Il progetto di collaborazione tra Facebook e il leader della telefonia online Skype ha tutta l’aria di essere un’altra cattiva notizia per Google dopo l’indagine per presunto abuso di posizione dominante a cui il più grande motore di ricerca del mondo è stato sottoposto da parte dell’Antitrust americano. L’accordo segnala infatti il progressivo stringersi di una vera e propria alleanza, non si sa quanto organica, tra i suoi avversari, cioè il social network di Mark Zuckerberg e il colosso Microsoft, che ha già un piede in Facebook con l’1,6% del capitale e sta acquisendo Skype attraverso una mega operazione da 8,5 miliardi di dollari.
I vantaggi di un’alleanza del genere sono abbastanza chiari: per Facebook, grazie ai servizi Skype, significa attrarre più utenti nella sua piazza virtuale e trattenerveli sempre più a lungo, aumentando la propria forza di quasi-monopolio dei social network e contrastando l’offensiva avversaria di Google più sul proprio terreno. Per Microsoft significa creare le condizioni per una sua più ampia partecipazione al dominio delle comunità virtuali, che sono l’odierno campo di battaglia dei giganti del web.
Ma c’è anche un altro argomento che rafforza la convenienza reciproca. Il servizio di videochat su Skype sarà per Zuckerberg una nuova calamita per fidelizzare i suoi settecentocinquanta milioni di utenti. Una calamita che diventerà ancora più potente dopo il passaggio di Skype a Microsoft, quando i social network potranno usare i nuovi servizi come Kinect, un sistema nato peri videogiochi, che, grazie a telecamere e sensori, permette di interagire con lo schermo senza usare tastiera o altri strumenti.
Tutte cose fantastiche, ma chi paga il conto di queste meraviglie? Al momento a sostenere i costi sono solo le telecom, sulle cui reti passa l’intero traffico Internet, comprese le telefonate gratuite di Skype. Ovvio che in questo meccanismo c’e qualcosa di grosso che non va e che va cambiato, come chiedono Telecom Italia e gli altri operatori nazionali. Insomma, è arrivato il momento che il conto del web sia suddiviso tra tutti quelli che ne traggono profitto.
Edoardo Segantini (Corriere della Sera)
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