Lino Zaccaria, giornalista di lungo corso, è presidente del Corecom Campania, l’ente territoriale preposto alla vigilanza sull’attività radiotelevisiva locale. Conosce bene la situazione delle realtà regionali e, in particolare, di quella campana, che più delle altre soffre della crisi del mercato dell’editoria.
Presidente, il fondo per l’editoria sarà ulteriormente ridotto. Se la situazione resta questa, chiuderanno più di 200 giornali e tremila lavoratori finiranno in mezzo ad una strada, senza considerare l’indotto.
«È una decisione incomprensibile. Il mondo dell’editoria non può essere autosufficiente, la crisi economica mondiale e le nuove tecnologie lo hanno messo in ginocchio, e il fenomeno non è solo italiano. L’aver ridotto le provvidenze pubbliche può risultare fatale. E se le stime relative alle perdite di posti di lavoro fra i giornalisti possono essere più o meno ipotizzabili, non altrettanto è possibile la previsione per i danni che si riverbereranno sull’indotto. Una catastrofe sociale, che annienterà il comparto».
Se si realizzasse questa ipotesi, l’informazione in Italia resterebbe solo nelle mani di quattro gruppi editoriali. Non ritiene che questo sia un rischio per la libertà di stampa?
«Certo, la libertà di stampa subirà un pesante contraccolpo. Ma lo subirà soprattutto il pluralismo dell’informazione, che grazie anche alla piccola editoria ha potuto in questi settanta anni tradurre in concreto gli ideali di una democrazia compiuta tracciati dai costituenti. La sparizione di queste testate e la concentrazione dell’informazione cartacea nelle mani di pochi gruppi finirà inevitabilmente per inaridire un composito e variegato settore che, a dispetto di quanti pretestuosamente blaterano su una presunta mancanza di libertà di stampa, è stato invece sempre caratterizzato da autonomia e indipendenza».
Nove associazioni di categoria hanno lanciano una campagna per fare pressione sul Governo e approvare una nuova legge sull’editoria, una legge che preveda controlli rigidi, ma che garantisca i fondi necessari alla sopravvivenza dei giornali. Condivide questa iniziativa?
«È un’iniziativa meritoria che condivido pienamente. Nel contempo vorrei spezzare una lancia a favore dell’altro comparto dell’emittenza televisiva locale, che ben conosco per le mie attuali funzioni di presidente del Corecom Campania. Anche in questo caso sarebbe opportuno mobilitarsi perché non si assottiglino i contributi che sulla base della legge 448 del 1998 lo Stato assegna alle televisioni. Anche essere sono sull’orlo del baratro. Un intervento riduttivo provocherebbe gli stessi effetti che stanno maturando ai danni dell’editoria no profit».
È vero che in passato alcuni hanno approfittato di questi fondi, ma questo sta diventando per una certa politica l’alibi per cancellare una voce di spesa che garantisce un diritto sancito dalla Costituzione. Lo stesso Presidente della Repubblica ha chiarito la necessità di tutelare l’autonomia dell’informazione.
«Se abusi o mala gestione si sono verificati in passato non significa che bisogna buttare a mare l’acqua sporca e il bambino. Controlli severi e sanzioni esemplari dovrebbero scongiurare tentativi fraudolenti e nel contempo garantire la sopravvivenza a quanti operano con trasparenza e correttezza».
La carta fondamentale dei diritti dell’Ue impegna ogni Paese a promuovere e garantire la libertà di espressione e di informazione. In altri Paesi dell’Unione questi finanziamenti vengono chiamati “fondi per la libertà di stampa”. In Italia non è così. Come se lo spiega?
«Semplicemente: perché strada facendo c’è stato un deragliamento, si è perso di vista l’intento del legislatore, che proprio a questo principio si era ispirato e spesso sono nate intraprese con l’intento di sfruttare i contributi statali, indipendentemente dall’assolvere alla funzione del pluralismo e della libertà di stampa. Se servono correttivi nel regolamento, ben vengano. E che li si chiami pure “fondi per la libertà di stampa”, così non vi saranno più alibi per i malintenzionati. La tutela di questo irrinunciabile principio oggi è invocata anche dalla più alta carica dello Stato, il nuovo presidente della Repubblica Mattarella. Per darvi attuazione è obbligatorio che tutti ci si orienti in una sola direzione e che il governo ne prenda atto e non riduca l’azione “protettiva».
Secondo una ricerca dell’Università di Oxford l’Italia nel 2014 spende solo 30 cent procapite per la libertà di stampa. In Francia si spendono 18,77 euro a testa, in Gran Bretagna 11,68 euro, in Germania 6,51 euro. In Europa siamo ultimi.
«Un triste primato negativo. Le aride cifre impongono l’inversione di tendenza, è evidente. I nostri padri hanno sofferto l’informazione a senso unico, abbiamo il dovere morale, a tutti i livelli per far sì che anche le generazioni che verranno dopo di noi possano vivere democraticamente soprattutto grazie a una stampa libera».
Tutta l’informazione locale, quella dei piccoli e dei grandi Comuni, è nelle mani delle società cooperative che vivono grazie al fondo pubblico. Senza questi soldi in Campania resterebbe solo il Mattino. Non le sembra una prospettiva inquietante?
«Ho lavorato per oltre quaranta anni al “Mattino” ed ho vissuto direttamente quel lungo periodo che collimò con la chiusura del “Roma” di Lauro, quando Repubblica non era ancora nato e quindi quando il “Mattino” era l’unico quotidiano su piazza. Ricordo benissimo che senza concorrenti facevamo fatica a trovare mordente ed entusiasmo. Guai se questa condizione dovesse ripresentarsi. Ma sinceramente non credo ad un’ipotesi ormai superata, anche perché le grandi testate nazionali si sono nel frattempo imposte anche in Campania con le edizioni regionali. Il problema è nel non azzerare quell’editoria che va avanti grazie all’indomabili entusiasmo dei giornalisti che si sono consociati e che in prima persona affrontano i rischi di impresa».
Molti ritengono che la carta stampata debba scomparire perché non ha un mercato e che si debba puntare esclusivamente sul digitale. Questo significherebbe escludere dalla possibilità di scegliere e di informarsi tutta quella parte di popolazione che non ha accesso alla rete.
«Su questo fronte, e non da ora, la penso esattamente come tutti coloro che ritengono il cartaceo ormai destinato a scomparire. È solo questione di anni. I nativi digitali non andranno mai in edicola. Le generazioni “anziane” avranno ancora il tempo di continuare a tenersi informati con il giornale, e lentamente, quando saranno soppiantate dall’alternarsi naturale della specie, il problema non vi sarà più. Ne prendo atto con dolore, ma la soluzione è ineluttabile. I giornalai si stanno già preparando mentalmente: verrà il giorno in cui, non so se noi lo vedremo, le edicole faranno la stessa fine delle cabine telefoniche».
«Certamente sì».