Anonimato online? Per l’editoria digitale non vale

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I giudici della Corte europea dei Diritti umani
I giudici della Corte europea dei Diritti umani
I giudici della Corte europea dei Diritti umani

L’editore online è responsabile di quanto postato degli utenti tra i commenti ai suoi articoli in formato elettronico, dal momento che ricava un autentico beneficio commerciale dalle visite ricevute per un determinato contenuto di cronaca o inchiesta. Lo riferisce il PuntoInformatico (http://punto-informatico.it/3906093/PI/News/anonimato-online-non-editoria-digitale.aspx) in un articolo di Mauro Vecchioriportando quanto deciso dai giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo che “non hanno riscontrato alcuna violazione del diritto all’informazione nelle pretese legali di una compagnia di traghetti estone, che aveva accusato il portale locale Delfi di diffamazione a mezzo web”.
I fatti risalgono al gennaio 2006. In quel periodo la redazione di Delfi, scrive PI, aveva pubblicato un articolo bollente sulle pratiche scorrette adottate dalla società di trasporti marittimi nella gestione delle linee e dei percorsi. I lettori più adirati avevano iniziato a riempire l’area web dei commenti con messaggi ritenuti altamente offensivi e persino diffamatori. In primo grado, Delfi era stata condannata al pagamento di 320 euro per i danni arrecati all’immagine della società.
Più di sei anni dopo, tuttavia, i giudici europei hanno stabilito che Delfi è responsabile di quanto pubblicato dai suoi utenti (in forma del tutto anonima), dal momento che non ha mai predisposto un meccanismo automatico di moderazione e in particolare di rimozione dei contenuti segnalati sullo stile delle takedown notice. La società di traghetti non avrebbe mai potuto denunciare i singoli opinionisti perché tutelati dall’anonimato online.
In aggiunta, documentaVecchio: l’editore estone avrebbe dovuto aspettarsi una tempesta di commenti negativi dopo le sue indagini sulla società locale, dunque prepararsi con basilari strumenti di prevenzione delle dichiarazioni più offensive e diffamatorie.
“Aver permesso l’anonimato ai propri utenti, insomma, rafforzerebbe gli obblighi di vigilanza dell’editore – ha spiegato l’esperto Guido Scorza – giustificandone la responsabilità anche per i commenti dei lettori giacché, per colpa dell’anonimato, il soggetto che assuma di essere leso nella tutela della propria reputazione non potrebbe far valere i propri diritti nei confronti dell’autore dell’offesa”.

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