La Corte Costituzionale si pronuncerà solo tra cinque giorni sul caso Napolitano, ma non sembrano esserci dubbi sulla decisione dei giudici. Per la maggior parte dei costituzionalisti è scontata la dichiarazione di ammissibilità del conflitto di attribuzione presentato dal Presidente della Repubblica. Una scelta che si fonderebbe su elementi soggettivi e oggettivi.
In prima analisi, è pacifico che il Presidente della Repubblica sia valutabile come Potere dello Stato, essendo uno degli organi su cui è basata la Costituzione. La stessa qualifica è attribuita al Pubblico Ministero, giudicato come principale artefice dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale. Anche in questo caso, ci si riferisce al testo costituzionale, che dispone la principale funzione del Pm all’art.112. Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, è innanzitutto da rilevare che l’art.90 della Costituzione, per il quale il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nel suo mandato, eccetto che per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Leggi correlate, a corollario dell’articolo 90, rendono ancora più forti queste immunità, prevedendo procedure lunghe e complesse per le intercettazioni indirette nei suoi confronti.
Per tutti questi motivi, è quasi sicuro che la Corte riconoscerà il conflitto di attribuzioni, dando il via alla discussione su di esso. I magistrati siciliani continuano a sostenere che, per espressa previsione legislativa, le intercettazioni possono essere distrutte solo a seguito di una decisione del Gip, se quest’ultimo stabilisce l’irrilevanza penale delle stesse. I contenuti delle intercettazioni restano un mistero. Le indiscrezioni pubblicate da Panorama sarebbero basate sul nulla, stando alle parole del magistrato Antonio Ingroia.
Intanto il comitato parlamentare per le procedure penali ha giudicato come infondata la denuncia dell’avvocato Carlo Taormina nei confronti di Napolitano. Taormina lo ha accusato di attentato ai valori costituzionali. Il Comitato non si riuniva dal 1992.
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