comunità italiane all’estero; e) 309.874 euro in proporzione alla tiratura complessiva annua.
Per le imprese che editano in Italia e diffondono all’estero l’intensità del contributo è più bassa; infatti, il fondo complessivo è pari a 619.748 euro e la ripartizione avviene sulla base dei seguenti parametri: a) 103.291 euro in parti eguali tra gli aventi diritto; b) 103.291 euro in proporzione al numero di uscite effettive nel corso dell’anno; c) 103.291 euro in proporzione al numero delle pagine pubblicate nel corso dell’anno, con esclusione degli spazi riservati alla pubblicità e riparametrate ad un formato standard; d) 103.291 euro in proporzione alla natura informativa ed all’apporto in termini di informazione a favore delle comunità italiane all’estero; e) 206.582 euro in proporzione al numero delle copie inviate all’estero.
Le domande di contributi devono essere trasmesse al Dipartimento informazione ed editoria entro novanta giorni dalla fine dell’esercizio di riferimento, attraverso le rappresentanze diplomatiche o i consolati di riferimento. Queste ultime saranno tenute a fornire alla Commissione un parere circa la tiratura e la veridicità delle attestazioni delle imprese richiedenti le agevolazioni di legge.
Ricordiamo, inoltre, che come per le imprese editrici di quotidiani editi e diffusi all’estero, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 286 del 23 ottobre 2003 è necessario acquisire anche il parere, non vincolante, dei Comites.
I contributi a favore delle imprese editrici di periodici destinati ai non vedenti sono stati introdotti dal comma 5 dell’articolo 28 della legge n. 67/1987, e sono stati integrati dall’art. 8 del D.L. n. 542 del 23 ottobre 1996, convertito dalla legge n. 649 del 23 dicembre 1996.
Il contributo è riservato alle imprese editrici di periodici riservati ai non vedenti prodotti con caratteri tipografici normali, su nastro magnetico o in braille.
Il contributo annuale è pari ad euro 1.000.000 all’anno[65] e viene ripartito in maniera proporzionale tra le imprese aventi diritto.
La ripartizione viene effettuata in base al Regolamento adottato con il D.P.R. n. 78 del 3 aprile 1990. In particolare il fondo viene ripartito per un quinto in parti uguali tra i richiedenti e per la restante parte in base al numero delle uscite ed alla diffusione. L’accertamento dei requisiti e la ripartizione dei fondi viene effettuata da una Commissione tecnico consultiva che ha carattere deliberante[66].
L’art. 6 della legge n. 281 del 30 luglio 1998 ha introdotto una nuova categoria di beneficiari dei contributi all’editoria, rappresentata dalle associazioni che editano periodici rivolti ai consumatori[67].
La fonte primaria delegava direttamente la regolamentazione di dettaglio ad un decreto del Presidente del Consiglio. Ed infatti, il D.P.C.M. n.218 del 15 marzo 1999 ha disciplinato questa tipologia di contributi.
L’onere complessivo a carico dello Stato per questa misura è di 516.000 euro in ragione di anno.
L’accesso a queste agevolazioni è riservato esclusivamente alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale ed iscritte nell’elenco istituito presso il Ministero delle attività produttive[68].
Il contributo viene ripartito tra le imprese richiedenti sulla base dei seguenti criteri: a) il venticinque per cento tra gli aventi diritto in parti eguali; b) il venticinque per cento in base al numero di uscite effettuate nel corso dell’esercizio di riferimento; c) il restante cinquanta per cento in base al numero di copie effettivamente diffuse nel medesimo esercizio.
Le domande devono essere trasmesse, tramite raccomandata postale, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento al Dipartimento informazione ed editoria presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
I contributi a favore delle imprese editrici furono introdotti dall’art. 25 della legge n. 416 del 5 agosto 1981; successivamente l’art. 18 della legge n. 67 del 25 febbraio 1987 istituì un fondo annuale di 2.065.828, ridotto dal comma 15 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 ad euro 1.225.970, nonché dal comma 575 dell’art. 2 della legge n. 244 del 29 novembre 2007.
In questa ipotesi la legge, non fa riferimento all’impresa, ma alle testate. In altri termini la qualificazione per accedere ai benefici avviene sulla base della qualità della pubblicazione e non del soggetto che la edita.
Possono accedere a queste agevolazioni, erogate dal Ministero delle attività culturali, le pubblicazioni periodiche, le cui pagine pubblicitarie siano state nell’anno precedente inferiori al cinquanta per cento delle pagine complessivamente pubblicate e che vengano riconosciute di elevato valore culturale per il rigore scientifico dei lavori pubblicati.
La regolamentazione di dettaglio è contenuta nel D.P.R. n. 254 del 2 maggio 1983. Il profilo più dedicato è, a nostro avviso, il parametro relativo alla qualità scientifica della pubblicazione che, evidentemente, rientra nell’ambito di una valutazione arbitraria. L’art. 1 del D.P.R. prevede che i criteri da adottare siano i seguenti: a) esclusività del carattere culturale con riferimento al contenuto; b) rigore scientifico nella trattazione degli argomenti, nella struttura metodologica, nell’originalità degli apporti, considerando anche l’autorità culturale dei collaboratori della rivista[69], del direttore del comitato di redazione, del comitato scientifico, nonché l’ampiezza del corredo bibliografico; c) qualità e impegno nella composizione e nella grafica dei testi, compreso l’eventuale corredo iconografico; d) continuità e regolarità delle pubblicazioni e dei programmi di massima, possibilmente poliennali; e) carattere nazionale o regionale, particolarmente significativo, del contenuto, della diffusione e della varietà dei collaboratori[70]; f) eventuali traduzioni dei contenuti in altre lingue, anche classiche.
In attuazione del disposto dell’art. 25 della legge n. 416/81 il D.P.R. in commento all’art. 3 fissa nel venti per cento il limite percentuale massimo di spazio dedicato alla pubblicità a pagamento oltre il quale viene escluso l’accesso ai contributi.
Inoltre, sono escluse dai benefici in oggetto le pubblicazioni edite dallo Stato, dalle pubbliche amministrazioni, dagli enti pubblici, dagli istituto di credito o finanziari o da soggetti non aventi come attività principale l’attività editoriale.
I contributi vengono ripartiti tra i soggetti aventi diritto. La domanda deve essere trasmessa entro il 30 settembre di ciascun anno al Ministero delle attività culturali. La valutazione delle pubblicazioni e del relativo carattere scientifico è effettuato da una Commissione istituita presso il Ministero[71].
L’ultima categoria di contributi diretti è rappresentata dalle agevolazioni telefoniche e postali. Riteniamo che questo tipo di intervento è assimilabile a quello fin ora descritto, in quanto si tratta di contributi in conto esercizio. Infatti, il beneficio è erogato su spese correnti e non è collegato ad alcun investimento. Segnaliamo che si tratta della maggiore voce di costo per il bilancio pubblico, in quanto le agevolazioni tariffarie sono rivolte indifferentemente a tutte le imprese editrici e non hanno limiti individuali di spesa.
La norma primaria è contenuta nell’art. 28 della legge n. 416 del 1981 che introdusse delle agevolazioni dirette rivolte a ristorare, in parte, i costi telefonici e quelli connessi alla spedizione postale dei giornali. Il regime originario è rimasto, nei fatti, immutato, nonostante gli enormi cambiamenti che si sono registrati nello scenario di riferimento.
Al fine di fornire un quadro chiaro al lettore abbiamo, comunque, operato una distinzione tra le agevolazioni telefoniche e le postali
L’art. 28 della legge 416/81 prevede un contributo pari al cinquanta per cento delle tariffe telefoniche applicate alle imprese editoriali che editano testate con una periodicità minima di nove numeri all’anno.
Ne deriva che possono accedere al beneficio solo le imprese che editino pubblicazioni con periodicità almeno mensile. Di contro, sono escluse le imprese che pubblicano testate con una periodicità inferiore (bimestrali, semestrali, ecc.). E tale disposizione è confermata dai commi 1 e 2 dell’art. 2 del decreto di attuazione dell’art. 28 della legge 416/81, emanato con il D.P.R. n. 49 del 15 febbraio 1983. In particolare, il comma 1 riprende il disposto dell’art. 28 stabilendo che la periodicità effettiva richiesta deve essere pari ad almeno nove numeri all’anno mentre il successivo comma 2 dispone che condizione sine qua non per l’accesso ai contributi è la pubblicazione di almeno tre quarti dei numeri corrispondenti alla periodicità dichiarata. Il mancato rispetto della periodicità minima richiesta, comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo di restituzione delle agevolazioni incassate. Ne deriva l’obbligo per le imprese richiedenti le agevolazioni di comunicare ogni mutamento che le riguardi inerente il venir meno dei requisiti e delle condizioni richieste che possano comportare la perdita dei benefici. In relazione alla tipologia di utenze le cui tariffe risultano agevolabili, oltre alle utenze telefoniche di qualsiasi tipo utilizzate per fonia o per trasmissioni di tipo telegrafico su rete pubblica commutata, il combinato disposto del comma 2 dell’art. 28 della legge 416/81 e del comma 2 dell’art. 3 del relativo decreto di attuazione estende la riduzione anche alla cessione in uso di circuiti telefonici e a larga banda punto a punto e multipunto in ambito nazionale per fonia e trasmissione dati[72], per l’utilizzazione telefotografia, telegrafica, fototelegrafica per le trasmissioni fac-simile a distanza delle pagine del giornale e delle telefoto per trasmissioni in simultanea, telegrafiche o fototelegrafiche con apparecchiature multiplex, nonché alle tariffe telex e telegrafiche. Per quanto riguarda le voci di costo rimborsabili presenti nei documenti di spesa e/o nelle fatture emesse dai gestori dei servizi, il comma 2 del D.P.R. 15 febbraio 1983, n. 49 precisa che le riduzioni sono applicabili alla tassazione per il traffico, ai contributi e ai canoni, forfetari o pari alle spese vive, anche concernenti apparecchiature terminali. Sono escluse, ai sensi del successivo comma 4, i contributi ed i canoni diversi da quelli previsti dai provvedimenti tariffari, i contributi ed i canoni per circuiti telegrafici, le indennità di mora e le somme corrisposte a titolo di risarcimento danno e simili e le aliquote delle tasse e delle soprattasse.
In relazione ai requisiti di cui le imprese editoriali devono essere in possesso per poter beneficiare delle riduzioni tariffarie, il comma 2 dell’art. 4 del D.P.R. 15 febbraio 1983, n. 49 richiede l’iscrizione dell’impresa nel Registro degli Operatori della comunicazione[73], tenuto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Nonostante il citato comma 4 preveda la presentazione della relativa certificazione attestante, per l’appunto, l’iscrizione nel Registro, continua ad essere applicato – fortunatamente per le imprese[74] – il disposto dell’art. 8 del citato D.P.R. in base al quale, in luogo della certificazione, è possibile presentare una copia della richiesta di iscrizione con riserva di produrre la relativa certificazione entro trenta giorni dal momento in cui questa viene rilasciata. Inoltre, nel caso in cui l’impresa editoriale abbia dipendenti, è richiesta la regolarità nelle posizioni contributive verso i competenti istituti previdenziali. Infine, i servizi di telecomunicazione oggetto dei benefici devono essere in uso esclusivo dell’impresa richiedente e, come più diffusamente spiegato nel prosieguo, non possono essere utilizzate per l’esercizio di attività diverse da quella editoriale. Infatti, le agevolazioni in commento sono concesse anche laddove l’impresa editoriale editi più testate e/o eserciti anche attività differenti da quella editoriale. In tali casi, laddove la promiscuità nell’utilizzo dei servizi non consenta la realizzazione di una distinzione nell’utilizzazione dei predetti servizi, l’impresa interessata è tenuta a presentare, sulla base dell’ultimo bilancio approvato, una dichiarazione attestante il fatturato riconducibile alle singole attività. Sulla base di questo, le agevolazioni saranno accordate, in misura percentuale, sulla quota di fatturato riferibile alla o alle attività editoriali. All’uopo, ai sensi del comma 3 dell’art. 5 del D.P.R 15 febbraio 1983, n. 49, le imprese beneficiare delle agevolazioni sono tenute a trasmettere ai gestori dei servizi, ogni anno e entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio, l’ammontare del fatturato realizzato nell’esercizio precedente e, nel caso di esercizio di più attività, la relativa ripartizione del fatturato. Per quanto attiene agli adempimenti e alle modalità per accedere ai benefici in commento, le imprese editoriali devono presentare la relativa istanza direttamente ai gestori dei servizi competenti. La domanda può essere effettuata in qualunque momento, indicando e allegando gli elementi richiesti dalla normativa richiamata. Ai sensi del combinato disposto del comma 4 dell’art. 28 della legge 416/81 e del comma 3 dell’art. 8 del relativo decreto di attuazione, i gestori sono tenuti ad accodare le agevolazioni spettanti a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della richiesta o, in caso di impresa non ancora esercente, dalla data successiva a quella di inizio delle pubblicazioni. Infine, per ottenere la convalida delle agevolazioni e non incorrere nella decadenza dai benefici previsti dall’art. 6 del D.P.R 15 febbraio 1983, n. 49, entro il 28 febbraio di ogni anno, le imprese beneficiarie sono tenute a trasmettere ai gestori competenti un’attestazione comprovante la periodicità conseguita nell’anno precedente, la sussistenza o meno di regolarità nelle posizioni contributive e il tipo di utilizzo delle utenze e dei servizi di telecomunicazioni per i quali si è beneficiato di tariffe ridotte.
Le agevolazioni postali sono rivolte a sostenere la diffusione in abbonamento dei prodotti editoriali. Si tratta, probabilmente, della forma di sostegno oggetto di maggiori critiche sia per l’ampiezza della categoria dei destinatari sia per l’inefficacia che ha dimostrato rispetto agli obiettivi.
I contributi alle spedizioni postali hanno subito molte trasformazioni negli ultimi anni, pur rimanendo l’impianto originario contenuto nell’art 28 della legge n. 416 del 1981.
In relazione ai destinatari di questa tipologia di benefici le norme di riferimento sono contenute nel D.L. n. 353 del 24 dicembre 2003, convertito dalla legge n. 46 del 27 febbraio 2004.
Le categorie di beneficiari sono essenzialmente due: a) le imprese editrici di quotidiani e periodici iscritte al Registro degli Operatori della Comunicazione tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;[75] b) gli enti non profit[76].
L’art. 3 del D.L. n. 353/2003 provvede ad una classificazione puntuale delle pubblicazioni escluse dai benefici[77].
Le tariffe agevolate vengono determinate, nei limiti di spesa fissati dallo stanziamento complessivo, sulla base di un decreto del Ministero delle Comunicazioni, da adottare di concerto con il Ministro dell’Economia. Alle imprese che hanno una tiratura inferiore alle 20.000 copie per numero viene applicata, in ogni caso, la tariffa più bassa, a prescindere dalla quantità di copie spedite[78].
Il D.L. n. 159 del 1 ottobre 2007, convertito dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007, ha apportato, ai commi 5 e 7 dell’art. 10, delle modifiche sia sull’intensità dei contributi che sui requisiti. Infatti, a partire dall’esercizio 2008 le agevolazioni tariffarie sono state ridotte del sette per cento per le imprese che beneficiano di agevolazioni fino ad un milione di euro e del dodici per cento per le restanti imprese. Inoltre, sono state escluse dai benefici le imprese che editano pubblicazioni dedicate prevalentemente all’illustrazione di propri prodotti o servizi contraddistinti dal proprio marchio o altro elemento distintivo.
Come detto, le agevolazioni in oggetto vengono erogate attraverso una riduzione della tariffa applicata direttamente dalle Poste S.p.A. Le imprese sono tenute a presentare all’ente gestore una domanda entro il 30 settembre dell’anno precedente, con una dichiarazione attestante la volontà di fruire per l’esercizio successivo dei benefici concessi dalla legge[79].
Le Poste si rivalgono sulla differenza tra la tariffa agevolata e quella commerciale, chiedendo il ristoro della stessa all’Amministrazione.
Come anticipato, a prescindere dalla valutazione dell’efficacia di questa misura di intervento, le agevolazioni postali hanno dato adito a molte perplessità, con particolare riferimento agli effetti distorsivi sulla concorrenza nel settore delle spedizioni postali.
Infatti, a seguito della liberalizzazione dei servizi postali l’erogazione dei contributi pubblici sulle spedizioni dei prodotti editoriali, erogati unicamente nell’ipotesi in cui si utilizzi un determinato operatore, rappresenta una palese violazione delle norme in materia di concorrenza. E la circostanza che detto operatore sia l’ex monopolista non può che, evidentemente, incrementare il livello del problema. In tale prospettiva si è espressa l’Autorità Antitrust nella prima parte dell’indagine conoscitiva, più volte citata ed alla quale rimandiamo per eventuali approfondimenti.
Ma già diversi anni fa il problema era emerso su indicazione esplicita dell’Unione Europea che aveva aperto, su questo tipo di contributi, una procedura di infrazione; il rilievo non aveva ad oggetto l’effetto sul mercato editoriale, bensì quello sul mercato dei servizi di recapito postale. Ed il legislatore intervenne con l’art del 41 della legge n. 448 del 1998 prevedendo che il contributo sarebbe stato pagato direttamente agli editori che avrebbero potuto liberamente scegliere il vettore. La norma sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2000. Ma seguendo una tipica prassi italiana, l’introduzione di questa misura fu annualmente prorogata, fino ad essere abrogata nel 2004, con il D.Lgs. n. 353 del 29 dicembre 2003.
Il disegno di legge Levi che, come abbiamo visto, non ha apportato modifiche strutturali al sistema generale dei contributi, su questo tema ha assunto, invece, una posizione netta che riteniamo condivisibile nell’impostazione di fondo.
Infatti, l’articolo 21 del testo trasforma l’agevolazione, attualmente erogata attraverso una riduzione diretta delle tariffe applicate, in un credito d’imposta rapportato alle spese sostenute per la spedizione dei prodotti editoriali.
Riteniamo, in premessa, necessario sottolineare che questa modalità di erogazione consente una migliore qualificazione del contributo; infatti, il pagamento diretto all’impresa determina la necessità per queste ultime di esporre i contributi alla voce a.5 del conto economico, favorendo la trasparenza dei benefici all’editoria.
L’agevolazione verrà erogata esclusivamente a fronte delle spese sostenute per la spedizione in abbonamento di copie nominative e cedute a titolo oneroso di quotidiani, periodici e libri.
La principale e, ripetiamo, condivisibile innovazione è rappresentata dal fatto che l’agevolazione viene erogata qualunque sia l’operatore ed il sistema prescelto. Inoltre, ulteriore ed importante novità è rappresentata dalla circostanza che viene incluso nel novero degli operatori l’intero sistema di distribuzione delle edicole.
Il contributo erogato è pari al cinquanta per cento dei costi complessivamente sostenuti nel periodo d’imposta di riferimento[80] per la spedizione dei prodotti editoriali aventi le caratteristiche prima individuate. Comunque, l’importo complessivo delle spese ammissibili non può eccedere la spesa complessiva che sarebbe derivata applicando le tariffe ordinarie per la spedizione dei prodotti editoriali. In altri termini, laddove il sistema di distribuzione prescelto si rilevasse più oneroso di quello postale, il contributo verrebbe conteggiato sulla base di quest’ultimo.
In relazione agli stanziamenti, la norma prevede un fondo annuale[81]. Attesa la prassi dell’amministrazione finanziaria degli ultimi anni nella gestione dei crediti d’imposta riteniamo presumibile che i fondi verranno destinati sulla base della tempistica delle prenotazioni degli stessi da parte delle imprese editrici.
La regolamentazione di dettaglio viene rinviata ad un regolamento da adottarsi con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Infine, il disegno di legge destina un fondo dedicato di 100 milioni di euro all’anno a favore delle spedizioni effettuate dai soggetti non profit. In questo caso, viene mantenuto un sistema di tariffe agevolate che andrebbe determinato con Decreto del Ministero delle Comunicazioni, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Come abbiamo detto, la riforma del sistema di agevolazioni postali ci sembra uno degli elementi maggiormente qualificanti la proposta di Levi in relazione alle modalità di sostegno al settore. Ciò soprattutto in relazione all’intermediazione, seppure parziale, delle Poste dell’intero stanziamento di bilancio.
Le agevolazioni sugli investimenti allo stato hanno un carattere estremamente residuale rispetto all’impianto complessivo della contribuzione diretta.
In realtà occorre segnalare che le profonde trasformazioni del ciclo industriale di lavorazione del prodotto editoriale hanno profondamente ridotto il livello dei costi di investimento nelle tecnologie, fatta eccezione per gli impianti di stampa. Ma proprio in tale prospettiva, trattandosi di interventi aventi natura industriale riteniamo che questo tipo di misure andrebbero sottratte alla legislazione speciale in materia di editoria ed informazione e fatte rientrare nelle competenze tipiche del Ministero dell’Innovazione e del Ministero delle Attività Produttive. In questa direzione vanno anche le indicazioni dell’Unione Europea che, infatti, distingue tra interventi sulla tutela del pluralismo, dell’informazione e dell’identità nazionale e contributi all’industria, potenzialmente distorsivi della concorrenza a livello sia nazionale che internazionale.
Gli ultimi interventi strutturali furono introdotti dagli artt. 5, 6,7 ed 8 della legge n. 62 del 7 marzo 2001. E’ necessario sottolineare che tutte le misure di intervento che verranno in appresso delineate sono alla stato prive di copertura finanziaria e, pertanto, inefficaci. Per tale ragione, la descrizione avrà carattere di sintesi.
Il Fondo per le agevolazioni di credito a favore delle imprese che operano nel settore editoriale è disciplinato dall’art. 5 della legge n. 62/01. Il Fondo in oggetto è, o meglio dire, era destinato a ridurre gli oneri finanziari derivanti da contratti di mutui, finanziamenti e leasing deliberati da soggetti autorizzati all’attività bancaria a fronte degli investimenti previsti dalla legge[82]. Ai contributi in oggetto sono ammesse tutte le imprese che partecipano al ciclo di produzione, distribuzione e commercializzazione del prodotto editoriale, e non solo le imprese editrici. In altri termini tutti gli operatori della filiera produttiva del settore sono potenzialmente destinatari dei benefici previsti dalla norma. Una quota pari al 5 per cento del Fondo è riservata alle imprese che nell’esercizio precedente a quello di presentazione della domanda per l’accesso alle agevolazioni presentino un fatturato inferiore ad euro 2.582.284 ed un ulteriore quota del 5 per cento è, invece, riservata alla imprese impegnate in progetti di particolare rilevanza per la diffusione della lettura in Italia o per la diffusione di prodotti editoriali in lingua italiana all’estero. Inoltre, una quota del 10 per cento è destinata a sostenere i progetti rivolti a razionalizzare il debito contratto dalle cooperative giornalistiche per i costi di gestione delle imprese.
I costi ammissibili sono pari al 90 per cento[83] della spese sostenute per il progetto, mentre la dotazione di scorte non può superare il 40 per cento delle spese sostenute per gli investimenti fissi ammessi al finanziamento.
Il contributo è pari al cinquanta per cento degli interessi pagati sull’importo ammesso al contributo, calcolati al tasso di riferimento fissato con decreto del Ministero dell’Economia, indipendentemente da quello effettivamente applicato.
La disciplina di dettaglio della procedura di erogazione è contenuta nel D.P.R. n. 142 del 30 maggio 2002. Segnaliamo che la legge opera una distinzione tra progetti con un valore inferiore a 516.000 euro, per i quali è prevista una procedura semplificata, e progetti di valore superiore, per i quali è prevista una procedura valutativa, estremamente più complessa.
Inoltre, il successivo art. 9 della legge n. 62/2001 istituì un fondo per la promozione del libro e dei prodotti editoriali di elevato valore culturale. Il Fondo è destinato a sostenere i progetti riguardanti la realizzazione e la commercializzazione di prodotti editoriali di elevato valore culturale ed i piani di esportazione e di distribuzione di prodotti editoriali italiani all’estero.
L’art. 8 introdusse, invece, un credito d’imposta per gli investimenti effettuati entro il 31 dicembre 2004, per un importo pari al 15% dell’investimento effettuato. Trattandosi di un’agevolazione non prorogata riteniamo inutile effettuare un approfondimento su tale misura.
Infine l’art. 15 della medesima legge introdusse un fondo per la mobilità e la riqualificazione professionale dei giornalisti dalla durata quinquennale e che si è, quindi, esaurito con l’esercizio 2006. Il disegno di legge Levi all’art. 23 provvede a rifinanziare il fondo per un periodo di cinque anni, con una dotazione finanziaria di 5 mni di euro all’anno per un quinquennio.
Il disegno di legge prevede, inoltre, all’art. 22 un decreto legislativo che reintroduca un credito d’imposta per gli investimenti effettuati dalle imprese che operano all’interno della filiera produttiva dell’industria editoriale. Il rimando al decreto legislativo e l’ampia delega prevista dalla norma (che, di fatto, limita esclusivamente il credito d’imposta ad una misura non superiore al 15% del costo sostenuto e vincola il finanziamento complessivo alle disponibilità previste dalla legge finanziaria) decadono, evidentemente, per la mancata discussione in Parlamento del disegno di legge.
Nell’ambito dei contributi indiretti all’editoria poca attenzione viene, generalmente, prestata alle agevolazioni fiscali sull’Iva che, a nostro avviso, rappresentano, in valore assoluto, il maggior onere a carico dello Stato.
L’applicazione dell’Iva al settore editoriale è regolamentata dalla lettera c del comma 1 dell’articolo 74 del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972. La specialità della normativa in tema di editoria rappresenta una ulteriore manifestazione dell’attenzione che lo Stato ha nei confronti del comparto. Infatti, gli altri settori ricompresi nella disciplina dell’art. 74 sono il commercio di prodotti distribuiti in regime di monopolio dallo Stato; i servizi di comunicazione; i servizi di trasporto; gli intrattenimenti ed i giochi; e la cessione di materiale di risulta.
Il regime Iva dell’editoria si fonda sul principio dell’imposta monofasica che individua, pertanto, un unico soggetto passivo: l’editore. In altri termini, il versamento dell’imposta viene effettuato a monte dall’editore e, pertanto, il bene viene liberato, nelle successive fasi di commercializzazione dall’imposta[84].
L’aliquota ordinaria prevista per l’Iva è fissata in misura pari al 4 per cento dal numero 18 del primo comma della tabella A/2 allegata al D.P.R. 633/72. I soggetti destinatari di tale aliquota sono i giornali e notiziari quotidiani, i dispacci delle agenzie di stampa, i prodotti editoriali cartacei, ad eccezione di quelli pornografici. A nostro avviso, attesa la definizione di prodotto editoriale contenuta all’art. 1 della legge n. 62/01[85], l’aliquota dell’Iva del 4 per cento andrebbe applicata anche ai prodotti editoriali diffusi per via telematica. In relazione a tale fattispecie, si deve rilevare, invece, la posizione di totale chiusura dell’amministratore finanziaria.
Infatti, può essere condivisibile la posizione del Ministero delle Finanze che con la Risoluzione n. 14/E 14 febbraio 2000, in risposta ad un interpello avente ad oggetto il trattamento fiscale, ai fini delle imposte indirette, del servizio di informazioni economico finanziarie fornite attraverso Internet, si espresse per l’inapplicabilità del regime Iva editoria a favore del richiedente. L’argomentazione era sostenibile[86], in quanto l’amministrazione ritenne che “de iure condito” non vi era alcuna norma che consentisse di qualificare l’editoria telematica come prodotto editoriale.
Ma, con la legge n. 62 del 7 marzo 2001 una norma che qualificasse l’editoria telematica come prodotto editoriale vi era; e come. Eppure l’agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 186/E del 30 settembre 2003, in risposta all’ennesimo interpello di un contribuente, con le medesime motivazioni negò, nuovamente, l’applicabilità dell’aliquota del quattro per cento per un prodotto editoriale diffuso in via telematica. La Risoluzione nega tale ipotesi con una ricostruzione logico giuridica che possiamo definire, a dir poco, singolare. Infatti, l’amministrazione parte dalla limitazione del regime agevolato che la propria circolare n. 328 del 1997 aveva riservato alle sole pubblicazioni cartacee, ponendola come premessa del ragionamento e non come interpretazione di parte, perché di questo si tratta, superata da una norma. E poi con il consueto appello alla normativa comunitaria, la Risoluzione equipara l’editoria elettronica al commercio elettronico e, pertanto, presuppone l’applicazione del regime previsto dalla direttiva 2002/38/CE del 7 maggio 2002 che, in realtà, tratta dei servizi prestati tramite mezzi elettronici, e non dell’informazione ceduta attraverso questo canale. Con argomentazioni, a nostro avviso, quanto mai deboli l’amministrazione finanziaria arriva, quindi, a qualificare il prodotto editoriale on line come una prestazione di servizi e, pertanto, come un’attività estranea al regime di agevolazione fiscale prevista per l’editoria.
Ora è evidente che tale differenziazione è quanto mai opinabile, in quanto la prevalenza del servizio sulla produzione viene direttamente collegata all’assenza della fase di stampa e di distribuzione classica del prodotto cartaceo. Ma definire l’editoria, classica o telematica, prodotto e non servizio, unicamente per la presenza di un’attività materiale di stampa significa ignorare completamente le fasi di lavorazione del prodotto editoriale[87]. Ma è evidente che la posizione dell’amministrazione finanziaria appare più rivolta a garantire un maggiore incasso dell’Erario che la corretta applicazione di una norma.
Come detto, una prima forma di agevolazione è costituita dall’aliquota ridotta dell’Iva.
E’ evidente che il principale beneficiario di questa agevolazione è il consumatore finale, in quanto l’aliquota ridotta si trasforma in un minor costo del prodotto finale. Infatti, atteso il regime monofasico dell’imposta, l’aliquota fiscale dell’Iva rappresenta una delle componenti che l’editore ha a disposizione per determinare il prezzo del prodotto editoriale. In questa prospettiva, possiamo dire che l’aliquota ridotta rappresenta una misura di stimolo alla diffusione dell’informazione e della lettura.
Natura diversa ha il sistema forfettario di determinazione della base imponibile che, attesa la presenza del contratto estimatorio, rappresenta, a nostro avviso, il maggiore contributo che lo Stato concede alle imprese editoriali, indirizzando, per la grandissima parte, le risorse alle imprese di maggiore dimensioni.
Come già detto, il prezzo del prodotto editoriale incorpora l’Iva. Il che significa che il fatturato, per quanto riguarda la cessione delle pubblicazioni editoriali, è pari al valore delle vendite, scorporata l‘Iva. Attesa la possibilità concessa alla rete di vendita di rendere le copie invendute agli editori, il fatturato dovrebbe, quindi, essere pari alla differenza tra il valore delle copie distribuite e quelle rese.
Ma il legislatore ha previsto un sistema di forfetizzazione delle rese, pari al 70% del distribuito per i libri ed al 80% per i quotidiani e periodici. In altri termini, l’imposta si applica sul 30% del valore della distribuzione per i libri e sul 20% del medesimo valore per i giornali[88]. Si tratta, evidentemente, di un’agevolazione di elevatissimo valore che non ha un impatto neutro sul mercato, pur essendo rivolta a tutti gli operatori del settore. Infatti, attesa la particolare configurazione del mercato distributivo italiano, caratterizzato dalla numerosità delle rivendite, solo le testate leader e con poco indice di sostituibilità riescono ad ottimizzare il piano distributivo e, quindi, ad avere indici di resa bassi. Ora il sistema delle rese forfettarie favorisce, in valore assoluto, le imprese editrici di testate che hanno un rapporto rese distribuito basso; ed è facile giungere alla conclusione che queste imprese sono quelle di maggiori dimensioni.
A ciò si aggiunga che un vantaggio fiscale deriva anche dalla commercializzazione attraverso la rete delle edicole dei prodotti collaterali che, sfruttando in primis la capillarità del sistema distributivo, hanno rappresentato una delle principali novità del mercato editoriale italiano negli ultimi anni. Ma anche in questo caso la distribuzione dei collaterali è, di fatto, esclusiva dei grandi gruppi editoriali, attese le forti economie di scala di questo sistema di diffusione.
Riteniamo che l’impostazione dell’agevolazione Iva sia condivisibile, attesa, però, la presenza di un sistema complessivo di sostegno che si ponga in un’ottica di riequilibrio della garanzia del sistema pluralistico. Ma, a questo punto, siamo in condizioni di giungere alle conclusioni sul sistema di sostegno all’editoria in Italia.
Dare un giudizio sul sistema italiano di sostegno all’editoria non è semplice. Comunque, è palese l’esigenza di provvedere ad una seria riforma complessiva che veda il sistema agevolativo come un corollario dell’impianto normativo e che non parta, invece, dal mantenimento del presente né dalle numerose istanze populiste e demagogiche che criticano i contributi senza conoscere la realtà di cui si parla.
Un primo, oggettivo, limite che si riscontra è dato dall’eterogeneità del sistema e dall’incredibile grappolo di lacci e lacciuoli che non hanno alcuna ragione sistematica, se non quella di ipotizzare risparmi che raramente si sono realizzati. Ed in tale prospettiva si segnalano le conclusioni della prima parte dell’indagine conoscitiva dell’Autorità per la concorrenza e per il mercato la quale, su questo punto ha segnalato che: “La prima considerazione che sorge dalla rassegna delle diverse tipologie di sostegno pubblico al settore dell’editoria è l’eterogeneità dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi, rispetto ai quali non è agevole individuare un disegno organico sottostante, orientato alla tutela del pluralismo. L’attuale assetto appare essere la risultante di una progressiva stratificazione di misure, aventi obiettivi non sempre convergenti e basate su parametri di attribuzione e quantificazione non univoci. Inoltre, alcune misure sono state attuate in maniera discontinua, rendendo disagevole una pianificazione di lungo periodo da parte delle attività delle imprese editoriali”.
Appare palese che l’asimmetria della normativa esistente è derivata dall’assenza di riforme organiche e dal continuo intervento di natura sporadica su norme pensate e scritte circa vent’anni fa. Interventi spesso realizzati in leggi finanziarie, con richieste di voti di fiducia.
Ed un primo aspetto che intendiamo affrontare è proprio questo. Il sostegno pubblico all’editoria è previsto dalla Costituzione e rappresenta una delle modalità di garanzie del pluralismo. Non è l’unica e non è detto che sia la migliore. Ma se lo Stato deve intervenire su questa materia lo deve fare con norme aventi carattere organico e che prescindano, per definizione, da tutele particolari e da possibilità di pressione sull’informazione da parte degli esecutivi. Il pluralismo per definizione non è materia delegabile, in alcun modo, agli esecutivi. A nostro avviso, i contributi pubblici sono pienamente legittimi quando sono erogati sulla base di una legge dello Stato, votata con piena consapevolezza dal Parlamento. Nel momento stesso in cui i Governi intervengono con strumenti normativi di natura straordinaria, come il decreto legge, o la legge finanziaria, un sistema di garanzia della democrazia si trasforma in un sistema condizionabile e condizionato. Un’impresa editoriale deve sapere quale sia la normativa vigente e decidere la propria linea editoriale. Ciò è impossibile se esiste anche la sola ipotesi che il Governo possa modificare le norme, ad esempio con un decreto legge o in finanziaria, adducendo l’assenza di risorse.
Il disegno di legge di riforma Levi[89] non aveva, a nostro avviso, lo spessore di una legge di riforma ma rappresentava l’ennesimo tentativo di rimediare ad alcune incongruenze dell’attuale sistema, creandone di nuove. Una riforma della legislazione dell’editoria richiede, a nostro avviso, una riscrittura completa della legge n. 416 del 5 agosto 1981, alla luce anche della normativa in tema di fornitori di contenuti presente nella recente legislazione in tema di emittenza radiotelevisiva. Perché un altro problema è che in un quadro di convergenza, oramai realizzata sotto il profilo industriale, la stampa continua ad avere una disciplina a parte che determina un’asimmetria, a nostro avviso, del tutto ingiustificabile. A prescindere dal sistema di agevolazioni.
Tornando al merito dei contributi riteniamo che attesa l’esigenza di una riforma, la stessa debba essere fatta sulla base di una reale conoscenza del sistema sul quale si va ad intervenire. A nostro avviso, mancano analisi reali del comparto e valutazioni serie sugli effetti sia dell’attuale legislazione sul pluralismo che, in via previsionale, di eventuali modifiche legislative. In altri termini, si lavora sul sentito dire.
Rileviamo, inoltre, che manca, sia nella normativa attuale che nel disegno di legge Levi, alcuna misura di sostegno rivolta a favorire le nuove iniziative. E l’assenza totale dell’editoria telematica tra i soggetti potenzialmente destinatari delle agevolazioni lascia, quantomeno, perplessi. Per non parlare della mancata applicazione dell’aliquota agevolata dell’Iva di cui abbiamo parlato.
Sarebbe forse ora che in Parlamento si torni finalmente ad occuparsi seriamente di profili essenziali per la democrazia.
[1] La rubrica della legge era: “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge n. 416 del 1981”. Passata per legge di sistema ha mostrato ben presto una portata limitatissima.
[2] Nonostante il disegno di legge non abbia alcun valore lo prenderemo come riferimento nell’analisi delle proposte di riforma, essendo il testo organico di riferimento più recente. Nel seguito del lavoro lo definiremo disegno di legge Levi per comodità di lettura, pur essendo contrari in linea di principio alla definizione delle leggi con il nome dei presentatori. Comunque, la vicenda di questo disegno di legge, ripetiamo, mai presentato in Parlamento, è testimonianza, sia per i contenuti, a nostro avviso di scarso livello, che per il disastroso iter legislativo, della crisi nel rapporto tra la politica italiana ed il sistema italiano di informazione.
[3] Al fine di dare una chiave di lettura riportiamo il testo integrale dell’articolo in commento: “per il quinquennio decorrente dal 1gennaio 1981 sono corrisposti, alle imprese editrici di giornali quotidiani, contributi nella seguente misura, per ciascuna testata: a ) lire 48 per copia stampata per le prime cinquantamila copie di tiratura media giornaliera; b ) lire 44 per copia stampata per le quote delle tirature medie giornaliere comprese tra cinquantamila e centomila; c ) lire 29 per copia stampata per le quote delle tirature medie giornaliere comprese tra centomila e duecentomila; d ) lire 24 per copia stampata per le quote delle tirature medie giornaliere eccedenti le duecentomila. Tali contributi sono proporzionalmente ridotti nel caso di testate il cui numero medio di pagine per copia sia minore di 10 per tirature medie giornaliere fino a cinquantamila copie, sia minore di 12 per tirature medie giornaliere fino a centomila copie, sia minore di 14 per tirature medie giornaliere fino a duecentomila copie, sia minore di 16 per tirature medie giornaliere eccedenti le duecentomila copie. Il numero medio di pagine per copia viene riferito al formato tipo di centimetri 43 per 59. I contributi di cui al primo comma sono ridotti di una percentuale pari ad un terzo della percentuale di contenuto pubblicitario medio. Le tirature medie giornaliere, il numero medio di pagine per copia e le percentuali medie di contenuto pubblicitario sono determinati con riferimento a periodi semestrali. I contributi di cui al primo comma sono aumentati del 15% per le testate edite dalle cooperative di cui all’art. 6, nonché per i giornali quotidiani interamenti editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Per i giornali di lingua italiana editi parzialmente in una delle lingue suddette, nelle stesse regioni autonome, l’aumento del contributo limitato alla parte del giornale pubblicata nella lingua non italiana. I contributi spettano alle imprese editrici di giornali quotidiani posti in vendita, anche in abbonamento, da almeno un anno, e di cui siano stati pubblicati almeno centotrenta numeri per semestre, salvo casi di forza maggiore. Spettano altresì alle pubblicazioni di nuova edizione. A queste ultime i contributi sono corrisposti al termine del primo semestre dalla data di inizio della pubblicazione, a condizione che nel semestre siano stati editi non meno di centotrenta numeri. I contributi di cui ai commi precedenti sono annualmente rivalutati in misura pari al 50% della variazione, accertata dall’Istituto centrale di statistica (ISTAT), dell’indice dei prezzi al consumo verificatasi nell’anno precedente. Per i fini di cui al presente articolo, le tirature medie, il numero delle pagine e la percentuale di contenuto pubblicitario devono essere indicati dall’editore in una dichiarazione da cui risultino, giorno per giorno, le tirature ed il numero di pagine per copia, nonché la percentuale dello spazio pubblicitario, e i dati relativi agli acquisti e ai consumi di carta, con le copie delle relative fatture. Qualora la dichiarazione dell’editore non risulti corrispondente al vero, la testata perde il diritto alle provvidenze previste dai commi precedenti per un biennio”.
[4] In realtà la norma prevede che possono percepire i contributi anche i giornali telematici. Ora è evidente che è impossibile che un giornale, ossia una testata, possa avere posizioni giuridiche soggettive. Sottolineare questi errori non è solo un’esercitazione, ma uno stimolo al legislatore per legiferare facendo più attenzione a quello che fa.
[5] La disciplina delle cooperative giornalistiche verrà esaurientemente affrontata nel successivo paragrafo 2.1.4.
[6] Le popolazioni oggetto di tutela ai sensi di questa norma sono quella albanese, catalana, germanica, greca, slovena e croata e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
[7] Tralasciamo la componente relativa all’emittenza radiotelevisiva, in quanto esula dalle finalità del presente lavoro.
[8] Il comma 458 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005, ha previsto, come condizione per l’accesso ai contributi, che le cooperative editrici devono essere composte esclusivamente da giornalisti professionisti, pubblicisti o poligrafici.
[9] La formulazione originaria prevedeva, chiaramente, l’iscrizione al registro prefettizio previsto dal d.lgs. n. 1577 del 26 dicembre 1947. In realtà le disposizioni di attuazioni nulla dicono in merito alla sorte sia dei registri prefettizi che dello schedario generale della cooperazione le cui funzioni riteniamo assorbite dal nuovo albo delle società cooperative.
[10] Si configura, a nostro avviso, l’ipotesi di un controllo ulteriore sulla gestione, rispetto alla vigilanza delegata al Ministero delle attività produttive, come previsto dall’art. 2545-quatordicies del cod. civ.
[11] Procedimento che, a sua volta, si perfeziona con l’ammissione annuale della società a contributo.
[12] Riteniamo che la cooperativa di giornalisti socia del consorzio debba rispondere, comunque, ai requisiti soggettivi previsti dall’art. 6, pur in presenza di una differenza letterale tra cooperativa di giornalisti e cooperativa giornalistica. Infatti, le norme in materia di cooperative giornalistiche tendono ad assicurare la reale partecipazione dei giornalisti all’attività editoriale. La ratio del consorzio non può che essere la medesima e, pertanto, la disciplina di merito deve ricadere anche sulla cooperativa partecipante.
[13] In particolare occorre tener conto della legge n. 59 del 31 gennaio 1992, recante Nuove norme in materia di società cooperative e della riforma generale del diritto societario, introdotta dal d. lgs. N. 6 del 17 gennaio 2003.
[14] L’articolo 26 prevedeva che: “Agli effetti tributari si presume la sussistenza dei requisiti mutualistici quando negli statuti delle cooperative siano contenute le seguenti clausole: a) divieto di distribuzione dei dividendi superiori alla ragione dell’interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; b) divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale; c) devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale versato ed i dividendi eventualmente maturati, a scopo di pubblica utilità conformi alla spirito mutualistico.”
[15] Infatti, l’art. 2514 del cod. civ. prevede che: “Le cooperative a mutualità prevalente devono prevedere nei propri statuti: a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo, rispetto al capitale effettivamente versato; b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi; c) il divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori; d) l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale ed i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Le cooperative deliberano l’introduzione e la soppressione delle clausole di cui al comma precedente con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria”.
[16] L’art. 2512 del cod. civ. prevede che sono società a mutualità prevalente quelle che: “a) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi; si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci; c) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci”.
[17] Ciò anche per i notevoli benefici di cui sono destinatarie questo tipo di società.
[18] Distinzione introdotta dall’art. 13 del d.Lgs. n. 1577 del 14 dicembre 1947.
[19] La competenza è stata trasferita dal Ministero del lavoro al Ministero delle attività produttive a cui sono state attribuite, dal primo comma dell’art. 223-sexiesdecies delle disposizioni transitorie del d.Lgs. n. 6 del 17 gennaio 20033, le competenze per la predisposizione e la tenuta dell’Albo delle società cooperative.
[20] A seguito della riforma non è più prevista la cancellazione dall’Albo prefettizio, ma, invece, il passaggio alla sezione residuale delle cooperative prive del requisito della mutualità prevalente e, pertanto, escluse dalle agevolazioni di natura tributaria.
[21] In questa prospettiva la Sentenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione n. 10544, su Diritto e Pratica delle Società, n. 17/2006, pgg. 78 e ss. con nota di E. Fossa. statuisce che il controllo sulla natura della cooperativa debba essere più sostanziale che formale. Infatti, secondo la Cassazione la conformità degli statuti delle cooperative ai principi legislativi in tema di mutualità comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni ed esenzioni di natura relativa; presunzione che viene superata nell’ipotesi in cui in sede di accertamento emerga che la veste mutualistica funga da copertura ad una normale attività imprenditoriale.
[22] Ai dirigenti delle imprese editoriali non si applica il contratto nazionale di lavoro dei poligrafici e per tale ragione gli stessi non possono essere considerati poligrafici.
[23] I giornalisti praticanti non sono iscritti all’albo dei giornalisti ma vengono registrati in una sezione tenuta dai Consigli territorialmente competenti. Ma è evidente che escludere la partecipazione di questi dalle imprese editoriali rappresenta una violazione del principio generale di non discriminazione, costituzionalmente garantito.
[24] La qualifica di poligrafico è condizionata all’assunzione da parte di imprese editrici di giornali quotidiani, mentre i dipendenti di imprese editrici di periodici sono qualificati come grafici editoriali, sulla base di una distinzione operata dal contratto collettivo nazionale di lavoro.
[25] Disponibile sul sito del Dipartimento informazione ed editoria:
http://www.palazzochigi.it/Presidenza/DIE/testi_norme/circolare_%207marzo.pdf.
[26] L’art. 2527 del cod. civ., a seguito della riforma, introduce in via generale questo principio a tutte le cooperative, abbandonando le distinzioni per settori economici abituali prima della riforma. V. Enrico Tonelli, op. cit., pg. 14. A titolo esemplificativo citiamo l’art. 23 del d.Lgs. n. 1577 del 14 dicembre 1947, il R.D. n. 278 del 12 febbraio 1911 in tema di cooperative ammissibili ai pubblici appalti. Sull’argomenti vedi: Bonocore, Diritto della cooperazione, pgg. 166 e ss; Bassi, Le società cooperative, pgg. 107 e ss.
[27] E’ evidente che i soci hanno, liberamente, scelto di assoggettarsi ad una disciplina speciale ed ad una consequenziale limitazione dell’autonomia contrattuale per accedere a dei benefici di legge.
[28] In caso di cooperative di lavoratori, le stesse devono associare almeno il cinquanta per cento dei lavoratori aventi contratto a tempo pieno con la cooperativa ed i relativi statuti devono consentire la partecipazione dei lavoratori in possesso delle stesse caratteristiche.
[29] Intendiamo che, in assenza della presenza di questo requisito, la società non è da qualificarsi, per il relativo periodo come cooperativa giornalistica, con gli evidenti effetti sotto il profilo dei benefici.
[30] Da un punto di vista generale l’art. 2538 del cod. civ. prevede che: “ciascun socio cooperatore ha un voto, qualunque, sia il valore delle quote o il numero di azioni possedute”.
[31] Per le periodicità vedi nel seguito il successivo paragrafo 2.2.3.
[32] Vengono, quindi, esplicitamente esclusi dal novero dei potenziali soci di una cooperativa giornalistica i giornalisti praticanti, con buona pace dei giovani.
[33] Il decreto legge era rubricato “Disposizione urgenti per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva e delle telecomunicazioni”. Non c’è bisogno di alcun commento.
[34] In un epoca in cui non era consentita dal codice civile la c.d. trasformazione eterogenea, ossia da società di capitali in società cooperative e viceversa.
[35] Il requisito dei cinque anni e la condizione della periodicità sono stati introdotti dal comma 457 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005.
[36] Sulla disciplina dei contributi a favore delle imprese editrici di periodici editi e diffusi all’estero torneremo nel successivo paragrafo 3.5.
[37] Con l’unica eccezione delle imprese editrici di testate organo di partiti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare, trattate al precedente paragrafo 2.1.1 e delle imprese editrici di testate organo di movimenti politici di minoranze linguistiche, trattate nella prima parte del paragrafo successivo.
[38] La norma è stata così modificato dal comma 125 dell’art. 2 del decreto legge n. 262 del 3 ottobre 2006, convertito dalla legge n. 286 del 24 novembre 2006.
[39] A titolo esemplificativo, si pensi al sistema introdotto per le Onlus dall’art. 10 del D.Lgs. n. 460 del 1997 in relazione al divieto di distribuzione degli utili da parte delle stesse.
[40] Questa periodicità è stabilita con puntualità dal terzo comma dell’art. 3 della legge n. 250 del 7 luglio 1990 ed è riferita alle imprese di cui tratteremo al successivo paragrafo 3.4. Per analogia i medesimi parametri vanno applicati alle imprese che beneficiano dei contributi previsti ai commi 2 e 10 del medesimo articolo.
[41] Tale requisito è stabilito per le imprese editrici di testata organi di movimenti politici non in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare dall’articolo 3-ter del D.P.R. n. 252 del 2 dicembre 1997, come modificato dall’art. 2 del D.P.R. n. 460 del 7 novembre 2001. L’estensione di tale previsione alle altre imprese avviene per analogia, in assenza di una norma specifica.
[42] Per una ricostruzione delle fattispecie di collegamento e di controllo ci permettiamo di rimandare a: Vincenzo Ghionni, La disciplina dell’impresa editoriale, in Diritto ed economia dei mezzi di comunicazione, II, 2007, Liguori.
[43] Il Registro degli Operatori della Comunicazione è stato istituito dai numeri 5 e 6 della lettera a dell’art. 1 della legge n. 249 del 31 luglio 1997 ed è regolamentato dalla delibera n. 236/01/Cons dell’Autorità, successivamente modificata con una serie di delibere per le quale rimandiamo al sito www.agcom.it.
[44] Norma introdotta dalla lettera c del comma 460 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005.
[45] Ci riferiamo, in particolare all’art. 2359 del cod. civ., al comma 8 dell’art. 1 della legge n. 416/81 e 2359 del cod. civ.
[46] Le indicazioni obbligatorie sono il luogo e la data della pubblicazione, il nome ed il domicilio dello stampatore, il nome del proprietario, il nome dell’editore se soggetto diverso, e quello del direttore o del vice direttore responsabile.
[47] Ricordiamo che secondo i principi contabili nazionali i contributi si dividono in tre categorie: a) contributi in conto impianti; b) contributi in conto capitale e c) contributi in conto esercizio.
[48] Ricordiamo che, fatta eccezione per le imprese editrici di testate organi di partiti politici in possesso del requisito della rappresentanza parlamentare e per quelle editrici di testate organi di movimenti politici espressione di minoranze linguistiche, laddove le entrate pubblicitarie fossero superiori al 30% dei costi d’impresa non vi sarebbe alcun diritto al contributo. Per questa ragione, l’integrazione prevista dal comma 11 va a quasi tutte le imprese editrici di quotidiani che beneficiano dei contributi.
[49] Infatti, l’estensione alle altre categorie di imprese dell’integrazione è stata estesa dapprima dall’art. 2 della legge n. 278 del 14 agosto 1991 e, per le imprese editrici di testate edite all’estero, dal comma 3-bis dell’art. 20 del decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006, convertito dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006.
[50] Per le sole imprese editrici di quotidiani in lingua slovena l’art. 14 della legge n. 19 del 9 gennaio 1991 ha introdotto un ulteriore aumento del contributo pari al cinquanta per cento. Restano fermi tutti gli ulteriori parametri e limiti.
[51] Limite previsto dal comma 12 dell’art. 3 della legge n. 250/90.
[52] Limite previsto dal comma 9 dell’art. 3 della legge n. 250/90.
[53] Art. 2 quater della legge n. 250 del 7 agosto 1990.
[54] Fatta eccezione per l’art. 2 del D.P.R. n. 525 del 2 dicembre 1997 che, però prevede, laconicamente, che ai fini della quantificazione del contributo, si debba tener conto esclusivamente dei costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività editoriale relativa alla testata per la quale si richiedono i contributi.
[55] La commissione, presieduta dal sottosegretario di Stato con delega all’editoria, è costituita da: a) due rappresentanti degli editori di giornali quotidiani; b) due rappresentanti degli editori di periodici; c) un rappresentante delle agenzie nazionali di stampa; d) un rappresentante delle riviste di elevato valore culturale; e) due rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei giornalisti; f) un rappresentante dell’ordine nazionale dei giornalisti; g) tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori poligrafici; h) un rappresentante dei rivenditori di quotidiani e di periodici; i) un rappresentante delle aziende di distribuzione di quotidiani e di periodici; l) un rappresentante degli editori di libri; m) un rappresentante delle industrie grafiche, cartotecniche e trasformatrici, la cui attività prevalente od esclusiva consista nella stampa di giornali quotidiani, pubblicazioni periodiche o libri; n) quattro funzionari designati rispettivamente dai Ministri del tesoro, per i beni culturali e ambientali, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e delle poste e delle telecomunicazioni; o) tre esperti in materie giuridiche ed economiche connesse con l’editoria giornalistica, designati dal Presidente del Consiglio dei Ministri; p) il direttore generale dell’informazione, dell’editoria e della proprietà letteraria, artistica e scientifica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e il capo del Dipartimento informazione ed editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il quale assicura altresì i servizi di segreteria della Commissione. I membri della Commissione vengono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[56] Condizione che in assenza di una puntuale regolamentazione non significa nulla, in quanto gli obblighi di autoproduzione sono già previsti dalla normativa in materia di emittenza radiotelevisiva.
[57] In particolare i commi in oggetto prevedono che: “2-bis. La prosecuzione nell’esercizio da parte dei soggetti di cui al comma 2 è subordinata alla verifica del possesso dei seguenti requisiti alla data del 30 settembre 2001: a) se emittente di radiodiffusione sonora in ambito locale a carattere commerciale, la natura giuridica di società di persone o di capitali o di società cooperativa che impieghi almeno due dipendenti in regola con le vigenti disposizioni in materia previdenziale; b) se emittente di radiodiffusione sonora in ambito nazionale a carattere commerciale, la natura giuridica di società di capitali che impieghi almeno quindici dipendenti in regola con le vigenti disposizioni in materia previdenziale; c) se emittente di radiodiffusione sonora a carattere comunitario, la natura giuridica di associazione riconosciuta o non riconosciuta, fondazione o cooperativa priva di scopo di lucro. 2-ter. I legali rappresentanti e gli amministratori dell’impresa non devono avere riportato condanne irrevocabili a pena detentiva per delitto non colposo superiore a sei mesi e non devono essere stati sottoposti alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, o alle misure di sicurezza previste dagli articoli 199 e seguenti del codice penale. Ai fini delle verifiche di cui al comma 2-bis ed al presente comma, le emittenti interessate inoltrano al Ministero delle comunicazioni entro il 30 settembre 2001 le dichiarazioni e la documentazione necessarie, secondo modalità definite dallo stesso Ministero entro il 30 giugno 2001. 2-quater. Uno stesso soggetto, esercente la radiodiffusione sonora in ambito locale, direttamente o attraverso più soggetti tra loro collegati o controllati, può irradiare il segnale fino ad una copertura massima di quindici milioni di abitanti. Le imprese che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto superino i predetti limiti sono tenute ad adeguarsi ai limiti stessi entro sei mesi. In caso di inottemperanza, il Ministero delle comunicazioni dispone la sospensione dell’esercizio fino all’avvenuto adeguamento”.
[58] Il Regolamento in oggetto definisce i criteri per ripartire, nell’ambito dei bacini regionali di riferimento, i contributi a favore dell’emittenza radiofonica tra le imprese richiedenti. I criteri sono rapportati al numero medio di dipendenti assunti ed alla relativa qualifica professionale ed al fatturato medio del triennio precedente quello di richiesta dei contributi.
[59] I contributi per queste categorie sono strutturalmente differenti da quelli descritti nei precedenti paragrafi.
[60] Questa categoria è disciplinata dal comma 3 dell’articolo 3 della legge n. 250/90.
[61] Per la periodicità rimandiamo a quanto detto al precedente paragrafo 2.2.3.
[62] In realtà attese le differenze linguistiche, la concorrenza di un quotidiano edito in italiano ed uno edito in un’altra lingua dell’Unione Europea è tutta da dimostrare.
[63] Tale dotazione è stata incrementata dalla precedente di euro 2.065.827 dal comma 1 dell’art. 3 della legge n.62/01.
[64] La Commissione, disciplinata dall’art. 1 del D.P.R. è così composta da: il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega per i problemi dell’editoria, il quale la presiede; il Sottosegretario di Stato agli affari esteri con delega per l’emigrazione o da un funzionario, con qualifica non inferiore a dirigente generale o equiparata, da lui delegato; il direttore generale delle informazioni, editoria e proprietà letteraria, artistica e scientifica della Presidenza del Consiglio dei Ministri o da un funzionario del Dipartimento informazione ed editoria da lui delegato; il direttore generale dell’emigrazione e degli affari sociali del Ministero degli affari esteri o da un funzionario da lui delegato; il capo del Dipartimento informazione editoria ed editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri; tre funzionari del Servizio dell’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri; due funzionari della Direzione generale dell’emigrazione e degli affari sociali del Ministero degli affari esteri; un funzionario del Servizio stampa del Ministero degli affari esteri; un rappresentante della Federazione mondiale della stampa italiana all’estero (FMSIE); un rappresentante della Confederazione della stampa democratica per l’emigrazione (CISDE); un rappresentante della Federeuropa; un rappresentante dell’Unione nazionale delle associazioni degli immigrati e degli emigrati (UNAIE); un rappresentante dell’Associazione nazionale delle famiglie degli emigrati (ANFE); un rappresentante del Centro studi emigrazione Roma (CSER); un rappresentante dell’Associazione cristiana dei lavoratori italiani (ACLI); un rappresentante dell’Istituto Fernando Santi; un rappresentante della Federazione italiana dei lavoratori emigrati e famiglie (FILEF); un rappresentante dell’Ufficio centrale per l’emigrazione italiana (UCEI); un rappresentante dell’Associazione italiana per la tutela degli emigrati e famiglie (AITEF); un rappresentante del Comitato tricolore degli italiani nel mondo (CTIM); un esperto in materia di editoria, il quale abbia già ricoperto incarichi dirigenziali in organismi operanti nel settore; un rappresentante designato unitariamente dalle Confederazioni sindacali nazionali dei lavoratori rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. La commissione, nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, delibera a maggioranza, con la presenza di almeno la metà dei suoi componenti in prima convocazione e di un terzo dei suoi componenti in seconda convocazione. L’ufficio di segreteria è composta da un funzionario del Servizio dell’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario della Direzione generale dell’emigrazione e degli affari sociali del Ministero degli affari esteri.
[65] Vedi il comma 462 dell’art. 1 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005.
[66] La Commissione, regolamentata dall’art. 4 del D.P.R. è composta da: a) il Sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega all’editoria, che assume la funzione di Presidente della medesima Commissione; b) il capo del Dipartimento per l’informazione e l’editoria; c) il consigliere coordinatore del Dipartimento per l’editoria; d) il consigliere coordinatore del Dipartimento per l’informazione e per l’editoria; e) un rappresentante designato dal Ministro per gli affari sociali; f) un rappresentante del Ministero del tesoro; g) un rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione; h) un rappresentante del Ministero della Sanità; i) tre rappresentanti designati dalle tre associazioni aventi il maggior numero di iscritti fra quelle che hanno come proprio compito istituzionale la tutela dei non vedenti.
[67] Rileviamo che la rubrica della legge è “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”, mentre il sostegno alle pubblicazioni delle associazioni sembra, onestamente, andare in altra direzione.
[68] I requisiti per l’iscrizione nel Registro sono previsti all’art. 5 della citata legge n. 281/98 che, al comma 2, stabilisce che le associazioni nazionali devono essere costituite da almeno tre anni e devono avere un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e devono essere presenti in almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse, in cui opera l’associazione. Inoltre, il comma 5 prevede una deroga a favore delle associazioni dei consumatori e degli utenti operanti esclusivamente nei territori ove risiedono minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute, che possono iscriversi al Registro a condizione che abbiano un numero di associati non inferiore allo 0,5 per mille degli abitanti della regione o provincia autonoma di riferimento. Segnaliamo che il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2555 del 2004 ha chiarito, laddove ce ne fosse bisogno, che il contributo spetta unicamente alle associazioni che editano i periodici e, quindi, nell’ipotesi di attività di edizione da parte di società partecipate da associazioni di consumatori, non vi è alcun diritto a questa tipologia di sostegno.
[69] Riteniamo particolarmente infelice questo riferimento all’autorità culturale degli autori, che, a prescindere dalle finalità del presente lavoro, testimonia l’autoreferenzialità del mondo della ricerca e della cultura italiana. Si pensi ai problemi che potrebbe avere, sotto questo profilo, una rivista scientifica, anche estremamente innovativa, cui collaborano giovani studiosi. Questo tipo di discriminazione culturale è una delle tante palle al piede della ricerca italiana.
[70] Non sorprende, per quanto detto alla precedente nota, l’assenza del riferimento ad un ambito internazionale di diffusione dei contenuti.
[71] La Commissione, presieduta dal Ministro competente, è composta da: a) il direttore generale del ministero competente per l’editoria; b) il direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni librari e gli istituti culturali; c) quindici esperti qualificati, nominati con decreto del Ministro, scelti tra coloro che svolgano o abbiano svolto attività di ricerca o didattica nelle università per almeno cinque anni, tra coloro che svolgano o che abbiano svolto attività nella pubblica amministrazione e nelle magistrature amministrative, nonché tra coloro che abbiano svolto attività editoriale per almeno cinque anni.
[72] Comma così modificato dall’art. 4, comma 6, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. La novità risiede nell’applicazione delle riduzioni tariffarie anche alle utenze aventi ad oggetto la trasmissione dati; un’apertura, quindi, del legislatore verso le nuove tecnologie che hanno invaso, tra gli altri, anche il settore editoriale. Per dovere di cronaca, si segnala che la novità legislativa non fu accolta favorevolmente dai fornitori di tecnologie ADSL, HDSL e superiori che in molti casi rifiutavano il riconoscimento della riduzione tariffaria alle imprese richiedenti. La questione fu definitivamente risolta dal Ministero delle Comunicazioni che emanò una nota con la quale rassicurava i gestori interessati sulla puntualità dei rimborsi accordati alle imprese editoriali. Rimborsi che i gestori, infatti, avrebbero potuto richiedere al competente dipartimento per il tesoro. Nella stessa occasione, il Ministero chiarì anche che i rimborsi potevano essere richiesti solo a partire dalla data di pubblicazione del disegno di legge recante le disposizioni per l’assestamento del bilancio dello Stato per l’anno finanziario 2004 che prevedeva il trasferimento dell’importo stanziato per le provvidenze in oggetto al pertinente capitolo di spesa. Trasferimento avvenuto, poi, con il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanza del 29.11.2004, che dispose il trasferimento di 2.000.000 di euro al pertinente capitolo di spesa.
[73] Nella sua formulazione originaria, la norma richiedeva l’iscrizione nel Registro Nazionale della Stampa che, con l’art. 6 della legge 6 agosto 1990, n. 223, fu affidato al Garante per la Radiodiffusione e l’editoria, a sua volta soppresso a seguito dell’istituzione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
[74] Il rilascio di certificazioni attestanti l’iscrizione nei relativi registri da parte del Garante per la radiodiffusione e l’editoria prima e, ora, da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha sempre rappresentato un problema per le imprese iscritte, costrette ad aspettare mesi e, spesso, anni, prima di ricevere riscontri. Attualmente, con l’avvento della gestione del Presidente Calabrò, succeduto al Prof. Cheli, la situazione sta registrando sensibili miglioramenti.
[75] Segnaliamo che tra i beneficiari di questi contributi ci sono anche le imprese editrici di libri.
[76] In particolare il comma 2 dell’art. 1 del D.L. 353/2003 include le seguenti tipologie di enti: a) le associazioni e le organizzazioni senza fini di lucro di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 460 del 4 dicembre 1997; b) organizzazioni di volontariato di cui alla legge n. 266 del 11 agosto 1991; c) le organizzazioni non governative riconosciute ai sensi dell’articolo 28 della legge n. 49 del 26 febbraio 1987; d) le associazioni di promozione sociale di cui alla legge n. 383 del 7 dicembre 2000; e) le fondazioni ed associazioni senza fini di lucro aventi scopi religiosi, nonché le associazioni storiche operanti per statuto, da almeno cinquanta anni per la conoscenza, la difesa e la valorizzazione dell’ambiente naturale; f) le associazioni riconosciute a carattere nazionale aventi per oggetto statutario, da più di quarant’anni, lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca oncologica; g) le associazioni dei profughi istriani, fiumani e dalmati; h) le associazioni le cui pubblicazioni abbiano avuto il riconoscimento politico dai gruppi parlamentari di riferimento; i) limitatamente ai bollettini dei propri organi direttivi, gli enti professionali, i sindacati, le associazioni professionali di categoria e le associazioni d’arma e combattentistiche.
[77] In particolare, sono esclusi dai contributi le seguenti categorie di pubblicazioni: a) i quotidiani e i periodici che contengono inserzioni pubblicitarie per un’area superiore al 45 per cento dell’intero stampato, per singolo numero; b) i periodici per i quali i relativi abbonamenti siano stati stipulati, a titolo oneroso, direttamente dai destinatari, per una percentuale inferiore al 50 per cento del totale degli abbonamenti; c) i quotidiani ed i periodici di pubblicità, vale a dire diretti a pubblicizzare prodotti o servizi contraddistinti con il nome o altro elemento distintivo e diretti prevalentemente ad incentivarne l’acquisto; d) i quotidiani e i periodici di promozione delle vendite di beni o servizi; e) i quotidiani e i periodici di vendita per corrispondenza; f) i cataloghi, vale a dire le pubblicazioni contenenti elencazioni di prodotti o servizi, anche se corredate da indicazioni sulle caratteristiche dei medesimi; g) i quotidiani e i periodici non posti in vendita, vale a dire non distribuiti con un prezzo effettivo per copia o per abbonamento, ad eccezione di quelli editi dalla seconda categoria di soggetti beneficiari; h) le pubblicazioni aventi carattere postulatorio, vale a dire finalizzate all’acquisizione di contributi, offerte, ovvero elargizioni di somme di denaro, ad eccezione di quelle utilizzate dalle organizzazioni senza fini di lucro e dalle fondazioni religiose esclusivamente per le proprie finalità di autofinanziamento; i) i quotidiani e i periodici delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici, nonché di altri organismi, ivi comprese le società riconducibili allo Stato ovvero ad altri enti territoriali o che svolgano una pubblica funzione; l) i quotidiani e i periodici contenenti supporti integrativi o altri beni diversi da quelli definiti nell’articolo 74, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, ai fini dell’ammissione al regime speciale previsto dallo stesso articolo 74; m) i prodotti editoriali pornografici.
[78] In altri termini, alle imprese che editano giornali a bassa tiratura viene applicata la tariffa praticata nei confronti dei soggetti che inviano più copie e che, quindi, usufruiscono di sconti quantità.
[79] Obbligo previsto dal comma 3bis dell’art. 1 del decreto legge n. 353 del 24 dicembre 2003, convertito con modificazioni nella legge n. 46 del 27 febbraio 2004.
[80] Il credito d’imposta, ai sensi del comma 3 dell’art. 21, non concorrerà alla formazione del reddito fiscale, anche ai fini dell’Irap.
[81] Lo stanziamento è pari a 190 mni di euro per il 2008, 180 mni di euro per il 2009, 170 mni di euro per il 2010 e 160 mni di euro per il 2011.
[82] I progetti ammessi al finanziamento sono i seguenti: a) progetti di ristrutturazione tecnico-produttiva, di realizzazione, ampliamento e modifica degli impianti, con particolare riferimento all’installazione e potenziamento della rete informatica, anche in connessione all’utilizzo dei circuiti tematici internazionali e dei satelliti; b) progetti di miglioramento della distribuzione; c) progetti di formazione professionale. Tutti i progetti devono essere realizzati entro due anni dalla presentazione della domanda di accesso alle agevolazioni.
[83] Percentuale elevata al 100 per cento per le cooperative giornalistiche.
[84] Infatti, il secondo comma dell’art. 74 del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972 stabilisce che le operazioni non soggette all’imposta in virtù delle disposizioni del medesimo articolo sono equiparate per tutti gli effetti, alle operazioni non imponibili, ossia alle operazioni per le quali non è previsto il pagamento dell’Iva.
[85] Precisamente il primo comma dell’art. prevede che: “Per “prodotto editoriale”, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.
[86] Sostenibile ma non condivisibile, in quanto il legislatore del 1948 aveva definito, con grande lungimiranza, stampe e stampati tutte le riproduzioni tipografiche o, comunque, ottenute con mezzi meccanici o fisici chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione. Pare evidente che l’editoria telematica, a prescindere dalla norma del 2001, rientra ampiamente nell’ambito definitorio di una legge, tra l’altro, di sessant’anni fa.
[87] La letteratura aziendalistica si è occupata a lungo di questi profili, giungendo alla conclusione che la lavorazione della notizia presuppone un’organizzazione di tipo industriale, la cui fase principale non è quella di stampa e distribuzione, ma quella, per l’appunto di predisposizione del prodotto editoriale. Sull’argomento vedi: C. Mazzoni, Economia e gestione delle imprese editoriali, Cedam, 1990; F. Mosconi, Economia dei quotidiani, Il Mulino, 1998; E. Prandelli, Oltre la notizia, Etas, 1999.
[88] Il sistema della forfetizzazione della resa viene applicata anche ai prodotti c.d. collaterali, come cd e dvd, a condizione che il prezzo di acquisto del bene non sia superiore al 50% del prezzo dell’intera confezione. La vendita di prodotti collaterali è, concretamente, riservata alle imprese che editano prodotti editoriali in grado di garantire una diffusione elevata, tale da sfruttare in modo adeguato la capillarità del sistema distributivo italiano.
[89] La sciagurata vicenda legislativa di questo testo rappresenta, comunque, un ulteriore fonte di perplessità sulle modalità con cui vengono trattati temi essenziali per la democrazia e direttamente richiamati dalla Costituzione.
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