Incostituzionale il carcere per i giornalisti. Che però resta in piedi solo per casi eccezionali. Come sempre accade nel nostro Paese, la decisione non è arrivata certo dalla politica ma dalla magistratura. In questo caso, dalla Corte Costituzionale che ieri ha deliberato sulle eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici dei tribunali di Salerno e Bari sul tema, scottante, della diffamazione a mezzo stampa.
La sentenza, pronunciata nella giornata di ieri, sarà depositata nei prossimi giorni. Intanto è stata la stessa corte ad “anticiparne” i contenuti. In particolare, è stata sollevata l’incostituzionalità dell’articolo 13 della legge sulla stampa, la 47 del 1948, che “fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa”. Resta salvo, invece, il contenuto dell’articolo 595 del codice penale che disciplina proprio il reato di diffamazione a mezzo stampa. E ciò perché questa norma “consente al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità”.
I giudici, però, sanno che non possono fare tutto da soli. E che c’è bisogno della politica. Perciò la Corte Costituzionale è tornata a invocare “un complessivo intervento del legislatore”. Che sia in grando di “assicurare un più adeguato bilanciamento” tra i valori costituzionali e la reputazione individuale. Insomma, dai giudici un nuovo appello ai politici affinché decidano di muovere le acque. Già un anno fa la Corte, presieduta allora dall’attuale ministro Marta Cartabia, aveva ingiunto al parlamento di mettere mano alla questione. Invano.
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