Cancellazione dall’albo per l’avvocato che, accettando le condizioni del cliente sul pagamento dell’onorario, pone in essere un’evasione fiscale continuata. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 13791/12, depositata il 1° agosto) dettano la linea dura per il “nero” in parcella, confermando la decisione del Consiglio nazionale forense contro un’avvocatessa romana, incolpata per aver incassato oltre 4 milioni di euro da un istituto religioso senza lasciare tracce utili all’erario.
L’assistenza professionale in favore del Pontificio Seminario Francese era durata per quasi un quindicennio – dal 1994 al 2007 – durante i quali le uniche attestazioni dell’attività erano stati fogli firmati in bianco (rilasciati dall’economo dell’istituto su richiesta del legale), passaggi di denaro contante e un buon numero di assegni intestati anche ai parenti della professionista.
A fronte delle insistite richieste di ottenere le relative fatture, l’avvocato si era limitato a produrre, secondo i dati del procedimento, «diciassette progetti di parcella» per 319mila euro e cinque fatture per altri 64mila.
Radiata dal Consiglio dell’Ordine di Roma, l’avvocato aveva impugnato davanti al Cnf, ottenendo le “attenuanti generiche” per la mancanza di precedenti deontologici e la minore sanzione della cancellazione dall’Albo.
Secondo la ricorrente, che si è infine rivolta alla Cassazione, il dribbling al fisco era da imputare alla lettera di conferimento dell’incarico, in cui veniva esplicitamente richiesto di non fatturare i compensi percepiti. Inoltre, eccepiva l’incolpata, i calcoli degli onorari effettivi sarebbero stati ancorati alla prospettazione fornita dal cliente e senza neppure approfondire la «reale portata delle prestazioni professionali svolte e la complessità delle singole pratiche».
Tutte questioni di fatto, queste, sulle quali però le Sezioni Unite hanno opposto la naturale non sindacabilità nel terzo grado di giudizio.
Ed è invece proprio sul punto dei doveri di lealtà fiscale del professionista che la Cassazione rimarca la rilevanza dei fatti contestati all’avvocato, come ricostruiti dal Consiglio nazionale forense; nonostante l’attenuazione della sanzione, il Cnf infatti «ha tuttavia sottolineato la gravità del comportamento tenuto dall’incolpata, avuto riguardo anche alla intenzione, manifestata dal legale con l’accettazione della lettera di incarico, di porre in essere una continuata evasione fiscale, come risulta anche dalla richiesta della cliente, contenuta nella predetta lettera, di non effettuare la fatturazione sulle somme spettanti al legale: richiesta che, come correttamente avvertito dal Cnf, non poteva costituire una circostanza attenuante della responsabilità» dell’avvocato.
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