In base ad uno studio di O’Reilly Media elaborato da due ricercatori, Alasdair Allan e Pete Warden, attraverso un file di archiviazione non protetto localizzato sugli iPhone ed iPad della Apple è possibile sincronizzare e tenere traccia degli spostamenti di ogni singolo utente. L’applicazione riguarda il sistema operativo a partire dalla versione 4 dell’iOs dei suddetti dispositivi della versione 3G e risulta persino resistente alla formattazione. Sempre secondo la ricerca la Apple raccoglierebbe volontariamente tutte le informazioni dedotte dal sistema di geolocalizzazione addirittura ripristinandole ad ogni successivo backup. Gli altri comuni cellulari Gps non sembrano essere forniti di un software simile, dato che le reti di telefonia mobile registrano solo le celle di aggancio degli apparecchi, mentre per legge tutti i dati di identificazione geografica relativi all’utente sono riservati solo alla polizia e alle altre autorità competenti.
L’eco sulle possibili ripercussioni in termini di violazione della privacy si è diramata già per tutto il web coinvolgendo blog specializzati e siti online di settore, anche se non tutti sembrano essere d’accordo. Come Alex Levinson, un terzo ricercatore esperto di gestione dati forense, il quale è dell’avviso che la società di Cupertino, nella realtà dei fatti, non allestisca un archivio di tali informazioni ed il file incriminato (che si chiama consolidated.db), a quanto pare, non sarebbe neppure una novità per il sistema operativo iOS, tanto da averci dedicato un intero libro scritto a quattro mani con un altro esperto di sistemi operativi iOs. “Il file esisteva già, anche se non in questa forma, e nelle ultime versioni del sistema operativo ne è stata modificata la posizione. Si tratta di un semplice “log”, un elenco di dati che servono all’iPhone per funzionare come gli si richiede, nulla di più.” La Apple è stata però costretta a spostare tale file che non solo non è segreto, ribadisce Levinson, “ma soprattutto ogni utente deve preventivamente approvare l’accesso di un’applicazione alla sua posizione geografica, un consenso che può essere interrotto in qualsiasi momento dal pannello di controllo del dispositivo”. Ad ogni modo le informazioni rimarrebbero sul dispositivo e non verrebbero mai trasmesse ad un server remoto. La fattispecie di reato configurato da una violazione della privacy, si verificherebbe (secondo la Legge della California) al momento della cessione dei dati sensibili a terzi verso un ricevente “remoto”. Soltanto la raccolta in remoto e l’invio, senza consenso, delle informazioni di localizzazione geografica attraverso la Rete costituirebbe dunque un atto contrario alla legge. Eppure in Italia l’Adoc ha già fatto dichiarazioni ufficiali, chiedendo l’immediato intervento del Garante della Privacy ed invitando la Apple a “chiarire le motivazioni e l’utilizzo dei dati raccolti”, dicendosi, nella persona del suo presidente, Carlo Pileri, sconcertata per il fatto che una simile violazione sia operata senza l’intermediazione di sistemi di sicurezza adeguati.
Manuela Avino
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