Editoria

Altro che gratis: Telegram e i giornali tra pirateria e complottismo

Se provate a digitare “Telegram” e “giornali” sulla barra di ricerca di Google, il secondo suggerimento che vi apparirà sarà “telegram giornali gratis”. Non sarà il solo, perché un po’ più giù c’è “riviste e giornali gratuiti” e “riviste e giornali pdf gratis”. Insomma, scaricare senza pagare i giornali da Telegram è, evidentemente, pratica così diffusa che persino Google è costretta a registrarla in cima ai suggerimenti per gli internauti.

Altro che “gratis”

Eppure sono state diverse le inchieste di magistratura e forze dell’ordine per tentare di mettere un freno al fenomeno. In particolare, la Procura di Bari si è impegnata moltissimo arrivando a chiudere centinaia e centinaia di “canali”. In diverse occasioni, i magistrati e i militari della Guardia di Finanza hanno sgominato organizzazioni vaste e ramificate. Gente insospettabile, di ogni età e di ogni estrazione sociale. Che, di certo, non diffondevano giornali gratis per (discutibili) motivazioni ideali.

La radice comune tra pirateria e complottismo

Già, perché internet si nutre ancora di quella idea iniziale secondo cui tutto dovrebbe essere messo in rete, condiviso e a disposizione di tutti. Gratis. Una motivazione “romantica” secondo molti che, in alcune zone d’Europa, hanno addirittura creato partiti politici. Come il movimento dei “pirati” che in Svezia è arrivato anche a raggiungere risultati ragguardevoli. E poco durevoli, chiaramenti. Tutto senza costi, una “rivoluzione” che si sarebbe dovuta compiere dando a ciascuno la possibilità di accedere alle conoscenze “nascoste”. Quelle detenute dalle élite per continuare a “governarci” e a “lasciarci nell’ignoranza”. Insomma, la radice del complottismo e della pirateria digitale è la stessa.

Un affare da gonzi

Le ultime inchieste, però, hanno svelato che i paladini dell’informazione gratuita lo facevano per lucro. Si accaparravano copie digitali e le piazzavano in vendita ai loro “abbonati”. Sì, perché secondo quanto scoperto dalla Procura di Bari, avrebbero addirittura chiesto un obolo costante ai loro “clienti”. Qualcuno addirittura si proponeva come un hub “Amazon” di notizie. Altri, invece, offrivano musica. Chiaramente in vendita. Insomma, i pirati hanno il loro tornaconto eccome. Mentre i gonzi, cioé coloro che credono di fare un affare a leggere i giornali senza pagare, ad ascoltare musica senza corrispondere emolumenti, a vedere film e canali televisivi senza spendere, pensando di fare bene fanno in modo di distruggere l’industria creativa ed editoriale italiana.

Le cifre: la pirateria “costa” più di mezzo miliardo

Le leggi adesso vanno a colpire anche gli utenti. Lo stesso sottosegretario all’editoria Giuseppe Moles, al festival dei nuovi media, ha detto che solo durante la pandemia, la pirateria ha fatto danni inenarrabili. Quantificabili in poco più di mezzo miliardo di euro. Per la precisione 521 milioni. Ma questo non interessa a nessuno. O meglio, non interessa a quelli che “si informano su Facebook” e a ogni piè sospinto criticano il sistema dell’informazione. Senza rendersi conto che è proprio per colpa degli introiti che mancano se l’editoria è in crisi. Ma questo, agli “intelligenti” e ai “risvegliati” del web, “non cielo dicono”.

(g.v.)

editoriatv

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  • non è vero che i giornali vengono rimessi in vendita. Sono tutti gratuiti ed é un esproprio proletario da parte di chi non può permettersi abbonamenti a volte esosi. Un abbonamento a "editoriale domani" costa 13 euro al mese (più di Netflix, il triplo del New York Times).
    E' invece vero che su quei canali circola pubblicità sulla quale qualcuno ci guadagna

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