Beppe Tatarella se ne è andato: scrivere un suo ricordo non è semplice: troppo denso, singolare il personaggio. Ma per definirlo c’è un sostantivo, per il suo mestiere, l’editore, e un aggettivo, per il suo modo di fare l’editore, incantato. Ecco Beppe è stato l’editore incantato: e mi auguro che come Castorp possa oggi trovare una montagna dove riposare. Beppe per anni è stato l’editore incaricato di importanti riviste della Mondadori: Epoca, Donna Moderna, Sale e pepe, tra le altre. Al momento della cessione della società al gruppo Berlusconi, decise di fare le valigie, in realtà non sapendo dove aprirle, visto che, a differenza dei suoi colleghi, molto meno incantati di lui, l’alternativa non se l’era cercata. Ma quando uno è bravo ha mercato, ed allora, a lui che era bravo davvero, gli fu chiesto di risanare una storica testata d’ippica, lo “sportsman”, costruendo un gruppo di giornalisti. Lui si rimboccò le maniche e fece tutto quello che gli era stato chiesto, diede una linea editoriale, quadrò i conti, inquadrò i giornalisti; ma essendo l’editore incantato non si fermò a quanto gli era stato chiesto, ma rivendicò un ruolo per una dignità dell’informazione ippica: dei cavalli sapeva che hanno quattro zampe ed una criniera, ma del mondo che gli girava intorno ne comprese i valori. Il fascino della scommessa, del rischio, dello studio sulla genealogia dei cavalli e delle statistiche, campo bagnato, campo asciutto, sole, vento; la cultura dell’ippica, quando gli segnalai che nei quarantanove racconti Hemingway citava lo “sportsman” si entusiasmò; e comprese il lavoro che c’era intorno ad una corsa, fantini, uomini di scuderie, allevatori, addetti alle biglietterie, un mondo da difendere. Che non poteva certo essere sottomesso agli interessi della Sisal, la società proprietaria della testata. Ed allora l’editore incantato con i suoi giornalisti fece squadra, ma talmente squadra, da poter giocare una partita impossibile: rendere il giornale autonomo da ogni interesse diverso da quello dei lettori: parlava di libertà d’informazione, ne parlava per un giornale che si occupa di ippica, ma, parole sue, la libertà non è una questione di zampe. La Sisal, proprietaria della testata, avrebbe potuto condizionare il giornale, per tutelare i suoi interessi. E lui con i suoi giornalisti partì per una guerra santa, l’editore incantato, in nome della libertà contro un colosso che gli avrebbe potuto garantire guarentigie, onori e pennacchi: e si face caporione, il Masaniello dell’ippica. E fu così lui e i suoi giornalisti diventarono proprietari di quello che facevano. Poi andarono in crisi l’editoria e l’ippica; e con i pennacchi e con le armi ne arrivò di gente, disinteressata a capire, interessata a colpire. Ma lui, incantato più che mai, continuava a rivendicare autonomia, libertà, cultura. E nessun guaio gli ha fatto passare la passione, anzi le passioni. Beppe coltivava come una rosa il dubbio: lui, nell’epoca dell’odio e delle paure, sceglieva una strada e per quella si appassionava. Non era collocabile politicamente, né culturalmente, le sicurezze non facevano parte del suo modo essere, se non una speranza, alimentata con devozione e pervicacia: quella di poter fare sempre meglio. Con Beppe ci scambiavamo consigli sui libri, sugli articoli da leggere: lui mi ha introdotto alla montagna incantata, io a Feuchtwanger. Ma consigliare un libro, o un argomento da approfondire a Beppe non era cosa semplice, lui si preparava per l’incontro successivo con appunti, articoli, ritagli, abbozzi: come l’uomo di cultura che era. Era intollerante rispetto all’ignoranza, ma di un’intolleranza seria: una volta, a Palazzo Chigi, un altissimo dirigente dello Stato durante una riunione sul problema delle tariffe postali per la spedizione dei giornali trovò la soluzione per risolvere i problemi logistici delle Poste: i giornali periodici tutti con lo stesso formato. E mentre la platea con lingue pendule era pronta ad avallare anche questo, in nome dei sissignori e dell’inchino perenne, l’editore incantato si alzò e urlò: “ma come si possono dire cagate così”. Sembrava il film di Fantozzi con la corazzata Potemkin. Il dirigente non poterono mettere Beppe a fare il pesce nell’acquario; ma inviare fantocci con armi e pennacchi si, e lo fecero. Ma l’incanto è l’incanto, è frutto di letture, di ricerca di bellezze, di verità, di note ben messe in ordine e di una vita da vivere. E quando questa termina non c’è che da ritirarsi su una montagna incantata, per raccontare come la si è vissuta. E mi sa mi sa che a quest’ora su questa cosa ci sta scrivendo, a mano piccolo piccolo su piccolissimi fogli di carta, degli appunti per farci un giornale. Ciao Beppe, ci rivedremo.
Enzo