Maria Bertone, direttore di Cronache di Napoli e Caserta, ha subito minacce dalla criminalità organizzata. Ma non molla, né lei né i giornalisti di una testata da sempre in prima linea nel raccontare un territorio complesso, difficile eppure affascinante. Una brutta storia, una lettera che promette piombo. Come in un vecchio film. Eppure sono cose che ancora accadono e su cui bisogna assolutamente puntare i fari, tenere alta l’attenzione. Oltre la facile retorica. Dopo la solidarietà, un’autentica ondata di attestati di vicinanza e stima al direttore e al suo giornale, ci vogliono i fatti.
Direttore, come sta?
“Oggi sto bene. Dico oggi, perché ho ricevuto quella lettera a fine agosto. Ne ho dato notizia solo adesso, con la fissazione dell’udienza preliminare. Abbiamo voluto rispettare il lavoro delle forze dell’ordine, abbiamo atteso che che la magistratura facesse il suo corso. Nel frattempo ho imparato a convivere con questa cosa che mi era, e ci era accaduta come giornale. Ci sono riuscita soprattutto grazie alle quelle forme di tutela messa in campo, che ho potuto toccare con me”.
Cosa è accaduto ad agosto?
“Appena mi è arrivata la lettera, ho tentato di mettermi subito in contatto con la Procura della Repubblica per sapere come muovermi. L’autore di quelle minacce è un personaggio legato alla criminalità organizzata, alla camorra casertana. Ho quindi immediatamente denunciato l’accaduto ai carabinieri di Marcianise. Che hanno avvisato dell’accaduto i colleghi del Norm che, a loro volta, hanno ragguagliato la prefettura sui fatti. Il prefetto ha riunito il comitato di vigilanza sull’ordine pubblico e mi è stata assegnata la vigilanza saltuaria. In pratica un’auto delle forze dell’ordine passa con regolarità nei pressi della mia abitazione e del mio posto di lavoro”.
Possibile che un giornalista sia costretto a ciò? Ancora oggi? Come mai accadono certe cose?
“Caserta non fa eccezione a una semplice regola: più la realtà è piccola, più ciò che scrivi fa rumore. Il giornale locale, sul territorio, ha risonanza maggiore rispetto alle testate nazionali. E poi ai violenti non piace quando non gli lisci il pelo. Né io né i miei colleghi siamo abituati a fare ciò. Riteniamo che il giornalismo sia, come si diceva una volta, il cane da guardia della democrazia. Anche, o forse soprattutto nell’ambito locale. Ma non è tutto. Perché il problema vero è a monte. Certe cose accadono perché intanto si sta imponendo nel linguaggio e nel vivere comune una vera e propria cultura della violenza”.
Cioé?
“Certe cose accadono perché c’è chi pretende di affermare la legge del prepotente a onta del diritto. Questa persona decide di inviarmi minacce perché non gli ho pubblicato una lettera precedente. Mi dice: tu sei obbligata a pubblicarmi oppure ti sparo dieci colpi in bocca. Una violenza eccessiva, in tutto. Il dramma vero è che questa anti cultura sta diventando dominante. É ovunque”.
In che senso?
“L’escalation della cultura della prepotenza non la notiamo solo nel camorrista ma nei “tik tok” degli adolescenti. Ci stiamo avviando a costruire una società troppo violenta, senza nessun rispetto né per la legge né, soprattutto, per gli altri e per le comunità. E questa anti cultura parte dal linguaggio. Un lessico violento che si ascolta in certa musica e trova la sua sublimazione in alcune serie tv. Certo, c’è la libertà d’espressione e ci mancherebbe altro. Però occorrerebbe rendersi conto di quali conseguenze, gravi, avremo grazie a certi comportamenti e certa spettacolarizzazione di violenza e malavita che appare tra televisione e internet”.
Ha ricevuto tanta solidarietà, dalle istituzioni alla politica.
“Non me lo sarei mai aspettata. Oltre a comunicati ufficiali ho ricevuto tante telefonate di vicinanza e di solidarietà. Anche sui social, ricevo tantissimi attestati di stima. Tra tutte le voci che ho sentito, quella di don Luigi Ciotti mi ha dato tanta forza. È stata una delle telefonate che aver ricevuto mi ha fatto più piacere. Sappiamo tutti chi è don Ciotti e cosa fa, ogni giorno, con Libera. Lui mi ha rivolto parole affettuose, mi ha invitato ad appoggiarmi a loro per ogni cosa. E ancora più piacere mi ha fatto la vicinanza da parte di tante persone sconosciute, che mi hanno fermato per strada o mi hanno fatto una richiesta di amicizia sui social solo per esprimere a me e a tutti i colleghi di Cronache il loro affetto e la loro solidarietà”.
C’è stato qualcuno che non si è fatto sentire?
“Purtroppo non ho avuto nessun segnale da quelli che un gigante come Leonardo Sciascia chiamava i professionisti dell’Antimafia”.
Minacce, crisi, polemiche, cavalcatori di demagogie, profeti di sventura che già da decenni hanno suonato la campana a morto per i quotidiani. Ma chi ve lo fa fare?
“E avrebbero quasi ragione. Impieghi venti-trenta persone per due quotidiani che a mezzogiorno del giorno dopo sono già nella spazzatura mentre intorno a noi i giornali chiudono e sembra che il futuro appartenga solo ai grandi gruppi editoriali. Chi te lo fa fare, appunto ce lo chiediamo ogni giorno. Ma la risposta l’abbiamo trovata. Ti spinge quella convinzione che, nonostante le difficoltà e la mancanza di un aiuto, in ogni caso stai facendo un servizio pubblico. Anche se tutto fosse servito solo a far riparare una buca davanti casa della signora Mariuccia. Basterebbe a dare il senso di un impegno che ogni giorno ci fa andare avanti. E che continueremo a onorare sempre”.
(giovanni vasso)
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