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Centro editoriale dehoniano: lavoratori uniti contro 9 licenziamenti

Nove licenziamenti decisi dal Centro editoriale dehoniano fanno scattare la protesta dei lavoratori. I dipendenti hanno reagito alla notizia degli esuberi con uno sciopero a Bologna. Prevista per fine anno anche la chiusura delle riviste “Il Regno”, “Settimana” e “Musica e Assemblea”

La situazione economico-finanziaria del Centro editoriale dehoniano si aggrava ogni giorno di più. Per questo motivo il Ced ha deciso 9 licenziamenti, resi noti dalle organizzazioni aziendali. Appresa la notizia, i lavoratori hanno subito indetto uno sciopero contro gli esuberi. La crisi del ced si è talmente aggravata che il gruppo ha annunciato per fine anno la chiusura della storica rivista “Il Regno”, che diede i natali negli anni ’60 alle Edizioni Dehoniane Bologna, della “Settimana” e di “Musica e Assemblea”.

Secondo quanto hanno spiegato i rappresentanti sindacali dei lavoratori, si è giunti ai licenziamenti attraverso l’apertura di una procedura di mobilità con una possibile “cassa integrazione a zero ore”. La protesta è scattata immediatamente, anche perché i lavoratori del Centro editoriale dehoniano hanno già in corso un contratto di solidarietà e avevano chiesto un “percorso di risanamento” con “cassa integrazione straordinaria” e “possibili prepensionamenti nel corso del biennio 2016-2017”.

Come spiega l’agenzia Sir, i dipendenti non ci stanno e “hanno immediatamente dichiarato una giornata di sciopero”, cui farà seguito una manifestazione, il 15 settembre, davanti alla sede della Provincia dehoniana dell’Italia settentrionale (a Bologna, in via Scipione dal Ferro). Il sindacato ha subito ricordato che lo scorso 11 febbraio “era stato sottoscritto un accordo-ponte, proprio per rispondere alla crisi già conclamata; accordo che ha previsto l’apertura di un contratto di solidarietà e la rinuncia temporanea da parte dei lavoratori a una parte pesante della loro retribuzione di secondo livello”.

I lavoratori fanno sapere, attraverso una nota dei rappresentanti sindacali, che “la scelta aziendale di comunicare la chiusura delle maggiori riviste storiche del Centro viene ritenuta controproducente, sia rispetto alla missione del Ced, sia rispetto all’immagine che ha da sempre trainato anche gli altri ambiti editoriali dell’azienda”. I dipendenti rivelano inoltre come il Centro si faccia carico di “costi e debiti anche di società collegate (i cui lavoratori peraltro ne hanno già pagato e stanno pagando il costo), senza che sia stato possibile affrontare organicamente e unitariamente questa situazione”.

L’appunto è rivolto alle gravi difficoltà affrontate dal comparto distributivo gestito da Proliber, che ha da poco chiuso i centri di Padova, Bologna e Milano. Quello che esprimono i lavoratori del Ced è un profondo sconcerto nel prendere atto che il rifiuto opposto dall’azienda alle loro proposte colpisce un delicatissimo profilo etico, ritenendo “che tutti debbano farsi carico di uno sforzo di risanamento equo e condiviso” e considerando “immorale individuare come capro espiatorio solo alcuni lavoratori”: i 9 licenziamenti previsti, infatti, andrebbero al di là del personale assunto nelle riviste che verranno chiuse.

L’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna esprime subito la sua solidarietà ai giornalisti e ai lavoratori coinvolti, e ne condivide le forme di protesta, a partire dallo sciopero. Il Ced vive un momento molto complicato e l’Ordine fa sapere, attraverso una nota del presidente regionale Antonio Farné, che “l’atteggiamento dell’editore merita la più ferma condanna, già espressa peraltro dalle organizzazioni sindacali e dalla rsu”. Anche il presidente pone l’accento sul fatto che era stato indicato un percorso di possibile contrasto alla crisi in atto, ma l’azienda l’ha respinto senza reali motivazioni, proponendo addirittura una strategia di licenziamento ‘ad personam’. Insomma, quanto di meno etico ci si potesse aspettare, soprattutto da parte di quel genere di editore. L’auspicio, allora – conclude Farné – è quello di un immediato cambio di rotta, confortato da una maggiore disponibilità al dialogo e al confronto, che possa in concreto sia salvaguardare dei posti di lavoro e la dignità di chi li ricopre che la sopravvivenza di storiche voci dell’informazione ecclesiale e non solo”.

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