Rientra nella discrezionalità del legislatore affidare al Governo la determinazione della misura dei contributi all’editoria, ma non è ragionevole la mancanza di criteri certi e obiettivi. È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 206 depositata il 25 luglio (relatore Giancarlo Coraggio), con la quale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità della disciplina sulla corresponsione dei contributi all’editoria, sollevata dal Tribunale ordinario di Catania.
Il caso che ha portato alla pronuncia della Consulta è quello di una società editrice si era vista dimezzare il suo contributo per l’anno 2013. Il Tribunale aveva deciso di impugnare la norma che disciplina i contributi all’editoria davanti alla Consulta. La Corte, pur ritenendo censurabile, come prospettato dal giudice, affidare all’autorità governativa, senza la fissazione di criteri certi e obiettivi, la determinazione delle disponibilità finanziarie da destinare complessivamente all’erogazione dei contributi all’editoria, ha dovuto prendere atto dell’impossibilità di sostituire o integrare la disciplina in questione, riservata alla discrezionalità del legislatore. Di qui la decisione di dichiarare inammissibile la questione.
“La sentenza della Corte Costituzionale in materia di contributi all’editoria riveste particolare importanza. Pur non riconoscendo l’esistenza di alcun diritto soggettivo delle imprese editoriali a ricevere contributi pubblici, la Consulta ribadisce che tutelare e sostenere il pluralismo dell’informazione è “un imperativo costituzionale”. Per questa ragione ha ritenuto censurabile la fissazione dal parte del governo delle disponibilità finanziarie da destinare all’editoria, in assenza di criteri certi e obiettivi fissati dal legislatore. Questo passaggio della sentenza rende necessario l’intervento del Parlamento per ridefinire tali criteri e obiettivi”. Lo afferma, in una nota, Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana. “L’attuale sistema – sottolinea Lorusso -, rileva infatti la Corte Costituzionale, “è affetto da un’incoerenza interna, dovuta a scelte normative che prima creano aspettative e poi autorizzano a negarle”. Tutto il contrario della narrazione propinata dal sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, e dai suoi sodali, basata su un assunto evidentemente falso, quello cioè che i governi precedenti all’attuale, avrebbero elargito le risorse con assoluta discrezionalità. L’unica discrezionalità ravvisabile in questa vicenda è quella del sottosegretario in carica che si è arrogato il diritto di tagliare il fondo per il pluralismo dell’informazione, ponendo le basi per la chiusura di numerose testate e la perdita di un migliaio di posti di lavoro”. “È pertanto auspicabile – prosegue Lorusso – che il Parlamento si riappropri della materia e riscriva le regole per un settore che va rilanciato anche con il sostegno pubblico, esattamente come avviene in altri Paesi dell’Europa e del mondo. Anziché rallegrarsi per i tagli, il sottosegretario Crimi farebbe bene a riflettere sul fatto che l’Italia è al penultimo posto in Europa per i finanziamenti all’editoria e a riconsiderare l’impostazione data ai cosiddetti Stati generali, diretta a colpire il pluralismo, a cancellare il pensiero critico, a ridurre i posti di lavoro e, in ultima analisi, a impedire all’opinione pubblica di informarsi correttamente”.