Da 5 mila euro alla galera: la progressione delle sentenze. Sallusti da recidivo a incensurato. E il “dilemma” della condizionale. Ecco la genesi della condanna a 14 mesi di reclusione per diffamazione. Ma fu La Stampa a dare la notizia per prima, ma a Torino arrivò la rettifica.
L’articolo di Libero, oggetto del reato, firmato Dryfus e scritto da Renato Farina (il deputato del Pdl ha confessato solo qualche giorno fa) è del 18 febbraio. Il giorno prima lo stesso tema fu affrontato da un altro quotidiano: La Stampa. E il titolo non fu tanto diverso da quello di Libero: «Costretta ad abortire, impazzisce». Giuseppe Cocilovo, il giudice tutelare che permise (e non ordinò) l’aborto notò, all’inizio, solo il pezzo di Libero. E fu querela, datata il 17 aprile. Per La Stampa l’esposto arriverà un mese dopo, l’ultimo giorno utile. Ma il quotidiano torinese “se la cava bene”. Infatti, il 21 marzo su La Stampa è apparsa la rettifica del presidente del Tribunale di Torino, Mario Barbato: «Il giudice non ordina l’aborto». Ma a Libero non arriva niente. Sarebbe stato un modo veloce ed indolore per chiarire la vicenda. E invece no. Iniziano, quindi, le grane giudiziarie.
La Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio per Sallusti, direttore responsabile, per omesso controllo e diffamazione aggravata; citato anche per Monticone, un collaboratore che riportò, col condizionale, la notizia del giorno prima de La Stampa. Il gup accoglie la richiesta. Già in primo grado si fa viva l’ipotesi della pena detentiva: il pm Marco Ghezzi chiede 2 anni di reclusione. Triste presagio. Poi il 26 gennaio il giudice Chiara Nobili sarà clemente. La diffamazione aggravata c’è. Ma per Sallusti e Monticone bastano rispettivamente 5 mila e 4 mila euro di multa. Finisce così il primo grado. Ma pochi giorni dopo inizia subito il secondo.
E c’è il ricorso del pm Ghezzi: «Il fatto è molto grave e merita una sanzione severa». Si unisce all’appello Cocilovo, il giudice tutelare diffamato. Per Cocilovo la Nobili sarebbe stata clemente per una «ritrosia del magistrato chiamato a decidere su un suo collega». In altre parole una pena più pesante avrebbe fatto pensare ad una sorta di difesa tra colleghi. E la Nobili accetta la critica: «Nell’applicare la pena è stata erroneamente omessa l’applicazione della pena detentiva». E questa arriva: per Sallusti ci sono 14 mesi di reclusione (il pm ne aveva chiesti 24); per Monticone ce n’è sono 12.
E poi c’è il cavillo della condizionale. A Sallusti viene negata. In effetti nella sentenza di primo grado, essendo stata inflitta una multa in denaro, non aveva senso chiedere la condizionale. Poi con l’inflizione della pena detentiva cambia tutto. La richiesta c’è. Ma viene negata in quanto Sallusti «non è incensurato» avendo «avuto riguardo alle numerose condanne da lui già riportate per reati della stessa indole». E quindi per i magistrato non è escluso che possa continuare a “delinquere”, essendo, inoltre un direttore di un giornale. Quindi in altre parole Sallusti deve andare per 14 mesi in galera.
E poi, mercoledì scorso è arrivata la Cassazione. Per Andrea Monticone ci sarà un altro processo. Per Sallusti la Suprema Corte ha confermato il reato di diffamazione. Tuttavia gli ermellino hanno sottolineato alcune incongruenze del processo: hanno considerato Sallusti non recidivo, non avendo cumuli di pene. Il contrario di ciò che è stato stabilito in Appello (quale è la verità?). Il Giornale (che ricordiamo è diretto dallo stesso Sallusti) ha precisato che agli atti c’è un «certificato penale in cui le uniche condanne non cancellate da amnistia e condono sono due multe di 300 e 200 euro». Tuttavia la condanna detentiva senza condizionale rimane. Ma la pena è sospesa per 30 giorni. Sallusti, in tale lasso di tempo, può chiedere le misure alternative. Ma il direttore ha già dichiarato che non lo farà. L’unico modo di evitare che un direttore di giornale vada in carcere è una modifica della legge. Ci sarà? E da tempo che si invoca, purtroppo solo quando “scoppia” lo scandalo.
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