In relazione al credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari previsto dall’articolo 57-bis del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, e successive modificazioni, la Direzione generale Concorrenza della Commissione Europea ha mosso diversi rilievi circa la compatibilità della misura con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.
In linea di massima, i problemi correttamente posti dalla Commissione europea sono tre.
Il primo profilo di criticità deriva da una discriminazione rispetto ai mezzi; infatti, sono esclusi dal beneficio gli investimenti effettuati sulle emittenti radiotelevisive nazionali e sulle imprese editrici che non hanno sede in Italia. Si tratta, quindi, a parere della Commissione, di una misura che crea potenziali distorsioni nelle dinamiche concorrenziali con politiche attive che favoriscono determinati tipi di mezzi; e, ricordiamo, il credito d’imposta è volto a favorire gli investimenti pubblicitari e non è stato presentato come forma, sebbene indiretta, di sostegno al pluralismo.
Il secondo profilo è connesso all’annualità 2017, in quanto la norma a carattere retroattivo non ha alcuna funzione di incentivazione alle imprese.
Il terzo profilo concerne la natura dei costi di pubblicità che – essendo classificati come costi di funzionamento e non d’investimento – non sono astrattamente coerenti con i principi in materia di aiuti di Stato nell’ambito europeo.
I rilievi mossi saranno, chiaramente, oggetto di contraddittorio con il Governo Italiano, ma è evidente che nell’ipotesi in cui le argomentazioni poste a supporto della misura non venissero ritenute degne di apprezzamento da parte dell’Unione europea si aprirebbe una procedura d’infrazione con effetti a cascata sul credito d’imposta di cui, eventualmente, le imprese avranno beneficiato.