Un giornalista in carcere per aver fatto il giornalista. E’ una notizia. Un uomo di quasi ottanta anni in carcere è un’altra notizia. E mentre l’Italia muore per inseguire lo spread, le condanne della corte di Strasburgo rimangono voce inascoltata, nel sordo rumore dello starnazzamento generale di chi da sempre urla allucinante ma non ha mai fatto nulla di vero perché queste cose non accadessero mai. Francesco Cangemi ha sette condanne penali, tutti reati che sanno di piombo, non quelli dei revolver, ma quelli della stampa, quella di una volta, attesa l’età. Non ha rilevato le fonti, dice una sentenza, il segreto professionale, la garanzia di chi ai professionisti si rivolge, contrito sotto le macine di una macchina infernale, la giustizia italiana. E a nulla vale che un uomo di settantanove anni, malato, invalido civile al cento per cento, venga rinchiuso in una casa circondariale. Ha sbagliato e deve pagare, dice la legge del taglione, quella a cui si ispirano i giustizialisti italiani, deve essere rieducato, direbbe, condizionale d’obbligo, la Costituzione italiana. Ma poi arriva, ineffabile, la dichiarazione: non ha chiesto misure alternative; il beneficio può essere concesso, ma su richiesta. Ed allora se la legge è uguale per tutti, la domanda appare pacifica perché un giornalista condannato ad un anno di carcere e che non chiede misura alternative va ai domiciliari, mentre un altro giornalista, sempre condannato, e che, come l’altro, non si sottomette all’umiliazione di chiedere sconti e favori, se ne va in carcere. Ad un età assolutamente incompatibile. Ed eccola nuovamente lei, la linea mediatica di questa giustizia: il primo dirige un quotidiano di opposizione, è antipatico, ma non si può tradurre in carcere, ne perde di credibilità la giustizia; il secondo è vecchio e, lo dice il figlio, malconcio, ma i reati li compie lì dove finisce l’Italia, nella punta finale della Salerno-Reggio Calabria, dirigendo un piccolo giornale. Ma mai come questa volta la responsabilità non può essere attribuita ai magistrati che devono applicare la legge, ma alla legge stessa, ad una legge assurda che limita la libertà di opinione con una sanzione folle, le manette, la galera, il chiuso di una cella dove deporre la penna e le idee.