In manette il fondatore di Telegram Pavel Durov. L’imprenditore e informatico, cittadino franco-russo, è stato arrestato a Parigi. Le accuse a suo carico sono gravi. Telegram, dicono gli inquirenti, è un’autentica babele del malaffare, dove si spaccia e si compie ogni genere di misfatto (tra cui la proliferazione del falso che azzanna l’editoria italiana, aggiungiamo noi). E nonostante le richieste giunte dalle autorità, mai Telegram avrebbe fatto un solo passo avanti per tentare di fare qualcosa e ostacolare i criminali. Il caso, però, più che giudiziario è diventato subito politico. S’è iniziato a parlare di un’ipotetica scelta da parte di Durov, che sarebbe ai ferri corti con Putin, di consegnarsi alla Francia. Se n’è detta di ogni. Al punto che è dovuto intervenire il presidente francese Emmanuel Macron per riaffermare che “L’arresto del presidente di Telegram in territorio francese è avvenuto nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria in corso. Questa non è in alcun modo una decisione politica. In uno Stato di diritto, sui social network come nella vita reale, le libertà si esercitano in un quadro stabilito dalla legge per proteggere i cittadini e rispettare i loro diritti fondamentali. Spetta al sistema giudiziario, in totale indipendenza, far rispettare la legge”. Macron è arrabbiato (anche) perché a difesa di Durov è intervenuto Elon Musk: “E’ il 2023 e in Europa si viene giustiziati per il like a un meme”, scrive Elon senza sapere, evidentemente, che in passato è accaduto anche di peggio. L’attacco è diretto alla Francia che, della rivoluzione francese, per Musk, ha conservato solo la ghigliottina: “Liberté. Liberté! Liberté?”. È sicuro che il prossimo sarà lui: “100%”, dice a chi lo avvisa in tal senso. Infine la coltellata all’eterno rivale Mark Zuckerberg accusato di aver ceduto alla censura: “Ha già ceduto alle pressioni della censura. Instagram ha un problema enorme di sfruttamento dei minori, ma nessun arresto per Zuck, che censura libertà di parola e dà ai governi accesso ai dati degli utenti”.
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