E’ in atto nelle ultime ore una discussione sul vincolo di destinazione del nuovo canone Rai. Come ben noto l’odiata tassa sull’apparecchio televisivo sarà pagato con le bollette dell’energia elettrica. Il canone ammonterà a 100 euro. Con un emendamento alla legge di stabilità il Governo ha deciso di destinare il 33% delle eventuali maggiori entrate all’Erario. Quindi a beneficiare della tassa non sarà il servizio pubblico televisivo. Nello specifico i proventi saranno destinati all’emittenza locale e alla riduzione della pressione fiscale. La Commissione di Vigilanza Rai, presieduta dal pentastellato Roberto Fico, ha già manifestato il suo disaccordo. Le fa eco l’Usigrai, che lancia l’allarme per l’autonomia gestionale ed editoriale della Rai. Per il sindacato il finanziamento delle tv locali è giusto, ma deve essere fatto con un fondo apposito. Sembra paradossale, poi, che la sbandierata riduzione delle tasse avvenga in pratica con l’aumento delle stesse. In ogni caso anche la Corte Costituzionale ha più volte ribadito che il canone è un’imposta di scopo destinata al servizio radiotelevisivo pubblico, che dovrebbe incassarla interamente. In merito, poi, alle intrusioni del Governo nell’indipendenza della Rai, è d’uopo citare la riforma della governance del servizio pubblico, attualmente al vaglio del Senato. Il Consiglio dei Ministri avrà rilevanti poteri per le delibere degli indirizzi sul rinnovo del contratto nazionale. Via libera alla riduzione del Consiglio di amministrazione, portato da 9 a 7 membri. 2 saranno eletti dalla Camera, 2 dal Senato, 1 dai dipendenti dall’azienda, 1 amministratore delegato indicato dal Governo e un Presidente nominato dal Cda con il filtro della Commissione Vigilanza. Insomma, tutto pare tranne che una governance indipendente dal potere politico. L’amministratore delegato, che, giova ricordarlo, è nominato dal Governo, sostituisce la figura del direttore generale e acquisisce poteri più ampi. Nominerà direttamente direttori e dirigenti di seconda fascia con il parere non vincolante dal Cda. L’eccezione è rappresentata dalla nomina dei direttori di testata, per la quale non dovrà esserci l’opposizione di due terzi del consiglio. L’amministratore avrà massima autonomia sulla gestione economica, potendo firmare contratti fino a 10 milioni.
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