Un giornalista chiedeva al Tribunale di Roma di ingiungere ad un’agenzia di stampa il pagamento di crediti a suo favore, conseguenti all’intercorso rapporto di lavoro con la detta società. In un primo momento, veniva emesso decreto ingiuntivo a carico dell’agenzia di stampa ma, successivamente, il Tribunale accoglieva l’opposizione presentata dalla società e lo revocava. Il giornalista proponeva appello e l’agenzia di stampa veniva, di conseguenza, condannata al pagamento delle spese del doppio grado: la Corte d’Appello di Roma riteneva, in sostanza, che il compenso per il collaboratore fisso era connesso non al numero di collaborazioni intese come giornate lavorative, bensì ai “pezzi” giornalistici o articoli prodotti. Per la cassazione di tale sentenza, l’agenzia di stampa propone ricorso. Secondo la ricorrente, il termine “collaborazione” non poteva intendersi comprensivo di tutta l’attività giornaliera svolta dal collaboratore e la retribuzione, conseguentemente, veniva sempre corrisposta indipendentemente dal numero degli articoli realizzati, essendo pacifica la natura subordinata del rapporto di lavoro del collaboratore fisso che non è tenuto ad un’attività giornalistica quotidiana, come il redattore, ma a prestazioni non occasionali a seconda delle esigenze redazionali. L’art. 2 del c.c.n.l.g. individua tre caratteristiche fondamentali dell’attività giornalistica del collaboratore fisso: continuità di prestazione, vincolo di dipendenza, responsabilità di un servizio. Se ne deduce che si tratta di colui (giornalisti addetti ai quotidiani, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti radiotelevisive private e agli uffici stampa) che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori di una testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area di informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. Alla luce di ciò, facile comprendere che la retribuzione contrattuale collettiva sia collegata al numero di collaborazioni mensili e proporzionata all’impegno di frequenza della collaborazione e alla natura e all’importanza delle materie trattate. Fermo restando che rientra nei poteri di apprezzamento discrezionale del giudice di merito individuare, alla luce di tutti questi parametri, un logico criterio per il compenso di un numero maggiore di collaborazioni. Pertanto, potrebbe risultare violato il canone di proporzionalità e di equa determinazione della retribuzione laddove si provvedesse a tale adeguamento dividendo semplicemente il compenso pattuito per le collaborazioni previste, moltiplicandolo per tutti gli articoli o pezzi giornalistici prodotti. Non può essere sostenuta neppure la tesi della ricorrente secondo cui, qualora per “collaborazione” dovesse intendersi il singolo articolo o rubrica prodotti dal collaboratore ci si troverebbe dinanzi a un rapporto di lavoro autonomo che consentirebbe di compensare il prestatore in funzione di ogni singolo articolo. La Suprema Corte ha, infatti, ripetutamente sostenuto che «la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla quotidiana permanenza sul luogo di lavoro».
Fonte: www.dirittoegiustizia.it