C’è un giudice a Berlino. E c’è una commissione a Washington davanti alla quale dovrà comparire il capo di Twitter, Jack Dorsay, dopo lo scandalo della “censura” al New York Post e al suo scoop sulle mail tra Biden padre e figlio e le presunte ingerenze del primo negli affari ucraini per agevolare il secondo.
La decisione del social di censurare gli articoli perché riportanti materiali “leaked” senza l’autorizzazione dei diretti interessati è finita al centro della polemica nel pieno della campagna elettorale presidenziale americana. La foglia di fico del contrasto al materiale “rubato” sul web non ha, evidentemente, retto. Al punto che proprio Twitter ha annunciato un suo parziale dietrofront. Salvando le apparenze, quelle che continuano a parlare di policy e regolamenti che però, come hanno dimostrato le polemiche trasversali, non possono avere maggiore importanza delle leggi costituzionali.
“Questa è un’interferenza elettorale e siamo a 19 giorni da un’elezione”, ha affermato il senatore repubblicano Ted Cruz, membro della commissione Giustizia che ha predisposto il documento insieme al presidente della commissione, Lindsey Graham. “Mai prima d’ora si era vista una censura attiva di un’importante pubblicazione di stampa con gravi accuse di corruzione di uno dei due candidati alla presidenza”, ha aggiunto.
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