La Rai va privatizzata, ma non dal governo tecnico. Lancia il sasso e nasconde la mano Antonio Catricalà, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri. «Una rete Rai privatizzata avrebbe il suo senso, affidando naturalmente alle altre due reti un servizio pubblico efficiente privo della pubblicità», ma «non è un disegno che può essere realizzato nel nostro breve periodo di permanenza al governo», dichiara Catricalà in un intervento a Sky Tg24.
Per il sottosegretario alienare almeno una parte del servizio pubblico significherebbe alimentare la concorrenza. E se lo dice l’ex presidente dell’autorità garante della concorrenza e del mercato c’è da credergli.
L’affermazione di Catricalà lascia intendere che debba essere venduta almeno una delle tre reti tradizionali, Rai1, Rai2 o Rai3. I vantaggi sarebbero due: più soldi in cassa e la possibilità di destinare le altre due reti ad una tv di qualità, basata solo sulle risorse del canone. Inoltre, senza i condizionmanti dell’Auditel, sarebbe possibile sperimentare nuovi linguaggi a format.
Tuttavia per Catricalà si tratta di un progetto dai tempi lunghi. Quanto lunghi? Abbastanza da togliere la responsabilità all’attuale governo tecnico. Il sottosegretario è chiaro: «la privatizzazione non può essere realizzata nel nostro breve periodo di permanenza al governo».
Dunque se la vedrà chi vincerà le prossime elezioni. Sarà capace il prossimo governo politico a rinunciare alle lusinghe della tv di Stato? Ai posteri l’ardua sentenza.
Al di là della lungimiranza e della professionalità di Catricalà, la dichiarazione del sottosegretario sembra una delle tante. Un progetto appena accennato, quasi “insipido”, senza il piglio di chi sa cosa fare. Inoltre la disamina si ferma alle sole tre reti tradizionali e non comprende gli altri 12 canali.
Il 28 marzo scade il cda Rai e il 9 maggio anche l’Agcom dovrà rinnovarsi. Quale occasione migliore per porre le basi certe per una riforma futura. Anche se il governo tecnico se non ne vedrà la fine ha la possibilità di creare le premesse per una nuova tv di Stato. La legge che lo permette c’è già. Il comma 3 dell’articolo 21 della legge Gasparri prevede la dismissione della partecipazione dello Stato nella Rai.
Inoltre se si dovesse vendere almeno il 10% di Viale Mazzini verrebbero meno anche gli attuali meccanismi di nomina. Basterebbe vendere un decimo dell’azienda e il cda non sarebbe più nominato interamente dalla Vigilanza e quindi dal Parlamento.
È questo il motivo di tanta titubanza?
Egidio Negri