Si terrà domani il Cda di Telecom, nel quale il presidente Franco Bernabè darà le sue dimissioni. La ragione è la spaccatura che si sarebbe verificata a seguito di una richiesta di aumento di capitale. Bernabè avrebbe dalla sua parte i cinque amministratori indipendenti e l’ad Marco Patuano, ma l’opposizione dei sette consiglieri Telco darebbe vita ad una situazione di stallo. Un aumento di capitale, si parla di 3 miliardi di euro, darebbe maggiore solidità finanziaria all’azienda. Ma Telefonica punta più alla vendita degli asset sudamericani per arginare il dissesto. Tim Brazil e Telecom Argentina sono un ostacolo per la società spagnola, che ha già i suoi interessi nei due paesi e rischierebbe sanzioni da parte degli Antitrust locali. Le partecipate, specialmente Tim Brasil, sono importantissime per il fatturato di Telecom. Una loro cessione getterebbe molte ombre sul prossimo piano industriale e, quindi, sulla paventata operazione di scorporo della rete. Telefonica non è interessata al futuro della rete italiana, lo dicono i piccoli azionisti di Telecom (Asati) ed è un po’ l’opinione generale nel settore. A questo punto si attende la discesa in campo del Governo con il cosiddetto golden power. La legge 56/2012 autorizza l’Esecutivo a interrogare Telco sulle attività contenute nel piano industriale e a chiedere delle modifiche allo stesso nel caso in cui non fossero tutelati gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti. Il problema è che questa legge non è ancora stata pubblicata e, per questo motivo, non è ancora operativa. Insomma, la politica ha tergiversato sul tema della comunicazione e adesso ne paga le conseguenze. Si continua a parlare di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti, ma le modalità sono tutt’altro che chiare. Ci sarebbe l’intenzione di utilizzare il Fondo Strategico, con il quale la Cdp ha già effettuato notevoli investimenti in Metroweb. Ma la partecipazione nella rete sarebbe probabilmente di minoranza. Telefonica difficilmente accetterebbe di privarsi della maggioranza per motivi di bilancio.