Doversi arrendere alla chiusura, sofferenza emotiva incredibile

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La chiusura di un’azienda non è soltanto un fatto economico ma si dissolve una comunità di relazioni, rapporti ed affetti. La vicenda del Denaro raccontata da Annamaria Levante

Il Denaro è stato uno dei gruppi editoriali e di comunicazione più importanti; protagonista indiscusso della scena economica regionale con uno sguardo proiettato sul mercato nazionale ed internazionale. E’ sempre stato considerato un punto di riferimento per quei protagonisti che hanno condizionato la scena politica, economica, culturale di questi anni. Alfonso Ruffo ne è stato il suo direttore che, insieme a tanti collaboratori che si sono avvicendati nelle varie aree di competenza, ne ha garantito il successo.

Era il settembre del 2009 quando ho varcato per la prima volta Palazzo Partanna sede storica per tanti anni del quotidiano. Ricordo ancora le sensazioni e le emozioni provate per quello che rappresentava nel mio immaginario lavorare in un posto dove le parole sono importanti, ed il giornale diventa quindi uno strumento autorevole, forte per raccontare ed informare tutti quei lettori che ti seguono assiduamente ed io, senza sembrare eccessiva, mi sono sentita un elemento nei meccanismi di funzionamento del giornale.

Cuore pulsante di una testata giornalistica è sicuramente una redazione, con i suoi redattori che trasformano ogni giorno gli input esterni in notizie; ma ti accorgi subito che un giornale è un’organizzazione aziendale e come tale va considerato, pertanto tutto deve funzionare perfettamente. I primi anni dal mio arrivo Il Denaro era leader indiscusso; riscuoteva un grande gradimento dei lettori e degli inserzionisti. Ma poi qualcosa è iniziato a cambiare quasi impercettibilmente ed io ed i miei colleghi abbiamo percepito che tutto diventava difficile e che la struttura iniziava a scricchiolare. Era il 2012 e la crisi era alle porte. Capire le cause di questo lento ed inesorabile declino è stato l’argomento unico e principale di confronto con i colleghi. Naturalmente la crisi non riguardava solo noi, tutto intorno dava gli stessi segnali.

Il Denaro e tutto il comparto editoriale ha sofferto ancora di più la crisi perché si reggeva sugli introiti pubblicitari ed i contributi del settore. Quest’ultimi furono improvvisamente e drasticamente ridotti per l’austerity e gli introiti pubblicitari crollarono per la crisi che investi le imprese. Questo processo involutivo fu così rapido e travolgente che non fummo capaci di adeguarci al cambiamento e puntare su nuove forme di comunicazione; soprattutto puntando in modo adeguato sul web.

Un processo di riconversione così radicale necessitava di grossi investimenti in tecnologia e formazione delle risorse interne; una piccola testata giornalistica locale, per quanto affermata come Il Denaro, non ha avuto i mezzi necessari per adeguarsi e resistere sul mercato. Oggi per me come per molti miei colleghi fare questa lucida analisi risulta essere abbastanza ovvia e semplice ma in quei giorni tutto sembrava difficile e le scelte radicali da compiere necessitavano di notevole capacità di analisi e anche di una certa dose di cinismo che nessuno di noi possedeva. La sensazione di quel momento difficile lo senti sulla tua pelle, pensi quasi che non stai facendo bene il tuo lavoro, non ci metti più lo stesso impegno.

Pensi che il diminuito successo commerciale non dipenda dalla difficoltà per gli azionisti o degli imprenditori di investire nella comunicazione ma perché forse stai sbagliando qualcosa. Sono stati sicuramente mesi impegnativi, ed per ogni piccola conquista ti sembrava di aver scalato una montagna. La fatica per combattere le resistenze dei clienti mi rendevo conto che dipendeva da variabili molto più grandi di me. Il giornale cartaceo è diventato sempre più debole nei confronti di quelli online più veloci, più interattivi e dinamici. Il giornale arretrò gradualmente, perse quote di mercato fino ad arrivare ad una situazione economicamente insostenibile e a doversi arrendere alla chiusura. La conseguenza per noi dipendenti fu prima la mobilità e il licenziamento poi. Le reazioni furono le più diverse e anche in alcuni casi scomposte.

In effetti perdere il lavoro è sempre drammatico perché perdi le certezze del tuo futuro. Abbiamo resistito fino al dicembre 2013 data di chiusura del giornale e quello che mi/ci sembrava impossibile si è concretizzato… terminava la nostra esperienza al giornale. Io all’inizio ho vissuto come un senso di liberazione perché era stato fino a quel momento una sofferenza emotiva incredibile, forse perché non mi sono resa conto cosa avrebbe comportato dopo la pausa natalizia che aveva coinciso con la chiusura del giornale, ritornare alla quotidianità.

Quando chiude un’azienda non è soltanto un fatto economico ma si dissolve una comunità di relazioni, rapporti ed affetti e questa è stata per me una delle conseguenze più dolorose. Ma il tempo per leccarmi le ferite doveva durare poco, mi dovevo guardare intorno. Certo la crisi non mi ha permesso di trovare un lavoro stabile, ma ha aguzzato l’ingegno. Ora cerco di seguire le mie passioni compatibilmente con l’offerta del mercato anche se il sogno nel cassetto rimane quello di dar vita con alcuni miei colleghi al Denaro2.0.

Annamaria Levante, marketing ed area eventi del Denaro

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