Mettere “like” a un video dell’Isis può rappresentare un grave indizio di colpevolezza che giustifica la custodia cautelare in carcere per apologia del terrorismo. Lo ha stabilito la Cassazione in merito al caso di un uomo di origine kosovara, residente nel Bresciano e ora espulso dal nostro paese, che era stato sottoposto a misura cautelare poi annullata dal tribunale del Riesame. Il procuratore della Repubblica di Brescia, dopo una prima pronuncia della Suprema Corte e un nuovo annullamento del Riesame, aveva presentato un secondo ricorso rilevando che “il richiamo costante ed esplicito al conflitto bellico in corso di svolgimento sul territorio sirio-iracheno, contenuto nelle registrazioni pubblicate e condivise sul profilo Facebook” dell’indagato, “rappresentava un idoneo e qualificato riferimento all’Isis”. Il Riesame bresciano, “pur riconoscendo che il termine ‘Jihad’ evoca la guerra santa”, aveva sottolineato nel ricorso il capo della Procura, “ha ritenuto che nelle videoregistrazioni non vi siano sufficienti elementi per ricondurre univocamente i richiami alla guerra santa, in esse contenuti, all’Isis, sul rilievo che lo Stato islamico era solo una delle parti belligeranti del conflitto sirio-iracheno e non era stata dimostrata la volontà” del kosovaro “di riferirsi proprio all’Isis e non ad altri combattenti”.
Un’argomentazione che, secondo il capo del pm di Brescia, risulta “contraddittoria e incongrua”, con cui si ridimensiona anche “l’importanza” dell’opzione ‘like'” che l’indagato aveva apposto ad uno dei video pubblicati in rete.
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