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Presentata oggi a Montecitorio la Carta dei Diritti di Internet

Oggi si tiene a Montecitorio la presentazione della Dichiarazione dei Diritti in Internet. L’iniziativa nasce dall’esigenza di regolare un fenomeno, Internet, che ha travalicato le funzionalità proprie dei media tradizionali.

Oggi si tiene a Montecitorio la presentazione della Dichiarazione dei Diritti in Internet. Risale esattamente ad un anno fa l’istituzione di una Commissione adibita all’elaborazione di principi relativi ai diritti e doveri dell’utente sul web. Nell’ottobre dello scorso anno la Commissione ha varato una bozza composta da 14 articoli, che è stata sottoposta al giudizio delle istituzioni europee e in seguito è stata oggetto di consultazione pubblica della durata di cinque mesi. L’iniziativa nasce dall’esigenza di regolare un fenomeno, Internet, che ha travalicato le funzionalità proprie dei media tradizionali.
L’articolo 1 ha oggetto il riconoscimento e la garanzia dei diritti su Internet. Il testo si riferisce ai diritti alla base di qualsiasi Costituzione democratica, come la libertà, l’uguaglianza e la dignità. Difficile non condividere le asserzioni nella Carta, ma di fatto Internet è uno sconfinato far west in cui tali diritti vengono violati in continuazione. Risulta complicata un’effettiva tutela degli stessi. L’art.2 disciplina il diritto di accesso ad Internet, che deve essere eguale per tutti e assicurato nei suoi presupposti sostanziali. Le istituzioni pubbliche sono chiamate a garantire i necessari interventi per il superamento del divario digitale. Il nostro è un paese tradizionalmente lento a recepire i cambiamenti imposti dal progresso tecnologico. Proprio nei giorni scorsi il premier Matteo Renzi ha bloccato il piano sulla banda larga, che stanziava 6,6 mld per la realizzazione di nuove infrastrutture digitali. Gli operatori privati, che già faticano a cooperare col Governo, non hanno gradito l’ennesimo stop. L’art.3 prescrive che le istituzioni pubbliche devono assicurare la creazione, l’uso e la diffusione della conoscenza in rete intesa come bene accessibile da parte di ogni soggetto. Va inoltre promosso l’uso consapevole del web. In sostanza l’articolo fa riferimento all’alfabetizzazione digitale, mantra degli ultimi Governi. Di fatto però c’è ben poca attenzione verso l’educazione all’uso della rete rispetto, ad esempio, a quella manifestata per la crescita delle infrastrutture. Giusto digitalizzare la Pubblica Amministrazione, ma non serve a nulla se due terzi della popolazione non hanno un’adeguata istruzione per l’utilizzo di Internet.
L’art.4 afferma la neutralità della rete, intesa come diritto di non subire discriminazioni o interferenze in relazione al flusso di dati trasmessi e ricevuti. Sulla materia c’è un rilevante dibattito internazionale. La battaglia si combatte principalmente oltre oceano, tra il presidente Barack Obama, schierato a favore della neutralità, e i colossi delle telecomunicazioni, che invece sono favorevoli ad un Internet a più corsie. In ogni caso con tale dichiarazione di intenti l’Italia dimostra di essere formalmente a favore della neutralità della rete. Gli art.5, 6 e 7 disciplinano il trattamento dei dati personali su Internet. Ogni persona ha il diritto di accedere ad essi e ottenerne la rettifica e la cancellazione per motivi legittimi. E’ quantomeno complicato credere in questo principio alla luce di avvenimenti come il Datagate, espressione di una sistematica violazione della privacy su Internet da parte di soggetti pubblici e privati. L’articolo fa anche riferimento al consenso dell’interessato, che non può costituire una base legale per il trattamento dei dati se c’è un significativo squilibrio informativo tra le parti. Quasi scontato l’art.8, che nega la possibilità di trattamenti automatizzati. Si vuole garantire che i sistemi giuridici mantengano in capo alle persone umane le decisioni su provvedimenti giudiziari e amministrativi. In sostanza la disposizione assicura che strumenti tecnologici, come telecamere e software di riconoscimento, non assurgano all’efficacia di prove legali, ma rimangano liberamente valutabili nell’ambito di un procedimento giudiziario.
Gli art.9, 10 e 11 trattano argomenti scottanti come l’identità su Internet e il diritto all’oblio. Il problema, come noto, è il contemperamento del diritto alla riservatezza dell’individuo con quello dell’opinione pubblica all’informazione. Un’operazione che la Corte di Giustizia, in una discussa sentenza dell’anno scorso, ha ritenuto possibile attribuire a soggetti come Google, che non sembrano avere la competenza necessaria. Forse sarebbe stato meglio non inserire nella Carta una materia così incerta e controversa. In base all’art.12 i responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti degli utenti. Devono altresì garantire un’adeguata interoperabilità, nel rispetto del principio di concorrenza. L’art.13 ha ad oggetto la sicurezza della rete, la quale deve essere protetta sia a livello di infrastrutture che per quello che riguarda le libertà degli utenti. In questo caso è impossibile non essere d’accordo sul principio, ma va sottolineata una difficoltà tecnica nel fornire una rete più sicura. Le conseguenze di attacchi hacker si riverberano soprattutto tra i privati, meno propensi all’utilizzo di pratiche come il commercio elettronico. Per tacere di aggressioni a livelli più alti, che vengono effettuate spesso con la connivenza dei Governi. L’art.14 chiude la Carta, proponendo un modello di governance della Rete. Un efficace regolamentazione di Internet dovrebbe essere basata sull’integrazione tra autoregolamentazione, fonti nazionali e transnazionali. Di sicuro il web non è compatibile con discipline restrittive. Non a caso viene sottoposto a blocchi in paesi dichiaratamente o ufficiosamente avversi alla regole democratiche. E’ giusto che il fenomeno Internet venga disciplinato, ma non deve essere intaccato quel nucleo di libertà che lo contraddistingue dagli albori.

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