“Di fatto, per la prima volta in oltre settant’anni di storia repubblicana, verrebbe chiuso ai cronisti il luogo per eccellenza di interazione con parlamentari ed esponenti di governo. Si tratta di uno scenario inedito, senza precedenti, che ha inevitabilmente spiazzato e allarmato noi, i nostri soci e i giornalisti in generale, riguardo agli spazi di agibilità professionale e al pieno dispiegamento dell’informazione politico-parlamentare”. Così, in una lettera inviata al presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, i giornalisti dell’Associazione stampa parlamentare hanno stigmatizzato la chiusura del Transatlantico e hanno chiesto spazi per i cronisti che seguono i lavori del parlamento: Comprendiamo le ragioni organizzative alla base della scelta della Camera, ma ci chiediamo se sia possibile un supplemento di riflessione su soluzioni alternative, che pure sono state ipotizzate nelle settimane scorse, in modo da non pregiudicare la storica funzionalità del Transatlantico”.
Ma non è tutto: “È nostro dovere continuare ad adoperarci perché siano garantiti al massimo gli spazi in cui i giornalisti possono svolgere il loro lavoro. Per questo, nel caso in cui la soluzione di utilizzo del Transatlantico divenisse operativa, chiediamo se sia ipotizzabile una chiusura limitata nel corso della giornata e della settimana, in base all’andamento dei lavori d’aula”. Quindi: “A ogni modo, la nostra richiesta è che sia pienamente assicurata la possibilità di accedere in tutti gli altri spazi, a partire dal cortile centrale e dai due corridoi laterali di accesso allo stesso Transatlantico, che pure non compenserebbero, in termini di superficie a disposizione, quella del salone in oggetto”.
Dunque la conclusione: “Si tratterebbe, come abbiamo detto, di una dislocazione inedita e limitante. Per questo riteniamo vada considerata strettamente temporanea, agganciata all’andamento della situazione di emergenza sanitaria. La nostra proposta, nel caso, è di fissare un primo termine che non vada oltre la pausa estiva dei lavori, entro il quale ragionare assieme della situazione e riconsiderare il permanere delle esigenze sanitarie e logistiche. Purtroppo, in Italia spesso non c’è niente di più definitivo del provvisorio. Una prospettiva che in questo ambito, e per i valori in gioco, non possiamo certo permetterci”.