Prigioniero di Facebook, vittima dei social network, Michael Bloomberg, il sindaco della più grande città americana si arrende. Non è più possibile governare e programmare nell’assedio di questi referendum istantanei scatenati in Rete che contestano ogni decisione. “Sono soffocato dai social network che non mi lasciano lavorare” lamenta Bloomberg, divenuto l’apprendista stregone prigioniero delle scope elettroniche che lui stesso ha creato e ora gli si rivoltano contro.
Eppure Bloomberg che oggi fa la vittima, deve fortuna e potere all’elettronica, alle reti di computer, alla comunicazione istantanea delle informazioni finanziarie e dei listini di Borsa per gli operatori di Wall Street che creò 30 anni or sono, ma la sua stregoneria gli è sfuggita di mano. Facebook, Twitter, sms, “lanciano referendum istantanei su ogni decisione presa e annunciata” e riducono la complessità del governo di una metropoli al “semplicismo di reazioni immediate”, pro o contro, piace o non piace.
Era a Singapore, il pur popolarissimo sindaco, eletto e rieletto prima come repubblicano e poi come indipendente, quando ha proclamato la propria insofferenza, come ha scritto il New York Times, per i nuovi strumenti di socializzazione virtuale che diventano un’immensa piazza incontrollabile e rumorosa. “I social network sono creature dell’istante, ma governare una città come New York richiede programmazione a lungo termine, progetti decennali o ventennali che vengono bocciati fulmineamente dalla marea di “no” prodotta in Rete. Non è possibile progettare nulla se ogni progetto viene sottoposto a referendum istantanei”.
La frustrazione del primo cittadino chiamato a governare i 10 milioni di newyorkesi potrebbe essere entusiasticamente condivisa da personalità politiche attraverso tutto il mondo, che hanno visto il proprio destino politico e personale cambiato o deciso proprio dalla mobilitazione attraverso le nuove tecnologie della comunicazione interpersonale. Fu un ex presidente delle Filippine, Joseph Estrada, sotto processo di “impeachment” per corruzione ad avvertire per primo il morso degli sms. Quando a Manila si sparse la voce che il parlamento lo avrebbe salvato, bastò un messaggino, “Go to EDSA, wear black”, andate nella piazza Epifanio Dos Santos, indossate nero” per portare oltre un milione di persone in strada. Lui stesso, deposto, accusò la “generazione text” di averlo rovesciato. Dall’Ucraina alla Primavera Araba, dai primi tentativi di ribellione al regime in Iran alla quotidiana battaglia della dittatura cinese contro blogger e Reti, oggi nessun amministratore, nessun politico può permettersi di non fare i conti con la ragnatela che Internet gli tesse attorno.
Nella pur disciplinatissima Singapore, il presidente e il governo hanno entusiasticamente condiviso la denuncia di Bloomberg, che era nella città asiatica per ricevere un premio come amministratore di New York. “Anche noi – gli hanno fatto eco – non possiamo fare nulla senza essere sottoposti immediatamente a valanghe di dissensi sui blog, sui forum, sui social network”. A poco servono i tentativi di cavalcare l’onda e cercare di placarla aprendo pagine di Facebook pilotate nelle quali l’amministratore o il politico – come ha fatto Bloomberg – tentano di spiegare, calmare, anticipare. Non esiste più personalità di qualche rilievo, dal presidente Obama ai sindaci, che non partecipi alla vita della Rete. Ma sono spesso soltanto visibili strumenti di vecchia propaganda diffusa attraverso media nuovi. Quello che in realtà Bloomberg lamenta, e che le ricerche come l’esperienza diretta dei social network dimostrano, non è l’incubo del referendum istantaneo su qualsiasi provvedimento amministrativo. È la prevalenza del negativo, la implicita superiorità dell’opposizione che la natura stessa di questi nuovi mezzi stimola ed esalta.
L’effetto “sfogatoio” di frustrazioni, rabbie, delusioni, polemiche tende a superare facilmente i messaggi di consenso e di approvazione e crea, nei politici, la sensazione di essere apprendisti stregoni circondati da una inarrestabile danza di scope impazzite e minacciose. “E’ molto più facile scrivere per protestare piuttosto che per approvare”, ha scritto il sito specializzato Media Newswire Online. Le lamentele di Bloomberg suonano molto poco sincere, ma la questione che lui sottolinea rimane: la delega del potere a persone democraticamente elette per governare in anni, può coesistere con lo scrutinio minuto per minuto delle loro scelte? New York sta studiando la possibilità di costruire, finalmente, un nuovo, necessario tunnel sotto le acque del fiume Hudson, che richiederà almeno 10 anni, e la risposta del social network è stata massicciamente negativa. Fortunatamente per lui, fra dieci anni Michael non sarà più sindaco e altri dovranno danzare con le scope.
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