Così afferma il omunicato del 21 dicembre del Cdr del Corriere della Sera:
“L’aumento del prezzo è una mossa dissennata e profondamente miope: a questo punto possiamo solo contare sulla comprensione e l’attaccamento dei lettori del Corriere.
I ricavi dovrebbero aumentare offrendo un Corriere sempre più innovativo e completo. Ma per fare questo occorrerebbe un altro passo. «Tutti i nostri concorrenti sono certamente più veloci di noi», ha detto Jovane nel suo messaggio natalizio. Ed è una frase che ci sentiamo di condividere. Tutti dobbiamo accelerare, lo chiediamo anche alla direzione editoriale. Dopodiché l’amministratore delegato ha addossato le responsabilità del ritardo a un’entità quasi metafisica, evocando strutture interne troppo burocratiche. No, cari lettori, non ci siamo. Vogliamo davvero mettere in fila «le responsabilità»?
Ecco:
1) Fino al 2007 Rcs Mediagroup era un’azienda florida. Poi gli azionisti, che sono più o meno quelli di oggi, e il management, guidato dall’amministratore delegato Antonello Perricone, si imbarcarono nell’acquisto della spagnola Recoletos, che portò l’indebitamento a un miliardo di euro. Decisione sciagurata, su cui sta indagando la Procura di Milano, in seguito a un esposto presentato dall’Ordine dei giornalisti sulla base dei comunicati pubblicati da questo Comitato di redazione.
2) Quest’anno il debito è stato abbattuto grazie a un aumento di capitale di 400 milioni. Ci sarebbe la possibilità di attivarne un’altra tranche per 200 milioni, ma l’amministratore delegato non lo fa. Perché? Forse, ipotizziamo, perché la Fiat dovrebbe coprire la maggior parte delle risorse con il rischio di essere poi obbligata per legge a lanciare un’offerta pubblica di acquisto su tutte le azioni. Per oltre 15 anni la Fiat e gli altri azionisti hanno staccato dividendi per centinaia di milioni. Oggi, semplicemente, chiedono di spremere il Corriere pur di mantenerne il controllo.
3) Le principali banche creditrici, IntesaSanPaolo (che è anche azionista), Unicredit e Ubi hanno accettato di rifinanziare il debito in cambio di condizioni capestro. Una su tutte: obbligo di vendere cespiti patrimoniali per restituire 250 milioni di euro entro il 2014.
4) Il direttore finanziario ha dichiarato in questi giorni che il gruppo non ha chiesto la rinegoziazione del debito. Peccato, perché è quello che andrebbe fatto con urgenza.
5) L’amministratore delegato, pur di non disturbare i padroni-azionisti e le banche, ha cominciato a menare fendenti al Corriere e al resto del gruppo. Aumenti di prezzo, svendita del palazzo, tagli di testate. Di questo passo finirà con il segare il ramo su cui è seduto non solo lui, ma centinaia di dipendenti. Questo ramo si chiama Corriere della Sera , un giornale che continua a guadagnare decine di milioni di euro, grazie alla fedeltà dei lettori e al lavoro di giornalisti e poligrafici”.
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