Abbiamo pensato di chiedere ad alcune case editrici di dimensioni, appunto, medio piccole, un intervento sul tema. Per capire quali ricadute potrebbe avere una tale prospettiva in uno scenario già di profondissima crisi (clicca qui per la lista delle case editrici contattate).
ANFORA
Piccola casa editrice milanese, l’Anfora nasce nel 2003. E sin dall’inizio con uno scopo del preciso: portare in Italia autori poco noti del Centro Europa. Vocazione mitteleuropea che parte dall’Ungheria, per allargarsi poi ai “nuovi paesi”. Quindi, un viaggio oltre nomi ben noti come Kundera o Hrabal. “Un disegno editoriale finalizzato – spiega il fondatore e animatore dell’Anfora, Alain Lapointe – con precisi riferimenti geografici e culturali”. Pochi mesi fa l’Anfora ha pubblicato Anna Edes di Dezso Kosztolany, di cui ha scritto sul Corriere della Sera Giorgio Pressburger. “Io mi permetto di perorare la causa di romanzi come questo, di autori come questo. Di letterature come quella ungherese che sono capaci di produrre opere esemplari”. Ma fino ad oggi – da noi – ignote.
Innanzitutto vorrei far comprendere che non leggo nell’iniziativa in corso alcunché di subdolo o che miri volontariamente ad un cambiamento drastico del panorama editoriale italiano. Capisco perfettamente che in un’area geografica come la nostra, che da tempo lamenta la mancanza di lettori, un sistema che deve non solo produrre, ma sovraprodurre materiale librario per andare incontro a costi di gestione, e soprattutto alle inevitabili rese, in un forsennato meccanismo trimestrale che non può essere interrotto, questo sistema appunto, necessita di ogni forma possibile di intraprendenza per ridurre costi e per sopravvivere. Una fusione come questa certamente porta a costi minori, maggiore disposizione di fondi statali erogati, e canali meglio indirizzati di distribuzione, che probabilmente diventeranno propri, a scapito degli operatori del settore.
Come piccolo editore non mi cambia, e credo anche per tanti colleghi, assolutamente niente. Da anni siamo abituati a vivere sullo sfondo, sopportando il disinteresse di alcuni media che non recensiscono se non in cambio di cospicue spese pubblicitarie che solo grandi nomi possono permettersi, oppure quelli facilitati perché appartenenti allo stesso gruppo. Grandi catene di librerie per “motivi di gestione aziendale” faticano a trovarti 5 cm. di spazio su uno scaffale. Alcuni distributori non ti portano neanche ad una fiera per non sacrificare parti di una bancarella. Solo alcuni esempi di come monopoli ne esistano già, quelli che sono una garanzia di transazione, di movimentazione della merce. Che il monopolio prima fosse diviso tra sei, e poi quattro e tre, non muta nulla, solo un nome o una sigla: una sorta di “Dividono i servi, dividon gli armenti; Si posano insieme sui campi cruenti” se vogliamo…
Un altro invece il mio sentire come persona, come spettatore umano dell’avvenimento, e quello purtroppo non è positivo. Nella formazione di un Monopolio si creano inevitabilmente delle scelte che si risolvono in tagli e privilegi. Intendo che il rischio, in questo settore delicato, sia quello di favorire il libro che vende, il nome noto, e non solo per merito, ma per forza di richieste (il che non necessariamente significa qualità), per l’evento di cronaca o il suggerimento politico, allontanando qualsiasi tentativo di introdurre nomi e pensieri nuovi, che sarebbero solo un rischio in bilancio. Questo porterebbe nel giro di poco tempo ad un’involuzione delle pubblicazioni, una sorta di panem et circenses dedicato solo al gusto popolare collettivo, una sorta di televisione statale in formato cartaceo, che ti dice lei cosa guardare.
Pensiamo anche alla promozione, alla pubblicità. Ovviamente un dato libro avrà un’attenzione unica e ancor più martellante sugli stessi quotidiani del gruppo di cui l’editore fa parte, non importa se l’opera sia valida.
Conoscendo molti usi della Grande Editoria della Quantità, come lo stravolgere traduzioni di libri stranieri nell’ottica di un italiano più accattivante, se non addirittura, per motivi di risparmio, tradurre dall’inglese un’opera scritta in lingua più rara, quindi più complicata e costosa da rendere, come anche ignorare scrittori e grandi pensatori noti nel resto d’Europa, ma sconosciuti da noi, per i costi che avrebbe una loro promozione, il timore, in caso di questa e ulteriori fusioni nasce non solo per la scelta unilaterale di argomenti e titoli, ma anche per modifiche e censure dei testi per una pura compiacenza che nel tempo risulterebbe lesiva. Ovvio infine il ritenere che il controllo di un così pachidermico assetto, che schiaccia e toglie spazio a pensieri alternativi, diventi appetibile per pochi finanziariamente in grado di acquisirlo, e per la situazione politica di turno.
Alain Lapointe, Editore e Titolare Edizioni Anfora
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