Con Arturo Diaconale se ne va un modo di fare una figura davvero singolare di giornalista ed editore. Per la forma e per la sostanza. Arturo Diaconale era un uomo colto, attento alle relazioni, istituzionale nei modi; un giornalista preciso, puntuale nell’analisi, deciso nei giudizi. Ma scomodo, scomodissimo come editore.
Io l’ho conosciuto in questa veste quando circa 25 anni fa si fece affiancare nel folle progetto editoriale dell’Opinione da Gaspare Rosselli, un ingegnere nucleare siciliano di fede socialista. L’ingegnere provava a far quadrare i conti, che non quadravano, mentre Arturo aveva un unico obiettivo: diffondere il giornale con le sue opinioni di libertà. I conti del giornale di allora erano tenuti insieme con la finanza creativa di tante piccole imprese per cui l’importante è continuare ad esistere. Per l’editoria, strutturalmente debolissima, quella di continuare a dare voce.
I rischi di queste iniziative non li assumevano Invitalia, Sace o una delle pletore di soggetti che tanto piacciono agli imprenditori di successo con i soldi degli altri. I conti dell’Opinione venivano ricuciti con le garanzie personali degli editori, se la difesa della libertà ha un rischio, per gli editori di piccoli giornali, come Diaconale questo rischio è altissimo e viene assunto in prima persona.
Ma così facendo Arturo è riuscito nell’impresa più incredibile: dopo una lunga, folle, cavalcata editoriale, durata circa venticinque anni, passando per Governi per lui osticissimi, basti pensare per un garantista vedere uno come Bonafede Ministro della Giustizia, il giornale esiste e resiste, garantendo pluralismo e diversità culturale. L’Opinione rimane il simbolo della libertà che un singolare giornalista aveva pensato a tutela di un Paese che usciva allora dalla dittatura dei magistrati.
Arturo ha lasciato un’eredità pesante che va tutelata: e deve essere un impegno collettivo a chi non si arrende alla deriva giustizialista di questo Paese.
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