Scrivere di un pm che è un «magistrato d’assalto» è diffamatorio e l’espressione non rientra tra quelle giustificate dal diritto di critica ma costituisce una aggressione al patrimonio morale del magistrato. Per questo motivo la Cassazione ha confermato la condanna (l’entità non è nota) per omesso controllo e diffamazione nei confronti dell’ex direttore del Quotidiano della Basilicata, Paride Leporace. Il giornale nell’edizione del 28 aprile 2009 aveva pubblicato una lettera con più riferimenti all’allora sostituto procuratore di Potenza Henry John Woodcock – ora alla Procura di Napoli – in relazione all’inchiesta Tempa Rossa sulle espropriazioni di fondi nel comune lucano di Corleto Perticara in favore di una società petrolifera. La lettera era firmata da un fratello del sindaco di Corleto, e criticava Woodcock titolare dell’indagine, perché, a suo avviso, si comportava da «magistrato d’assalto” capace di «soffiare sul fuoco dell’arbitrio e della illegalità” e di arrogarsi «un potere che non gli spetta». Secondo la Cassazione, queste espressioni, per le quali il direttore era stato assolto in primo grado dal Tribunale di Cosenza nel 2013, «correttamente» sono state ritenute dalla Corte di Appello di Catanzaro, nel 2016, lesive della reputazione del pm perché stigmatizzano «qualità personali socialmente riprovate». «Pur considerando il contesto acceso ed acrimonioso nel quale si sono inserite, esse – scrive l’Alta Corte – superano senz’altro il diritto di critica, presentandosi come gratuitamente vulneranti la dignità delle persone che ne sono state destinatarie». A ritenersi diffamate, anche altre due persone definite «scrocconi e faccendieri», termini per i quali la Cassazione non ha riconosciuto l’uso gergale e ormai diffuso in quanto, come stabilito dal verdetto dell’appello, erano “oggettivamente sproporzionate rispetto al concetto da rendere». Con «peculiare riguardo» alle espressioni riferite a Woodcock, «deve affermarsi – prosegue la Cassazione – che l’esercizio del diritto di critica giudiziaria che si appunti sull’operato di un magistrato dell’Ufficio del pubblico ministero non può consistere nella gratuita attribuzione di malafede, risolvendosi, altrimenti, in una lesione della reputazione professionale e della intangibilità della sfera di onorabilità del magistrato medesimo». Per gli ermellini, “esula dalla scriminante del diritto di critica, in quanto si risolve in un attacco morale alla persona, l’accusa, a chi conduce le indagini, di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi personali, ancorche’ di vanità, o di strumentalizzazione della stessa per finalità estranee a quelle proprie, in ragione dei doveri istituzionali, all’operato del pubblico ministero». Costituiscono invece legittima manifestazione del diritto di critica gli altri «aspri giudizi” sul pm – contenuti sempre nella lettera – sulla sua «negligenza in diritto amministrativo ed anche civile».