Gino M. giornalista pubblicista nel periodo dal 2000 al 2005 ha lavorato per il quotidiano La Nazione, edito dalla s.p.a. Poligrafici Editoriale, scrivendo articoli di informazione concernenti lo sport del calcio. Il rapporto è stato formalizzato con un contratto di cessione di diritti d’autore. Quando l’azienda ha posto termine al rapporto, egli ha chiesto al Tribunale di Firenze di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, rispondente ai requisiti della “collaborazione fissa” prevista dall’art. 2 CNLG e di condannare l’azienda al ripristino del rapporto e al pagamento di differenze di retribuzione. Il Tribunale ha rigettato la domanda. La Corte di Firenze ha rigettato l’appello proposto dal giornalista rilevando che le emergenze istruttorie, pur evidenziando la continuità della prestazione, non provavano il vincolo di dipendenza e la responsabilità del servizio richiesta per il collaboratore fisso dall’art. 2 del CCNL giornalistico rimasto invariato sino alla formulazione del novembre 1995. Infatti, secondo la Corte d’Appello, premesso che la messa a disposizione di energie lavorative si realizzava soltanto quando il giornalista aveva assunto contrattualmente la responsabilità di un servizio, nella specie, doveva ritenersi che a Gino M. non era stato affidato il compito di soddisfare per intero la domanda dei lettori e le esigenze redazionali essendosi la sua prestazione inserita nelle pagine del giornale, come uno dei numerosi contributi che arricchivano la già nutrita cronaca quotidiana di argomento calcistico. Né, per la Corte territoriale, Gino M. aveva, di fatto, la responsabilità del servizio nel significato richiesto dalla fonte collettiva essendo dimostrato che la redazione sportiva, con variegate figure professionali era in grado di coprire ogni aspetto della cronaca calcistica. Il giornalista ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte fiorentina per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 11065 del 20 maggio 2014, Pres. Vidiri, Rel. Napoletano) ha accolto il ricorso. Costituisce principio di diritto nella giurisprudenza di legittimità – ha statuito la Corte – l’affermazione secondo la quale in tema di attività giornalistica sono configurabili gli estremi della subordinazione – tenuto conto del carattere creativo del lavoro – ove vi sia lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale così da poter assicurare, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, e permanga, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, la disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro, non potendosi escludere la natura subordinata della prestazione per il fatto che il lavoratore goda di una certa libertà di movimento ovvero non sia tenuto ad un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, né per il fatto che la retribuzione sia commisurata alle singole prestazioni; costituiscono, per contro, indici negativi alla ravvisabilità di un vincolo di subordinazione la pattuizione di prestazioni singolarmente convenute e retribuite, ancorché continuative, secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali ovvero in base ad una successione di incarichi fiduciari. In particolare, poi, per quanto attiene i requisiti prescritti dall’art. 2 del contratto collettivo di lavoro giornalistico (reso efficace erga omnes dal d.P.R. n. 153 del 1961) per la configurabilità della qualifica di collaboratore fisso – ha affermato la Corte – la “responsabilità di un servizio” deve essere intesa come l’impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d’informazione, onde deve ritenersi collaboratore fisso colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la “copertura” di detta area informativa, rientrante nei propri piani editoriali e nella propria autonoma gestione delle notizie da far conoscere, contando, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla piena disponibilità del lavoratore, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. Nella specie – ha osservato la Cassazione – la Corte del merito non si è attenuta a tali principi di diritto in quanto ha fondato il suo decisum sul rilievo secondo il quale la messa a disposizione da parte del collaboratore delle proprie energie lavorative, ai fini della sussistenza di una subordinazione, va desunta dalla assunzione della responsabilità del settore – quello della cronaca calcistica – cui l’attività di Gino M. era riferibile. La Corte fiorentina, così argomentando – ha osservato la Cassazione – non ha, quindi, tenuto conto, sia che la responsabilità del servizio va intesa come l’impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d’informazione, e non come responsabilità dell’intero settore, sia che la permanenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro costituisce un indice di stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale potendo in questo modo il datore di lavoro assicurare il soddisfacimento di una specifica esigenza d’informazione.
testo completo della notizia da Legge e Giustizia
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