Monti ha promesso interventi per rifondare la governance Rai entro due settimane. Ma come?
Il 28 marzo scade il cda Rai. Poco più di tre mesi sono davvero pochi per cambiare una legge che riformuli i criteri di nomina. Dunque la tanto discussa legge Gasparri, che sembra in perenne agonia, potrebbe vivere ancora a lungo. Per quanto riguarda l’ipotesi commissariamento, caldeggiata dal Pd, sarebbe possibile nel caso in cui la Rai avesse chiuso gli ultimi 3 bilanci in perdita. Una norma del governo Prodi autorizza il commissariamento solo per le società a capitale pubblico che chiudono per 3 anni consecutivi il bilancio in perdita. E la Rai, nel 2011, ha avuto un attivo di 2 milioni. Dunque per autorizzare un commissario che traghetti la Rai durante la gestazione di una legge che sostituisca la Gasparri servirebbe una legge ad hoc che “annulli” la condizione precedentemente elencata.
L’idea del premier è semplice: un ad con ampi poteri e un cda di soli tre membri nominati dal presidente del Consiglio e dai presidenti di Camera e Senato. Due nomine istituzionali che allenterebbero la morsa partitica sulla gestione di Viale Mazzini.
Ma attenzione, anche in questo caso servirebbe una legge (allo stato attuale il cda è nominato, per 7 membri su nove, dalla Commissione Vigilanza che a sua volta è nominata dal Parlamento). Si potrebbe proporre un decreto che modifichi i criteri delle nomine, ma servirebbe una larga maggioranza, che il Parlamento non ha in quanto c’è il Pdl che sponsorizza fortemente lo status quo. L’altra condizione che giustificherebbe un decreto necessario e urgente è il rischio immediato di fallimento. Nel ’93 ci fu un precedente. La Rai versava in una situazione di crisi profonda. Allora venne varato un decreto denominato “salva Rai” che prevedeva un finanziamento dalla Cassa depositi e prestiti nonché pesanti tagli su tutto il perimetro aziendale.
Effettivamente, il rischio fallimento, scongiurato nel 2011, potrebbe riaffacciarsi nel 2012. Tuttavia nell’anno appena iniziato è stato previsto un tranquillo pareggio di bilancio, ma a che prezzo: aumentando il canone, tagliando personale, servizi e strutture, dando per scontati i ricavi della pubblicità e la vendita di terreni e immobili.
La soluzione già prevista dal legislatore è la privatizzazione, ma l’ipotesi, caldeggiata solo dal Fli non piace né a Monti né ai principali partiti.
E se si pensasse ad una mediazione? Pio Marconi, docente di sociologia del diritti alla Sapienza, nel lontano 1997, in un testo pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni, affronta il tema, attualissimo, delle privatizzazioni proponendo una scelta mediana. «Né privato né di Stato è un principio carico di senso per un servizio pubblico che crea informazione e cultura: significa sottrazione a logiche ed egoismi proprietari, significa anche liberazione dalla colonizzazione delle coscienze operata dallo Stato e dai governanti», afferma Marconi che per la Rai propose una privatizzazione con una forte partecipazione popolare.
Il comitato di redazione di Askanews “chiama” il sottosegretario Alberto Barachini. I giornalisti dell’agenzia di…
Anche i pubblicitari si oppongono alla web tax: Federpubblicità snocciola numeri, dati e cifre per…
La manovra non piace agli editori perché non c’è “niente per il libro”. E l’Aie…
La web tax ha aperto un dibattito anche all’interno del governo. Il sottosegretario alla presidenza…
Così parlò Barbara Floridia, presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai: “È fondamentale che chi…
Tutti spiati: l’inchiesta a Milano mette in seria discussione alcune delle libertà fondamentali del cittadino…