I giornalisti cinesi del Southern Weekly, un settimanale riformista, invocano la libertà di stampa: «Vogliamo una Cina libera e basata sulla Costituzione». Pronta arriva la censura, il pezzo viene stravolto e in piazza dilaga la protesta. I redattori, dal canto loro, scioperano mentre sulla rete si scatena la “guerra” tra la polizia informatica al servizio del regime e i giornalisti.
Quello di cui stiamo parlando è un evento storico. Per la prima volta, infatti, in Cina è scattata una protesta per la libertà di stampa. È avvenuto a Canton, nella ricca provincia meridionale dello Guangdong. I protagonisti, o meglio gli iniziatori della manifestazione di dissenso, sono stati i giornalisti del Southern Weekly.
Ma spieghiamoci meglio. Come da tradizione ad ogni Capodanno il settimanale del Paese della Grande Muraglia è solito scrivere un pezzo ispirato ai buoni propositi. E per il 2013 i giornalisti del periodico cinese speravano nella libertà di stampa, nel rispetto della democrazia e nell’attuazione della Costituzione. La quale dovrebbe già garantire i suddetti principi. «Il sogno della Cina, il sogno del costituzionalismo», era il titolo del pezzo previsto per la prima pagina.
Un sogno, appunto. Perché, immediata, è intervenuta la censura. La quale, ricordiamolo, rientra nella normale amministrazione. Sembra, infatti, che nel corso del 2012 siano stati banditi o rifatti, complessivamente. più di 1.000 articoli.
E anche in questa occasione il capo provinciale della propaganda del Partito Comunista, Tuo Zhen (che è anche il vicepresidente della agenzia di stampa ufficiale dello Stato), ha rivisitato i contenuti dell’articolo. Così il titolo è diventato «Perseguire i sogni». E all’interno del testo si è affermato che il popolo cinese sarà accompagnato nello sua crescita dall’attività del Partito. Il quale, con impegno, si dedicherà a realizzare i sogni dei cittadini. Chissà quante volte è accaduto che un articolo venisse rivisitato. E nessuno ha detto nulla. Ma questa volta no. Questa volta è andata diversamente. I redattori hanno scelto la strada della protesta in piazza e hanno annunciato uno sciopero fino a quando la faccenda non sarà stata chiarita del tutto.
La protesta, va detto, non si è esaurita con i soliti slogan. No. E’ divampata anche sul web. I giornalisti “dissidenti” hanno utilizzato, infatti, la rete per avvertire il popolo dell’avvenuta censura. I censori e gli agenti della polizia informatica, dal canto loro, non hanno perso tempo e si sono messi subito all’opera per annullare ogni messaggio “scomodo”. Gli account dei dissidenti sono stati prontamente cancellati. Ma i redattori ne hanno subito creati altri. E così la notizia si è diffusa, non solo in Cina, ma in tutto il mondo.
Si tratta di un avvenimento emblematico. Nella Repubblica Popolare è bastato un invito alla Costituzione per scatenare la reazione dei censori. Ciò significa che chi detiene il potere dell’informazione ha i cosiddetti “nervi tesi”, o per dirla più “napoletanamente”, ha la cosiddetta “coda di paglia”. E’ da molto tempo, inoltre, che la libera stampa cinese invoca una revisione della legge sulla libertà di stampa. E, con l’avvento del nuovo leader, Xi Jinping, potrebbe essere l’anno buono visto che Xi è considerato una figura più “aperta e moderna” rispetto a quelle che lo hanno preceduto.
Fatto sta che la libertà di stampa (come tutti i diritti fondamentali) si costruisce poco a poco. E, in regimi più o meno totalitari, va conquistata “dal basso”. Per far ciò serve, tuttavia, una presa di consapevolezza. La quale, a sua volta, può avvenire solo tramite conoscenza. L’avanzata del web, da questo punto di vista, può rivelarsi un fattore determinante, anche se non sufficiente.