Il Dipartimento di Giustizia Usa ha formalizzato l’accusa contro Cupertino e sette grandi editori tra cui Penguin, Simon&Schuster e Macmillan coinvolti in un presunto accordo per tenere alti i prezzi dei libri in formato elettronico così da garantire alla Apple commesse superiori sulle vendite (sempre pari al 30%) e inducendo la concorrenza ad una conversione coatta al proprio business. L’obiettivo secondo il Ministero, al termine di un’indagine fatta risalire dal Governo nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2009, sarebbe stato quello di costituire un modello “agenzia” di pubblicazione, a fronte di ricavi condivisi, e volto a contrastare il dominio di Amazon sul mercato, “reo” di imporre prezzi all’ingrosso per i dispositivi Kindle (9,99 $) e dunque di pregiudicare i profitti della grande industria editoriale. L’inchiesta, stando al testo dell’impianto accusatorio (che riportiamo nel link in basso), parla di un vero e proprio contratto collettivo della distribuzione sottoscritto tra le parti ed in base a cui ciascun editore si impegnava a “collaborare” creando così una “massa critica” sufficiente ad ovviare allo scarso potere negoziale rivendicato su Amazon.
Alcune e-mail scambiate tra i dirigenti delle case editrici e lo stesso defunto Steve Jobs proverebbero la premeditazione del piano finalizzato ad allestire una serie di negoziati multilaterali tra i grandi nomi dell’editoria e l’unico loro interlocutore, la Apple, disposti a legare le mani di rivenditori ed intermediari, una volta messi di fronte all’out-out: aderire al modello agency imposto o correre il rischio di non avere più i libri dalle case editrici, almeno non da quelle consenzienti al presunto cartello. Secondo il DOJ la Mela avrebbe “consapevolmente partecipato alla cospirazione” consentendo agli editori di utilizzare la piattaforma iBooks ed i dispositivi iPad pur di non rinunciare a quel 30% di commissione su prezzi di vendita degli e-book, fatti lievitare artificialmente, al solo scopo di far leva contro la minaccia Amazon. Obiettivo di lungo termine sarebbe stato quello di “creare un autentico mercato mainstream di libri elettronici dal prezzo oscillante tra i $ 12.99 e $14.99”. Un ragionamento esposto dallo stesso Jobs in questi termini: “Si imposta il prezzo, e otteniamo il nostro 30 per cento, e sì, il cliente paga un po’ di più, ma questo è ciò che si desidera in ogni caso”. Non solo e-amail ma anche stralci di conversazioni telefoniche inchioderebbero alcuni dei protagonisti della vicenda con data antecedente al lancio dell’iPad avvenuto il 3 aprile 2010 e con il relativo patto di agenzia annesso. Un modello di distribuzione a cui altri grandi rivenditori (Barnes&Nobles) si sarebbero adeguati nei 4 mesi successivi, coinvolgendo persino Amazon dopo che l’editore Mcmillan aveva disposto il ritiro dei propri libri dallo store minacciando che altri “colleghi” presto o tardi avrebbero fatto lo stesso. Un avvertimento che da solo sarebbe bastato a far risorgere i prezzi degli ebook, partendo da 12,99 $ anche su una delle principali piazze all’ingrosso della concorrenza, ottenendo così di falsare il libero mercato.
Fin dall’inizio del procedimento a suo carico la Apple insieme alla Mcmillan si sono sempre mostrate serene, rifiutando di ipotizzare qualsiasi accordo extragiudiziario. Questo almeno prima che il fronte compatto del trust si scardinasse.
Delle ultime ore è la notizia riportata da Bloomberg che le case editrici Simon & Schuster, Hachette e HarperCollins si sarebbero dette disposte a patteggiare con il Dipartimento di Giustizia per chiudere in fretta la questione, come poi confermato dal Procuratore Generale Eric Holder. Due sarebbero le opzioni messe cautamente sul tavolo dal governo interessato a non infierire, in pieno periodo elettorale, su nomi tanto importanti dell’industria editoriale. Riaffacciarsi al modello Wholesale (all’ingrosso) dei prezzi seguito da rivenditori come Amazon e B&N in un ottica di mercato aperto ed invalidare così la clausola anticoncorrenziale imposta dalla Apple per tutelare l’iBookstore nei confronti dei competitors più “economici”. Un impegno che gli editori saranno tenuti a rispettare per i prossimi due anni.
La Mela potrebbe per giunta rischiare sanzioni piuttosto salate dato che come anticipato da Eric Holder: “quale risultato di questa presunta cospirazione, crediamo che i consumatori abbiano pagato milioni di dollari in più per alcuni dei titoli più popolari”.
Un business lucrato su un giro d’affari quello degli e-book, che negli Usa avrebbe generato nel 2011 profitti pari a 969milioni di dollari, attestando un incremento nel settore del 117%. Utili garantiti dall’elevato risparmio sui costi di stampa e di spedizione da parte dell’industria, in una filiera produttiva che va direttamente dagli editori ai distributori, evitando le spese per il deposito in magazzino. Una corsia trainante per le finanze dell’editoria ma che secondo il DOJ meriterebbe regole trasparenti per garantire prezzi equi sul prodotto finale, al fine di tutelare i consumatori e l’innovazione.
Manuela Avino
Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi teme che l’intelligenza artificiale possa trasformarsi in un “pericoloso…
Oggi alle 18 in piazza Venezia a Roma Il Tirreno sarà premiato con il Digital…
Il sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini conferma di essere “un grandissimo fautore dei finanziamenti pubblici” all’editoria…
C’è maretta al settimanale Oggi: i giornalisti hanno sfiduciato il direttore Andrea Biavardi, subentrato a…
Facendo seguito alla nostra circolare n. 25/2024 segnaliamo che con Decreto del Capo del Dipartimento…
Fumata bianca ad Askanews: l’assemblea dei giornalisti dà il via libera alla proposta di prepensionamenti.…