Da dicembre, quando Mauricio Macri ha assunto la presidenza della repubblica, in Argentina è cominciata una vera e propria escalation di provvedimenti che poco hanno a che fare con la democrazia. La protesta è culminata, il 6 giugno, con una marcia di giornalisti, operatori dell’informazione e cittadini per la difesa dell’occupazione e soprattutto per la libertà d’espressione. Tutti insieme sotto l’Obelisco, nel cuore di Buenos Aires, e poi davanti al Ministero del Lavoro, ad un passo dal palazzo del Governo. “E’ una convocazione unitaria di carattere storico – commenta un cronista locale – da anni non se ne vedevano del genere. Le scelte di Macri e del suo esecutivo stanno massacrando il Paese ma sono riuscite a far trovare un terreno comune di lotta ai lavoratori. E i giornalisti, già pesantemente colpiti in questi mesi, sono in prima linea”.
Ecco gli obiettivi della lotta, sintetizzati da un comunicato diffuso dal “Coletivo de Trabalho de Imprensa”. “Contro le dimissioni forzate di molti giornalisti, la chiusura di giornali, il lavoro precario, l’attacco ai salari, la censura, per la difesa della libertà d’espressione”. Nel comunicato, poi, viene sottolineato come da dicembre, appena Macri è diventato capo dello Stato, oltre mille giornalisti hanno perso il posto di lavoro nella sola capitale, con una media da brividi: sei al giorno. Secondo le drammatiche cifre raccolte dalla “Federacao Argentina de Trabalhadores de Imprensa”, oltre 2.500 giornalisti sono stati licenziati in tutto il Paese. E viene citato un caso clamoroso, quello di Victor Hugo Morales, redattore da anni in una importante radio che aveva rivolto alcune critiche a Macri & C.: bene, pochi secondi prima di cominciare il suo programma, è stato licenziato “in diretta”.
Stessa sorte, più o meno, ad un altro volto tivvù, Roberto Navarro, autore di “Economia Politica” per la televisione C5N. Aveva annunciato una trasmissione sui rapporti economici e societari tra il presidente Macri, di origini italiane (calabresi, in particolare) e un grosso imprenditore, Nicolas Caputo (altro cognome di evidente marca italiana, con ogni probabilità casertana, stavolta): non ha fatto in tempo a portarlo in video perché il programma è stato sospeso “su pressione del governo”.
Così poi ha commentato Navarro, ora senza più spazio televisivo (come il collega Morales privo del suo via radio): “Nel nostro Paese non si può informare sulle attività del presidente e i suoi rapporti con il socio” e aggiunge: “come ha detto Papa Francesco, da quanto è iniziata l’era di Macri viviamo in un clima di revanchismo come non si vedeva dal 1955”. Ancora: “circa le strategie utilizzate dal governo per soffocare le voci libere, non arrivo a dire, come si ascoltava fino a qualche giorno fa, che siamo sotto una dittatura. Ma è chiaro che le possibilità di informare sulle attività del Governo sono sempre più ristrette. E la situazione peggiora giorno dopo giorno”.
Anche dal premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel arrivano forti segnali d’allarme. Denuncia, in particolare, la fresca chiusura di “Telesur”, uno dei canali più seguiti in Argentina, capace di dar voce alle istanze dei cittadini. “Un canale all news alternativo – descrivono alcuni cronisti di Buenos Aires – e diffuso in modo capillare sul territorio, voluto con forza da Ugo Chavez, a suo tempo, per il suo Venezuela per poi man mano espandersi e contrastare il cosiddetto ‘latifondo informativo’ radicato in America Latina”. Una risposta “politica”, dunque, del presidente Macri e dei suoi lacchè ai “pericoli” di “infezione socialista” che potevano arrivare da un’informazione libera, per di più di stampo in qualche modo “guevarista”.
La responsabilità, comunque, è stata addebitata al sempre potente gruppo editoriale Clarin: la sua piattaforma televisiva “Cablevisiòn”, infatti, ha fatto registrate un sensibile cambio, dopo le ultime presidenziali, e ha previsto nel nuovo palinsesto la presenza di un altro canale, “America HD”, in sostituzione di Telesur, cui venivano attribuiti scarsi ascolti. “La vera causa – precisano alcuni free lance di Buenos Aires – era dovuta invece alla linea pro Kirchner tenuta dall’emittente, e quindi non in linea con il nuovo corso di Macri e del suo governo. In questo modo i cittadini sono stati letteralmente scippati di un canale che faceva informazione 24 ore su 24 24. Merce rara”.
Non basta. Perché alla chiusura di Telesur, decretata il 4 marzo scorso, appena qualche giorno dopo ne ha fatto seguito un’altra, non meno significativa: quella del canale satellitare RT, da “oscurare entro 60 giorni”, come hanno previsto le decisioniste neo autorità argentine. Si tratta di una emittente russa in vita da due anni, quando nel 2014 Vladimir Putin e il precedente presidente, Cristina Kirchner, firmarono uno storico accordo per dar vita al canale informativo, in grado di raggiungere l’80 per cento della popolazione, e cioè la bellezza di 34 milioni di cittadini.
Difficile, stavolta, motivare la chiusura con gli scarsi “indici di ascolto” e il “limitato bacino d’utenza”. Detto fatto, anche RT ha dovuto chiudere battenti: non poteva rimanere aperta una televisione voluta dal precedente capo dello Stato e vicina ai nemici (i russi) dei nuovi amici (gli americani): per la serie, guerre fredde giocate nella calda America Latina.
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