Innovazione e sperimentazione, soprattutto nei canali digitali. Sono queste le parole d’ordine per le aziende che investono in pubblicità, sempre meno affezionate agli strumenti di comunicazione classici – tv, stampa e affissioni – e maggiormente disposte a spendere sul digitale. Lo scenario, come emerge dallo studio Comunicare Domani condotto annualmente da AssoComunicazione (che riunisce 133 imprese di comunicazione in Italia) e presentato venerdì 29 giugno a Milano, prevede di chiudere il 2012 con una contrazione della raccolta pubblicitaria del 7% (per un valore di 8.650 milioni di euro, la cifra più bassa dell’ultimo decennio), con l’unica eccezione del digitale, che cresce di ben il 12,7%.
Il mercato degli investimenti pubblicitari sta dunque vivendo una profonda trasformazione: ridimensionamento a causa del persistere della crisi economica, ma anche ridistribuzione dei pesi dei vari strumenti. La televisione resta ancora il mezzo preferito, raccogliendo il 51% degli investimenti (-1% rispetto al 2011); seconda è ancora la stampa, con il 22% della raccolta, e al terzo posto per quota di mercato si posiziona ormai il digitale, con il 15% (la radio è al 5,9%, le affissioni al 5,5%).
Unico protagonista della crescita è dunque il comparto dei mezzi digitali, dove le aziende investiranno nel 2012 1.309 milioni di euro, distribuiti tra search advertising (681 milioni, +13%) e web display e email advertising (545 milioni, +13%). Un fenomeno destinato a consolidarsi è poi la preferenza per il video advertising sul web, che nel 2012 registrerà una crescita esponenziale del 93% (pur restando in termini assoluti ancora su cifre limitate, 88 milioni di euro di raccolta), a conferma che il prodotto audiovisivo, già protagonista per anni nella pubblicità televisiva, sta dilagando anche sul web.
In ambito televisivo, dove la raccolta è di 4.411 milioni di euro (-8,6%), soffrono le tv generaliste (Rai -10,9% e Mediaset -9,6%) e quelle locali (-51%), mentre riescono ad affermarsi le tv digitali, satellitari e tematiche. La radio riesce a mantenere le posizioni riguadagnate nell’ultimo biennio (dopo la crisi del 2008-2009) chiudendo a -3%, mentre la stampa continua a perdere quote di mercato con -11,% nei quotidiani, -43% per la free press nazionale, -12,6% per i periodici.
“Il calo complessivo del mercato è legato non più solo ai minori investimenti dei big spender (telecomunicazioni e auto) registrati negli ultimi anni, ma anche a una disaffezione della piccola e media impresa, che incide soprattutto su tv, radio e giornali locali” ha fatto notare Roberto Binaghi, responsabile del Centro Studi AssoComunicazione. “Per il futuro intravvediamo però una chiara indicazione: il mercato vuole sperimentare, premia l’innovazione e si orienta sempre di più verso il digitale, un cambiamento di cui gli operatori devono tenere conto”.
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