Carcere, giornalisti, politici e pm: il corto circuito

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La Corte Costituzionale con la recente decisione n. 150 del 12 luglio 2021 ha rilevato la conflittualità tra le norme in materia di sanzioni penali ai giornalisti e libertà di stampa.

Infatti, il rischio del carcere appare, anche alla luce dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e in linea con una costante giurisprudenza comunitaria, una pena tale da comprimere l’effettiva libertà del cronista di svolgere la propria professione. Al contempo la Corte pone il problema della tutela della dignità e della persona offesa, invitando il legislatore a individuare strumenti giuridici di dissuasione e di sanzione adeguati rispetto a gravi lesioni dei diritti individuali e collettivi. Un passaggio della Corte, in particolare, merita particolare attenzione: “Chi ponga in essere simili condotte (falsità degli addebiti) eserciti o meno la professione giornalistica crea un pericolo per la democrazia combattendo l’avversario mediante la menzogna, utilizzata per screditare la sua persona agli occhi della pubblica opinione. Con previsioni conseguenze anche rispetto agli esiti delle stesse libere competizioni elettorali”.

La decisione aveva ad oggetto una fattispecie specifica, ma il concetto sembra avere valenza generale.

E a pochi giorni dall’ennesima assoluzione di un amministratore pubblico eletto, Lombardo, le parole della Corte Costituzionale dovrebbero indurre la politica e l’intero dibattito pubblico circa la necessità di impedire che, ancora, in futuro, una Procura indirizzi il voto o addirittura ne sovverta gli esiti.

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