Il nome è già pronto: in Francia la chiamano Google tax e vale almeno un miliardo. Tanto rischia di dover spendere il colosso della ricerca su Internet se non arriverà, entro Natale, ad un accordo con gli editori d’Oltralpe. La partita sul riconoscimento di un valore equo per l’utilizzo dei contenuti che Google prende sul Web e indirizza attraverso il suo motore di ricerca, sta dunque per entrare in una fase decisiva. La Francia l’ha sposata al massimo livello quando, a fine ottobre, il presidente François Hollande ha incontrato il numero uno di Google Europe Eric Schmidt e lo ha messo con fermezza di fronte al suo aut aut: o si arriva ad un accordo o Parigi varerà una nuova legge sul diritto d’autore.
E per rendere più efficace il messaggio, l’Agenzia francese delle imposte avrebbe rivendicato un arretrato di 1 miliardo (1,7 secondo il Canard enchainé) in quattro anni.
Ma il pressing su sul colosso di Mountain View non è solo francese. Italia e Germania si sono mosse in sintonia, il Regno unito sta valutando le sue mosse e persino l’Australia ha presentato il suo conto.
La controversia nasce dalla differenza tra gli enormi guadagni della multinazionale del Web e le bassissime tasse che paga nei paesi dove opera, al di fuori dagli Usa. Un flusso di denaro che non sfiora nemmeno da lontano i produttori dei contenuti informativi cui attinge gratis Google News e lascia altrettanto a secco i proprietari delle reti su cui viaggia Internet, che invece investono cifre rilevanti proprio per rendere più veloce l’accesso al Web e quindi la profittabilità, del sistema.
L’intreccio di questi tre fattori – tasse, proprietà intellettuale, contributo agli investimenti infrastrutturali – è al centro del braccio di ferro. Che non riguarda solo Google ma anche gli altri colossi che costruiscono i propri servizi over the top, cioè al di sopra della rete: Amazon e Apple in primis.