Alla minoranza non piace il piano: “Né tagli né allargamenti platea possono rilanciare l’Inpgi”

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La proposta di rilancio in cinque punti non piace alla minoranza in consiglio d’amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale per i giornalisti.

Secondo gli esponenti della minoranza, il piano proposto non comporterà che dei tagli ritenuti inutili alla ri-sistemazione strutturale dell’ente e che finiranno solo per aggravare la situazione degli iscritti. In una nota, i consiglieri Carlo Parisi, Elena Polidori e Daniela Stigliano hanno bocciato l’iniziativa e hanno affermato: “Una promessa di tagli, inutili e temporanei, in cambio dell’ingresso immediato dei comunicatori, almeno quelli pubblici, altrettanto inutile per le sorti dell’Inpgi. Galvanizzata dalla crisi di governo e dalla speranza che un nuovo esecutivo possa modificare le posizioni finora assunte dai ministeri al tavolo di confronto, la maggioranza che guida l’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani ha tirato fuori dal cappello una nuova, anomala strategia: approvare una “delibera di intenti” con cinque misure di aumento delle entrate e riduzione delle spese, che però non saranno varate senza allargamento della platea contributiva”.

Ma non è tutto: “Un’operazione di facciata, priva di qualunque sostanza visto che si tradurrebbe in nemmeno 20 milioni di euro di benefici l’anno per un quinquennio, e a cui noi abbiamo detto responsabilmente no. Perché punisce esclusivamente i giornalisti, attivi e pensionati, senza chiedere nulla agli editori, punta quasi tutto su nuove entrate e taglia in maniera minima costi come i compensi degli organi collegiali e del vertice dirigenziale dell’Istituto, ma soprattutto avvicina sempre più il commissariamento dell’Ente, invece di allontanarlo”.

L’analisi del piano secondo i consiglieri della minoranza Inpgi è impietosa e viene riportata punto per punto con tanto di cifre. Secondo Parisi, Polidori e Stigliano: “L’aumento dell’1% per 5 anni della contribuzione previdenziale versata dai giornalisti attivi (pari a un’entrata di 10 milioni l’anno) e un contributo straordinario sempre dell’1% per i pensionati, uguale per tutti (5,5 milioni l’anno), con eventuale proroga della maggiore trattenuta per i soli colleghi in attività; l’abbassamento del limite di reddito cumulabile con la pensione a 5 mila euro lordi l’anno rispetto agli attuali 22.524,13 euro (maggiori entrate per 1,5 milioni l’anno); la sospensione delle prestazioni facoltative: assegno di superinvalidità (tagli di circa 1 milione l’anno); ricovero in case di riposo (circa 174 mila euro); sussidi (28 mila euro); la reintroduzione degli abbattimenti per le pensioni di anzianità, ma con riferimento alla norma della legge Fornero che permette agli iscritti all’Inps di andare in pensione a qualsiasi età con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne: i giornalisti dovrebbero, invece, raggiungere comunque i 62 anni e subirebbero una riduzione della pensione dello 0,25% per ogni mese mancante rispetto al requisito Inps. Per esempio, con 40 anni e 5 mesi di contributi, requisito oggi previsto dall’Inpgi, le donne subirebbero un taglio del 4,25% e gli uomini perderebbero il 7,25% dell’assegno (risparmio totale di 255 mila euro nel 2021); la riduzione dei costi di struttura pari al 10% dei compensi degli organi collegiali (amministratori, sindaci e rappresentanti istituzionali, con un taglio di 120 mila euro) e del 5% di tutto il resto (con un risparmio da 1,14 milioni in totale), compresi i soldi riconosciuti alla Fnsi e alle Associazioni regionali di stampa, che ricevono contributi per 2,471 milioni di euro”.

Ciò però fa emergere nuovi interrogativi ai consiglieri di minoranza: “Sono scomparsi altri interventi ipotizzati in un primo momento dalla maggioranza, ma in almeno due casi per l’impraticabilità sancita al tavolo governativo: il contributo di solidarietà dal 15% al 40% sulle pensioni sopra i 100 mila euro e (per fortuna) la fusione tra le gestioni Inpgi1 e Inpgi2, se finalizzata esclusivamente a ritardare il commissariamento ai danni dei più deboli”. E ancora: “Lo “scambio” viene descritto dalla maggioranza come atto di un percorso condiviso, ma in realtà è un atto di pressione inconsueta e indebita rispetto alle indicazioni del Parlamento e del Governo. La legge impone infatti all’Inpgi di procedere prima con le misure per ripristinare la sostenibilità, partendo dal taglio dei costi e dall’aumento delle entrate, e solo dopo, di fronte a un bilancio attuariale che certifichi la non sostenibilità dell’Ente, la possibilità di allargamento degli iscritti (dal 2023) con altre figure non identificate”.

E quindi: “Al tavolo governativo si sono sottratti definitivamente i comunicatori privati, anche per la loro ferma opposizione a entrare in un Ente previdenziale sull’orlo del fallimento, mentre è rimasta aperta la possibilità di coinvolgimento di quelli pubblici, con un ulteriore apporto di entrate di circa 50-55 milioni di euro l’anno”.

Infine la conclusione dei consiglieri di minoranza nel Cda Inpgi: “Ma il rosso di bilancio dell’Inpgi è di 250 milioni l’anno. E al momento la necessità di liquidità aggiuntiva necessaria per pagare pensioni, tasse e altre spese dell’Istituto è di oltre 200 milioni. Dai conti dell’Ente, resta un solo anno prima di non riuscire più a far fronte alla funzione pubblica che l’Inpgi deve assolvere per legge. Ed è chiaro che nessun taglio e nessun allargamento della platea è in grado di farlo uscire dalla drammatica emergenza, salvando le nostre pensioni senza un intervento dello Stato. Ovvero, quella garanzia pubblica (che non significa confluenza nell’Inps, tutt’altro) che la maggioranza continua a non voler porre sul tavolo del governo per non rinunciare ai privilegi (di pochi) che sono arrivati insieme alla privatizzazione”.

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