BILANCIO AGCOM: RAI VITTIMA DELLA POLITICA, ITALIA TELEDIPENTE, PLURALISMO INSUFFICIENTE

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Il servizio pubblico va riformato. Il duopolio Rai – Mediaset resiste nonostante l’ascesa di Sky. La concentrazione delle risorse impedisce un sano pluralismo. Lo ha affermato Corrado Calabrò nella relazione di fine mandato dell’Agcom, di cui è il presidente.
«Solo i morti hanno visto la fine del dibattito sulla Rai». Lo ha affermato Calabrò riferendosi alla tv pubblica. Il presidente afferma che la sua Autorità ha più volte tentato di promuovere una riforma della Rai «che la svincolasse dalla somatizzata influenza politica e ne reimpostasse l’organizzazione con una governance efficiente, una migliore utilizzazione delle risorse e la valorizzazione del servizio pubblico». Calabrò avrebbe proposto soluzioni ogni anno. «Si trattava di proposte misurate e praticabili», ma sono rimasti solo buoni propositi.
Per Calabrò è necessaria una «governance efficiente, una migliore utilizzazione delle risorse e la valorizzazione del servizio pubblico». Questo lo si sa già. Il problema è convincere i partiti a “sloggiare” da Viale Mazzini. Più facile a dirsi a che a farsi. Ne è la prova Monti. Il premier è stato capace di iniziative a dir poco impopolari, ma non è riuscito, fino ad ora, a ristrutturare la tv di Stato. Si spera che lo farà nelle prossime ore.
Nella relazione dell’Autorità non manca una panoramica generale sulla televisione. «Malgrado il dilagante successo di Internet [come ci rivelano i dati Audiweb, gli utenti web aumentano di anno in anno] l’Italia è tutt’ora un Paese teledipendente». Dai dati si evidenza che il duopolio Rai Mediaset sta subendo l’avvento di Sky. L’emittente di Murdoch guadagna costantemente fette di pubblico e quindi di risorse. «Permane fondamentalmente la tripartizione tra Rai, Mediaset e Sky Italia; tripartizione che dal 2009 ha soppiantato il duopolio Rai – Mediaset». Dunque il servizio pubblico, il Biscione e l’emittente di Murdoch «occupano posizioni comparabili in termini di ricavi complessivi». Questo significa che le tre emittenti hanno a disposizione le stesse risorse. Anzi, con i problemi economici che stanno affliggendo Viale Mazzini e Cologno Monzese, non c’è da stupirsi se Sky avesse un portafoglio più ricco.
Tuttavia le sei reti generaliste del “vecchio” duopolio conquistano, in totale, il 67% dello share medio giornaliero. L’emittente di Murdoch deve accontentarsi del 5%, appena sopra a La7 che ha il 4%.
Dunque, nonostante l’avvento del digitale e i problemi economici e gestionali, il popolo italiano sembra non poter fare a meno di Rai e Mediaset.
C’è da stupirsi? Non tanto. Bisogna considerare che la piattaforma satellitare di Sky è a pagamento. Per vedere qualche film inedito o assistere ad una partita importate bisogna pagare un “abbonamento elettronico”. La buona vecchia tv generalista non sarà perfetta, ma almeno è gratis.
Tuttavia questa concentrazione non favorisce il pluralismo dell’informazione e delle idee. L’avvento del digitale doveva servire proprio per incentivare l’ingresso di nuove emittenti. Vedremo tra qualche mese, con la nuova asta per le frequenze, se sarà rispettato tale proposito.
La relazione di Calabrò si sofferma anche sul rapporto tra informazione e tv: «l’informazione più influente è ancora quella fornita dalla televisione. Le nuove forme della democrazia corrono sulla rete ma la politica visibile in Italia si fa pur sempre in televisione». Tale medium, secondo Calabrò «resta fondamentalmente una finestra sul cortile di casa nostra, una grande tv locale, con un esagerato interesse per i fatti di cronaca nera e con la tendenza a trasformare i processi giudiziari in processi mediatici». Non possiamo dargli torto.

Sempre restando sull’asse informazione – televisione bisogna sottolineare una “drammatica” anomalia tutta italiana. I dati del rapporto della Fieg sul biennio 2009-2011 rivelano che la sola Mediaset possiede più pubblicità dell’intero mondo della carta stampata. Per essere più precisi la tv del Biscione, da sola, nel biennio ha incassato 2,686 miliardi di euro di pubblicità contro 1,953 di quotidiani, settimanali e periodici messi insieme. Un dato emblematico, che fa riflettere. Soprattutto se si considera che tra il 2009 e il 2011, Silvio Berlusconi, il proprietario di Mediaset, era anche il presidente del Consiglio. Il raggrumarsi di tante risorse nelle mani di una sola società significa che le altre realtà rischiano di ritrovarsi senza uno “straccio” di inserzione pubblicitaria, con buona pace del pluralismo.
L’Agcom non è riuscita a far vale il divieto di posizione dominate che, benché previsto dalla stessa legge Gasparri, è rimasto “lettera morta”. Ecco un buon proposito per i nuovi dirigenti dell’Autorità.
Egidio Negri

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