La Corte precisa che non è sufficiente aver inserito nello stesso sito, ma in un’altra area, l’aggiornamento (favorevole all’indagato, con l’archiviazione del procedimento) della vicenda giudiziaria poichè la notizia del proscioglimento va data nello stesso contesto e con lo stesso risalto attribuito alla notizia originaria.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27535 del 30 dicembre 2014 ha confermato la condanna inflitta nei precedenti gradi di merito ad una Associazione di consumatori la quale aveva pubblicato sul suo sito un comunicato con il quale informava circa l’apertura delle indagini atte a verificare la correttezza del lavoro svolto dal direttore generale dell’Istituto superiore di Sanità e di un suo collaboratore.
Più precisamente il Tribunale di Roma in primo grado condanno’ l’associazione al risarcimento dei danni, liquidati in 30.000,00 Euro, risarcimento poi confermato in appello.
Parimenti (e conseguentemente) infondata la censura di ultrapetizione, visto che la richiesta di risarcimento non era limitata alla sfera della reputazione professionale, bensi’ ad “ogni ambito” della vita di relazione, seppur con la sottolineatura della particolare “intensita’ e sofferenza nell’ambiente professionale“.
Infondate, infine, le censure circa la violazione dell’onere della prova e la necessita’ che l’attore fornisse almeno elementi di natura presuntiva in ordine al concreto pregiudizio subito.
Non essendo stato dedotto un pregiudizio alla “reputazione professionale‘, ma – come detto- una sofferenza ed un disagio in ogni ambito relazionale (seppur accentuati in quello professionale) e -quindi- una lesione della “reputazione personale’, l’esistenza del pregiudizio poteva ben essere accertata in via presuntiva dalla Corte, che non a caso ha parlato di “notorie sofferenze” di un soggetto di cui sia stata fornita “un’immagine biasimevole sotto il profilo etico” e che sia stato additato “come una persona sulla cui condotta professionale si stava indagando”: non risulta dunque violato il principio secondo cui anche il danno non patrimoniale “costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato” (Cass., S.U. n. 26972/2008), giacche’ l’affermazione della Corte di merito circa il fatto che “il danno, in casi del genere, e’ in re ipsa” postula comunque un preventivo accertamento – ancorche’ presuntivo – dell’esistenza della lesione (in conformità a Cass. n. 6507/2001 e Cass. n. 20120/2010).
La Corte ha ritenuto il comunicato corretto solo nel caso della prima diffusione: la notizia dell’apertura dell’inchiesta rispondeva ai requisiti di correttezza, completezza e interesse pubblico.
Il comunicato però è diventato diffamatorio dal momento in cui è stata riproposto, due anni dopo, senza l’integrazione dell’informazione che le inchieste si erano chiuse in favore del direttore generale e del suo collaboratore.
La Cassazione ha ritenuto non corretta la modalità di comunicazione della notizia del proscioglimento dei dirigenti in quanto fornita nello stesso sito ma in altra sezione, accessibile dalla stessa pagina web. Secondo la Corte la sentenza in discussione forniva ampia e coerente motivazione delle ragioni per cui si riteneva che la notizia del proscioglimento dei due dirigenti avrebbe dovuto essere evidenziata nello stesso contesto o, quanto meno, alla fine del comunicato del dicembre 1998. (Assodigitale)
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