Il giornalista Stefano M. nel periodo dal febbraio 1997 al giugno 2000 ha lavorato per la Rai con contratti di vario tipo: dapprima come “presentatore e regista” con contratto di lavoro autonomo per il programma “Misteri”; successivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato come “programmista regista” per lo stesso programma; infine con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato come “programmista regista” per il programma “Porta a porta”. Egli ha chiesto al Tribunale di Roma di accertare l’esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e di riconoscergli il diritto all’applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico con la qualifica di redattore. Il Tribunale ha rigettato la domanda. In grado di appello la Corte di Roma ha invece ritenuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con effetto dal febbraio 1997 ed ha affermato il diritto del ricorrente alla qualifica di redattore ordinario in base al CNLG. La Rai ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte romana per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 10332 del 21 giugno 2012, Pres. Vidiri, Rel. Napoletano) ha dichiarato inammissibili i motivi attinenti alla nullità dei termini apposti ai contratti, mentre ha rigettato i motivi relativi all’applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico e all’accertamento della subordinazione. In particolare la Corte ha ritenuto non condivisibile la tesi della Rai secondo cui ai fini dell’accertamento della natura giornalistica della prestazione sarebbe decisiva “la sussistenza o meno del potere del lavoratore di firmare il pezzo respingendo eventuali modifiche apportare da altri”.
La giurisprudenza di legittimità – ha ricordato la Corte – è univocamente orientata nel ritenere che costituisce attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e predisporre il messaggio con apporto soggettivo e creativo, ed assumendo rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione, che costituiscono gli elementi differenziatori rispetto ad altre professioni intellettuali e sono funzionali a sollecitare l’interesse dei cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli di attenzione per la loro novità. Si è così ritenuto da questa Corte che il tele-foto-cine operatore assume la qualifica di giornalista ove lo stesso non si limiti a riprendere immagini destinate ad un giornale, scritto o parlato, ma, dovendo realizzare la trasmissione di un messaggio, effettui con continuità, in condizioni di autonomia tecnica, per il datore di lavoro, riprese di immagini di valenza informativa, tali da sostituire o completare il pezzo scritto o parlato, e, successivamente, partecipi alla selezione, al montaggio e, in genere, all’elaborazione del materiale filmato o fotografo in posizione di autonomia decisionale, come desumibile dell’idoneità del servizio televisivo a svolgere, di per sé, la necessaria funzione informativa. L’attività giornalistica si caratterizza, quindi, non tanto per la sussistenza del potere di firma del pezzo e della possibilità di respingere eventuali modifiche apportate da altri, quanto piuttosto per l’oggetto precipuo della prestazione intellettuale resa consistente nella raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione, valutandone la rilevanza e predisponendone il messaggio con apporto soggettivo e creativo. A tali principi – ha osservato la Cassazione – la Corte del merito si è attenuta sottolineando che Stefano M. realizzava i servizi affidatigli ricercando ed elaborando notizie su avvenimenti di attualità o fatti di cultura legati all’attualità con personale ed originale elaborazione o commento di un fatto destinato a formare oggetto di comunicazione interpersonale nell’ambito di trasmissioni realizzate e condotte da giornalisti sulla base del lavoro di una redazione, consistenti proprio nella presentazione ed elaborazione, attraverso approfondimenti, riflessioni ed interventi di terzi, di notizie. Relativamente alla ritenuta natura subordinata del rapporto di lavoro – ha osservato la Corte – la Rai critica la Corte del merito per avere dato rilievo ai c.d. indici sussidiari della subordinazione, in particolare al dato dell’inserimento del prestatore nell’organizzazione aziendale, senza considerare affatto la scelta delle parti, risultante da una clausola del documento contrattuale, nel senso di costituire tra di esse un rapporto di lavoro autonomo; tale censura – ha affermato la Corte – non è condivisibile; mette conto, innanzitutto, evidenziare, alla luce della sentenza Cass. n. 8068/2009 che in tema di attività giornalistica la subordinazione non può che essere apprezzata, come più volte ribadito dalla Cassazione avuto riguardo, e al carattere intellettuale e/o creativo della prestazione, e alla peculiarità dell’attività cui la stessa s’inserisce; pertanto, proprio in considerazione della peculiarità delle specifiche mansioni svolte che lasciano un certo margine di autonomia e del carattere collettivo dell’opera redazionale cui s’inseriscono, la subordinazione ex art. 2094 c.c., intesa quale inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e organizzativi nonché disciplinari del datore di lavoro, risulta attenuata con conseguente difficoltà di cogliere in maniera diretta e immediata i caratteri propri del lavoro subordinato e necessita, quindi, di far ricorso, di distinguerlo da quello autonomo, ad indici rivelatori e ciò tenuto anche conto che, nel lavoro giornalistico, per gli evidenziati aspetti, la subordinazione si concretizza più che altro in collaborazione. A tal fine la giurisprudenza di legittimità – ha ricordato la Corte – ha avuto modo di precisare che la subordinazione non è esclusa quando il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni, ovvero allorché non sia impegnato in un’attività quotidiana, la quale, invece, contraddistingue quella del redattore, ovvero, altresì, nell’ipotesi in cui l’attività informativa sia soltanto marginale rispetto ad altre diverse svolte dal datore di lavoro, ed impegni il giornalista anche non quotidianamente e per un limitato numero di ore ovvero, infine, quando l’esecuzione della prestazione lavorativa sia effettuata a domicilio. Rappresentano secondo la Cassazione, di conto, indici rilevatori della subordinazione: lo svolgimento di un’attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze informative riguardanti un particolare settore, la sistematica redazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, e la persistenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, in modo da essere sempre disponibile per soddisfarne le esigenze ed eseguire le direttive; la continuità e la responsabilità del servizio, che ricorrono quando il giornalista abbia l’incarico di trattare in via continuativa un argomento o un settore di informazione e metta costantemente a disposizione la sua opera, nell’ambito delle istruzioni ricevute; la soddisfazione dell’esigenza dell’imprenditore di coprire stabilmente uno specifico settore d’informazione, attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche ed il permanere della disponibilità del lavoratore, pur nell’intervallo fra una prestazione e l’altra. Costituiscono di contro, indici negativi: la pattuizione di prestazioni singole e retribuite in base a distinti contratti che si succedono nel tempo, ovvero la convenzione di singole, ancorché continuative, prestazioni secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali; la pubblicazione ed il compenso degli scritti solo previo “gradimento” ed a totale discrezione del direttore del giornale ovvero commissionati singolarmente, in base ad una successione di incarichi fiduciari. Deve, quindi, riaffermarsi – ha concluso la Corte – che l’elemento caratterizzante la subordinazione nel lavoro giornalistico è rappresentato sostanzialmente dallo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nella organizzazione aziendale, nel senso che attraverso tale prestazione il datore di lavoro assicura in via stabile o quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo la soddisfazione di una esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche e, quindi, esige, come tale, il permanere della disponibilità del lavoratore, pur nell’intervallo fra una prestazione e l’altra.
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