CINA, IL REGIME ALLA GUERRA DEL WEB. BAVAGLIO PER I SOCIAL MEDIA

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La seconda Rivoluzione culturale cinese, sancita dal plenum di ottobre del partito comunista, scrive il suo ultimo capitolo. Messa sotto tutela la “televisione immorale”, accusata di “diffondere i vizi dell’Occidente anche in Oriente”, il potere combatte la battaglia finale contro internet. Già dal 2008 Pechino ha fatto calare sul web la sua “grande muraglia di fuoco”, un sistema di blocchi che oscura i siti e i contenuti sgraditi alla censura. Il “Quotidiano del Popolo”, organo ufficiale del partito, pubblica però ora il documento con cui il plenum concluso il 18 ottobre ha varato un piano di controllo e gestione dei social network e dei servizi di messaggeria istantanea. Il piano anti-internet nelle prossime settimane dovrebbe portare all’obbligo di registrazione di tutti gli internauti cinesi, oltre che a tasse ai locali pubblici dotati wireless, tenuti anche a schedare tutti i clienti. E’ di fatto un’offensiva contro i microblog, considerati l’arma delle ultime rivoluzioni mediterranee e sfuggita anche in Cina al controllo dello Stato.

Al centro dell’attenzione c’è “Sina Weibo”, la versione cinese di Twitter, vietato nel Paese dall’agosto 2009. E’ un colosso capace di postare 400 milioni di opinioni, tra i responsabili del boom del web in Cina: oltre 500 milioni di internauti, il record mondiale di utenti internet nel Paese che più investe nell’oscuramento della Rete. Al cuore del progetto decennale di “Sicurezza Culturale”, un’etichetta politica dietro cui si nasconde la più massiccia e offensiva propaganda e censura degli ultimi decenni, Pechino pone dunque Internet, individuato come il nemico più pericoloso dei regimi.

I vertici del partito, nel documento diffuso dieci giorni dopo la conclusione del plenum, hanno spiegato che l’obiettivo è “rafforzare la guida e la gestione dei servizi internet e di tutti gli strumenti di comunicazione istantanea, al fine di garantire una ordinata diffusione delle informazioni”. I responsabili di “leso web” subiranno pene pesanti, a partire dall’arresto amministrativo di 15 giorni, possibile anche in assenza di accuse specifiche. Il bavaglio definitivo alla Rete nasce dal crescente allarme dei leader cinesi. La lotta dei censori negli ultimi mesi si è fatta sempre più difficile e tenere il passo di siti e social network sta diventando impossibile. Il potere ha provato perfino a cancellare i messaggi critici uno per uno, organizzando il più colossale esercito di cyber-polizia del mondo, forte oggi di oltre ventimila agenti elettronici. Cancellano messaggi, oscurano blog, chiudono siti e sospendono account.

Secondo le autorità è però come svuotare l’oceano goccia a goccia e i vertici comunisti temono di essere travolti da una forma nuova di democrazia dell’informazione popolare, più forte di qualsiasi contro-informazione di regime. “Il controllo di internet in realtà è molto difficile – ha ammesso Liu Yunshan, capo della censura – e la Cina è di fronte a una crisi nella gestione della comunicazione online”. “Sina Weibo”, privato sotto il controllo pubblico, ha dovuto perfino assumere mille operatori per monitorare tutti i messaggi diffusi attraverso i propri server. Si è rivelato un fallimento, smascherato e denunciato dagli stessi utenti del servizio. Di qui la scelta dei leader di “sviluppare la cultura attraverso un sano e positivo controllo della criminalità informatica e la creazione di una linea di sicurezza per tutelare gli interessi collettivi e riservatezza dei segreti di Stato”.

Secondo gli analisti indipendenti riparati all’estero, si tratta di fatto di “un annuncio di chiusura dei social media e della messaggeria istantanea” in Cina, “unica super-potenza globale ad autoescludersi dalla nuova comunità internazionale della Rete”. I grandi sconvolgimenti politici degli ultimi mesi sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso: proteste e rivoluzioni in Africa e Medio Oriente, critiche straniere contro la detenzione del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo e di sua moglie, adesioni anche cinesi ai movimenti “Occupy” negli Usa e “Indignados” in Europa.

Pechino teme che il “virus anti-sistema contagi anche il popolo cinese”. In Cina i microblog e il web sono accusati invece di essere il veicolo principale di proteste sociali, critiche politiche, scioperi e rivolte, vittorie dei candidati indipendenti alle elezioni locali, nonché delle denunce contro abusi del potere e corruzione dei funzionari. In luglio, dopo il tragico deragliamento di un treno ad alta velocità a Wenzhou, 10 milioni di commenti online hanno svelato inefficienze e bugie di Stato.

In questi giorni internet è la sola fonte che rivela anche ai cinesi il dramma dei giovani monaci buddisti, che si danno fuoco per denunciare gli abusi di Pechino nei monasteri e in Tibet. Sempre il web ha raccontato lo scandalo della bambina di due anni travolta per due volte sulla strada e lasciata morire tra l’indifferenza dei passanti. E i microblog di sostegno a Liu Xiaobo e all’archistar Ai Weiwei, nell’ultimo anno, hanno portato a centinaia di arresti di attivisti e dissidenti, causa di forti critiche internazionali.

Le autorità sono convinte che, una volta riportata sotto un rigido controllo di Stato, la Rete possa trasformarsi da punto debole delle dittature in elemento di forza degli autoritarismi economicamente di successo. Social network e messaggerie, filtrati dalla censura preventiva e governati dalla propaganda, diventeranno il Grande Fratello del potere, consentendo ai leader del partito di conoscere gli argomenti di cui parla realmente la popolazione e di plasmare in tempo reale la pubblica opinione. La grande “invasione culturale” cinese abbandona la difesa e passa dunque alla conquista di internet, il suo estremo e più pericoloso nemico. Sulla tutela della libertà, dell’indipendenza e dell’accessibilità della Rete, il mondo si gioca il futuro della democrazia. La Cina, invece, le speranze residue di diventare la super-potenza normale del secolo in cui per la prima volta inizia a decidere il destino del pianeta.
(La Repubblica.it)

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