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CASO PANORAMA/NAPOLITANO: TUTTI CONTRO MULÈ. MA CHI SONO I VERI RICATTATORI?

Lo scoop di Panorama ripropone all’attenzione dell’opinione pubblica due questioni cruciali per la democrazia e per il rapporto tra istituzioni e informazione: da una parte il tema della pubblicazione delle intercettazioni, soprattutto se coperte da segreto istruttorio. 
In secondo luogo il trattamento difforme che ricevono media di aree politiche diverse a fronte di condotte in larga parte simili o sovrapponibili.

Il direttore di Panorama, Giorgio Mulè, è stato a mio avviso oggetto di critiche ingenerose e figlie del radicato pregiudizio ideologico di larga parte dell’informazione italiana. Da anni autorevoli testate facenti riferimento all’area della sinistra giustizialista utilizzano il paravento del segreto istruttorio e della tutela delle fonti giornalistiche per fare informazione-spazzatura e per divulgare informazioni, spesso infondate e comunque assimilabili a dati sensibili che i giornalisti sono tenuti a non divulgare.

Stupisce che ad attaccare Mulè siano soprattutto i giornalisti che per primi hanno scatenato la polemica su Napolitano e la Procura di Palermo, pubblicando indiscrezioni e costringendo la Presidenza della Repubblica a valutare l’ipotesi di sollevare un conflitto di attribuzione. Queste testate – anche in anni passati – non si sono certamente contraddistinte per puntuale verifica delle fonti, ne’ per corretta applicazione dei principi deontologici. 


Certo, sempre meglio sarebbe pubblicare un documento, le cosiddette “carte”, ma in questo caso la trascrizione delle conversazioni non esiste e le registrazioni sono chiuse a doppia mandata in cassaforte. Quindi? Cosa si fa? Non se ne parla? La decisione di Panorama, probabilmente, ha mandato in cortocircuito il cervello di molti colleghi abituati a ricevere “carte” dai soliti noti e incapaci di fare i giornalisti come si dovrebbe fare: chiedere, informarsi, verificare, scrivere. Assumendosi anche il rischio – inevitabile su un argomento tanto delicato!! – della critica da parte dei soliti intruppati.
E’ vero che il giornalista – anche per consolidata giurisprudenza comunitaria che colloca la tutela del segreto professionale alla base del diritto dei cittadini europei a conoscere quello che accade nei Palazzi – non è tenuto a rivelare le fonti confidenziali, ma è altrettanto vero che il giornalista è obbligato a rispettare la privacy delle persone coinvolte in indagini in corso ed è anche tenuto a riportare solo notizie ufficiali o comunque posteriori alla chiusura della fase istruttoria.

In Italia, invece, succede il contrario: sono proprio quelli che attaccano Mulè ad avere capovolto la logica del diritto di cronaca, pretendendo di sostituirsi a chi le indagini le sta ancora conducendo e formulando sentenze ancora prima che le emettano i tribunali. 
E’ accaduto anche a proposito dell’ex presidente del Consiglio: le intercettazioni sul caso Ruby uscivano a profluvi, pur non contenendo alcun rilievo penale e pur non essendo stato ancora deciso – all’epoca della pubblicazione – il rinvio a giudizio dell’ex premier.

Ora fa comodo utilizzare Mulè come parafulmine per consentire ai soliti “Soloni dell’informazione” di addossare agli altri le responsabilità dei veleni che circolano ai vertici delle Istituzioni dello Stato. 
Non sarà mica che è iniziata la nuova manovra di accerchiamento del Cavaliere, non appena si è profilata la possibilità di una sua nuova discesa in campo? Vogliamo scommettere che tutti i giornali in qualche modo vicini al centrodestra verranno stretti d’assedio e additati come ricattatori mentre in realtà sono i veri ricattati?

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