La pensa così anche il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che a Panorama dichiara: «Io sono contraria al carcere per i reati a mezzo stampa, mi sembra una pena ormai anacronistica. Ciò non toglie che la diffamazione vada punita. La libertà d’espressione è sacra, ma è sacro anche il diritto del cittadino alla sua onorabilità».
La discussione sulla diffamazione dovrebbe arrivare in aula alla Camera nell’ultima settimana di luglio, prima di trasferirsi al Senato, dove il presidente della commissione Giustizia Nitto Palma (Pdl) intende proseguire lungo la medesima rotta: «Trovo del tutto inadeguata» dice «la normativa che tuttora prevede l’arresto del direttore per omesso controllo. Chissà poi perché tale evento si sia verificato nella storia di questo Paese soltanto nei confronti di giornalisti e direttori dell’area di centrodestra: primaGiovannino Guareschi, poi Alessandro Sallusti, da ultimo Mulè».
Il carcere, secondo Nitto Palma, è una misura inadeguata anche al reato di diffamazione, «a condizione che vi sia un serio e rapido risarcimento dei danni arrecati, ivi compresa la dovuta evidenza delle rettifiche e delle sentenze che riconoscano l’avvenuta diffamazione».
Quanto ai tempi della riforma, il senatore del Pdl non è ottimista: «Mi auguro che sia approvata, però è evidente che il clima politico si stia riscaldando, cosa che non consente di fare previsioni sul futuro».
Il tintinnar di manette per i giornalisti italiani, intanto, richiama l’attenzione di Nils Muiznieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che dichiara a Panorama: «La semplice esistenza di leggi che prevedono il carcere per i giornalisti ha l’effetto di tradursi in forme di autocensura deleterie per il corretto funzionamento della democrazia. Mi auguro che l’Italia rimedi presto a questa lacuna, adeguandosi agli standard del Consiglio d’Europa, in base ai quali la prigione è una misura sproporzionata alla diffamazione, per cui sono sufficienti sanzioni civili».
Nel frattempo va avanti il procedimento disciplinare aperto dalla prima commissione del Csm nei confronti del procuratore di Palermo, Francesco Messineo, per il quale l’organo di autogoverno delle toghe ipotizza il trasferimento per incompatibilità ambientale. Le contestazioni da cui muove il procedimento disciplinare si basano sugli stessi fatti riportati nell’articolo di Panorama del dicembre 2009, che è costato la prima delle due condanne del settimanale: 1 anno di reclusione per i giornalisti Andrea Marcenaro e Riccardo Arena (nel primo caso, senza condizionale), e la primadelle due condanne a 8 mesi per omesso controllo al direttore Mulè. Vittorio Borraccetti, che in qualità di vicepresidente della prima commissione del Csm ha assistito l’11 luglio all’audizione di Messineo, sostiene che «il carcere per la diffamazione è una misura sproporzionata, cui dovrebbero essere preferite sanzioni di tipo pecuniario o interdittivo.
L’omesso controllo poi è un reato colposo, per il quale è assurdo finire in carcere». Quanto al trasferimento di Messineo, Borraccetti precisa che «il Csm non ha sollevato capi di incolpazione nei confronti del collega, ma gli ha contestato alcuni fatti precisi». Quegli stessi fatti, riportati da Panorama, sono costati una triplice condanna al carcere. «Credo» risponde Borraccetti «che il fatto stesso che sia stata avanzata una contestazione formale in seno al Csm non possa non avere una sua rilevanza nel processo ai giornalisti e al direttore di Panorama».
Sulla nuova condanna per omesso controllo di Mulè, arrivata il 9 luglio per una querela del pm romano Luca Tescaroli (l’autore dell’articolo, imputato di diffamazione, è stato condannato a 800 euro di multa), la presidente della Mondadori Marina Berlusconi non usa mezzi termini: «Ancora una volta si vogliono mettere le manette alla libertà d’informazione. E ancora una volta è un magistrato che si vede dare ragione da un altro magistrato. Ai sempre più gravi motivi di allarme e preoccupazione per lo stato della giustizia in questo Paese, si aggiunge l’ulteriore segnale rappresentato da questa sentenza».
Fa sentire la sua voce anche la Federazione nazionale della stampa, secondo cui «è inconcepibile che la legge consenta ancora la sanzione del carcere per casi simili, in pieno contrasto con tutta la giurisprudenza della Corte di giustizia europea per i diritti dell’uomo».
E da Bruxelles l’europarlamentare Licia Ronzulli (Pdl), che il 4 giugno ha presentato un’interrogazione sulla materia, commenta: «Pensare di mandare in galera un giornalista per ciò che scrive è intimidatorio, ma diventa addirittura aberrante pensare di punire egualmente un direttore, responsabile di aver garantito il diritto di espressione a un giornalista».
(panorama.it)
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