Il presidente della Fieg ha dichiarato ieri che i giornali di partito non hanno diritto ai contributi pubblici. Si tratta di affermazioni gravi, tanto più se pronunciate da chi, come Giulio Anselmi, ricopre un delicatissimo ruolo a tutela degli editori associati.
Dire semplicisticamente che i quotidiani che si riferiscono a un partito non hanno diritto ai contributi pubblici ha il suono della campana a morto. Ed è paradossale che l’Unità, da tempo impegnata in una difficile battaglia di risanamento dei conti, rischi di essere il bersaglio principale di questa campagna.
Come Anselmi dovrebbe sapere, proprio l’Unità da tempo è in prima linea per contribuire a una nuova ed efficace gestione dei contributi pubblici, proponendo tra i primi nuovi e più stringenti parametri per la loro erogazione. Copie effettivamente vendute, numero dei dipendenti a tempo indeterminato, innovazione tecnologica sono esattamente i criteri con i quali l’Unità chiede che vengano determinati i contributi. Per quanto la libertà di stampa sia un valore che va oltre le mere logiche di mercato, siamo sempre stati consapevoli che l’uso mal disciplinato delle risorse pubbliche vada combattuto. Nel merito, quello che evidentemente sfugge al presidente della Fieg è che i giornali di idee, compresi quelli di partito, sono parte della libertà di un Paese: contribuiscono alla circolazione delle opinioni anche quando queste si scontrano con le logiche di mercato. Dovrebbe essere una preoccupazione anche di Anselmi: garantire il pluralismo oltre le attuali distorsioni del mercato che penalizzano i più deboli e assicurano i maggiori vantaggi ai più forti, anche sul piano dei sostegni pubblici. Purtroppo è più facile cavalcare il vento dell’antipolitica e dare sponda a chi sarebbe ben felice di veder morire un concorrente.
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