Pubblichiamo sul nostro sito una sentenza della Cassazione Civile risalente al 11 settembre 2014. Oggetto del provvedimento è il presunto contenuto diffamatorio dell’ articolo dal titolo “An italian story”, pubblicato dal “The Economist” e ripreso e divulgato dal quotidiano “La Repubblica” durante lo svolgimento della campagna elettorale per le politiche del 2001. Nel primo motivo di ricorso l’attore espone, al riguardo, come la Corte d’appello abbia ritenuto non violato dal quotidiano La Repubblica il dovere di verità, sul presupposto che esso si era limitato a riferire dell’avvenuta pubblicazione dell’articolo in contestazione sul quotidiano The Economist. Tale pubblicazione, pertanto, rappresentava il “fatto”, vero ed oggettivo, che il quotidiano italiano aveva diffuso. Tale inquadramento giuridico della fattispecie è contestato dal ricorrente, ad avviso del quale il giornalista ha sempre il dovere di verificare la fondatezza delle notizie che diffonde, anche quando si tratti di notizie riferite da terzi. La Suprema Corte boccia questa doglianza, precisando che il giornalista che riferisca opinioni o dichiarazioni di terzi è esonerato da responsabilità per diffamazione, quando la dichiarazione del terzo costituisca di per se stessa un “fatto” così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe meno al suo compito informativo se lo tacesse. Tuttavia la Cassazione chiarisce che quando il giornalista riporti dichiarazioni di terzi di rilevante interesse pubblico, egli è sempre tenuto a rendere ben chiaro al lettore che sta riferendo opinioni o dichiarazioni di terzi, e non verità oggettive. Chi riferisce opinioni altrui deve quindi astenersi dal ricorrere ad accostamenti suggestivi o capziosi, tali da indurre in errore il lettore e fargli percepire come veritieri i fatti dichiarati da terzi. In quest’ultima ipotesi, infatti, il giornalista dismetterebbe la veste di terzo osservatore dei fatti, per divenire un diffamatore dissimulato. Link alla sentenza:
http://circolari.editoria.tv/?p=24925
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